La belva ha sempre sete

Artemide, era il suo nome, dalla pelle bruna e dagli occhi verde smeraldo come mai si erano veduti prima di allora; aveva poco più di vent’anni, ma il suo corpo focoso, che tanto illuse i suoi uomini, ne dimostrava ben di più seppur pochi ne avesse. Sola, senza una famiglia ne parenti, unica amica la sua bambola di seta, unica balia la padrona del suo corpo; Majide. Majide la trovò ai piedi del colle che sorgeva alle spalle della città, abbandonata dal mondo e dalla sua stessa esistenza e fu così che l’accolse e la educò come fosse figlia sua seppur, costretta dalla fame,  fu messa sul mercato fruttando una grossa fortuna. La sua maestosa bellezza permise loro di vivere nel lusso e nelle comodità più esilaranti suscitando, fin da subito, un interesse maggiore rispetto a quello che Majide si aspettava e, seppur cosciente di ciò che fece, accantonò le colpe e proseguì per la sua strada. Nulla le impedì di proseguire nonostante vedesse crescere nella bambina tanta di quella bellezza e vanità che portò, quest’ultima, ne a vergognarsene ne a tener nascosto tutto il suo ardore di donna, in quanto nessuno mai le aveva insegnato che tanto giusto, poi, non era. Non aveva sogni, non aveva desideri, ne pensieri, ne parole proprie; era divenuta un contenitore vuoto ed il suo unico vessillo era la bellezza. D’intelligenza ne aveva da vendere, di furbizia fin troppa ed il suo corpo teneva testa qualsiasi donna o uomo che osasse sfidarla. Ben presto divenne l’amante dei più grandi simboli maschili della città, richiesta anche dalle loro stesse consorti sia per una candida compagnia estiva, sia come ornamento della casa per ospiti importanti che per giochi erotici singoli o di gruppo. Di uomini innamoratosi perdutamente di lei mai si poterono contare sulle dita di quattro mani, ma di uomini che le carpirono il cuore, ce ne fu uno solo: Hàmid Van Viettens Certain, Capo dello Stato di Whahelia. Hàmid, forte e temerario guerriero della terra desertica, celibe e di bello aspetto, governava lo Stato con fermezza, coraggio e intelligenza e, nell’arte della spada, non era secondo a nessuno. Il loro ennesimo incontro avvenne per un caso fortuito, colpa del destino, o forse erano stati i loro stessi cuori a desiderarsi in modo incessante e disperato. Artemide era stanca di essere desiderata per il sol suo corpo che ormai tutti sapevano, compresa lei, che piaceva, che era perfetto e che nessuno le poteva resistere, e iniziò per la prima volta a desiderare qualcosa di diverso, qualcosa che avrebbe potuto insegnarle cose nuove, sensazioni, riflessioni, passioni mai provate; Hàmid, invece, era stanco della sua solita vita da Capo, di soldato, di guerriero, di assassino e cercava un po’ di quella pace di cui, tutti i suoi sottintendenti, tanto descrivevano e smaniavano di riavere. Un giorno predestinato da Giove, all’argo della città ai confini del deserto Hanuji, sorgeva una fontana in marmo pregiato dove v’era apposto il simbolo della città stessa; una grossa spada in ferro e vetro forgiata dal centenario forgiatore di spade più famoso del tempo,Tributo Kijinastu. Lì, Artemide, vi corse per trovar rifugio da un’ennesima sberla di Majide, infuriatasi per un appuntamento mancato presso la dimora del vecchio Al Kitabute. Era suo solito rifugiarsi lì ogni qualvolta che la matrigna s’infuriava e inveiva contro di lei minacciandola di deturparle il viso, ed era lì che, sola, nella quiete più assoluta, con l’unico spettatore delle sue moine, il deserto, dava sfogo al suo più intimo e silenzioso dolore. Giocava con la sabbia ardente del deserto, creava castelli di sabbia dando vita a storie d’amore, d’avventura, progettava cavalli alati e animali più strambi con la sola sabbia mista all’acqua.  Amava rotolarsi e tuffarsi nella sua amica sabbia che unica riusciva a darle sensazioni tattili diverse e la sua folta e corvina chioma riccia s’impregnava dei granelli, divenendo un tutt’uno col mondo circostante. La fontana le permetteva di lavarsi tranquillamente, lontana sia da occhi indiscreti che dalla stessa Majide che andava alla sua ricerca.
“Soave creature, chi tu sei? Come puoi permettere ai tuoi sporchi capelli ribelli di tingersi nelle acque sacre di questo simbolo”? Chiese una voce che irruppe il nulla e il silenzio tombale.
“La tua impudenza non ha limiti,donna”! proferì portandole alla gola la sua tagliente spada. Era Hàmid! Appena rientrato da una gloriosa battaglia svoltasi vicino ai confini del deserto Hanuji .  “I miei capelli saranno sporchi, ma definite sporco il terreno sul quale voi stesso governate? Considerate impudente il mio gesto di purificazione? Allora anche la vostra spada ha commesso un gesto impudente, ed è quello di sfiorare con la sua punta ardente la mia pelle di suddito devoto alla sua terra”! Proferì Artemide, con sguardo minaccioso e di sfida, rivolto al suo signore.
“Le tue parole sono taglienti come il tuo sguardo, Artemide! Distingui chi tra le persone che ti sfidano, merita il tuo silenzio! Inchinati… è il tuo signore che te lo chiede”!
“Mai potrei inchinarmi se non al cospetto di colei che mi ha messo al mondo e che mai ho potuto conoscere ne vedere! Voi siete il mio signore, colui che detiene la mia vita, ma non posso inchinarmi a voi che non rispettate le vostre stesse regole”!
Hàmid aveva avuto a che fare con lei spesse volte, in quanto la sua intelligenza era ciò che a lui premeva avere più del suo stesso corpo di donna. Per questo fu considerato fautore della fine della sua stessa dinastia, in quanto mai nessuna donna osò entrare nel suo letto e nessuna riuscì a portar in grembo un figlio suo.
“Il mio regno non cadrà, almeno per ora! Mio fratello tiene duro e vuole a tutti i costi distruggermi. Tu questo lo sai, vero”? Disse mentre lavava la sua bella spada nelle acque della fontana.
“Il signor Jikajin è furbo, ma ciò non basta ad abbattervi! Il suo difetto è la superbia e la voglia sfrenata di possedere sempre più terre… Da lontano riesce a tenervi testa, ma lui è la vostra ombra... vi teme perché voi siete più potente e non parlo del vostro esercito o della vostra capacità combattiva, ma la vostra forza d’animo! Voi non avete bisogno di nessuno per portare a termine gli obbiettivi che vi ponete... lui invece ha bisogno di tutti”.
Hàmid alzò il capo, lo rivolse verso la donna, poggiò la spada e poi proferì;
“Tu lo conosci bene, vero? Il suo letto è da te molto frequentato... e non chiedermi come faccia a saperlo... ti ammazzerei solo per questo, sei una traditrice”!
“Non tradirei mai il mio signore. Ciò che rendo al Signor Jikajin non è altro che il mio corpo...  non vendo informazioni e lo sapete meglio di me! Non sopravvalutate una misera donna di popolo”!
L’uomo la guardò con disprezzo misto alla voglia di possederla per far da torto al fratello tanto odiato ma tanto amato.
“Avrei dovuto reciderti quelle labbra impertinenti quando ne ho avuto occasione, Artemide”! “Allora avreste dovuto farlo tutte le volte che mi avete avuta sul vostro cammino, ma mai l’avete fatto... che siate stupido fino a questo punto”?
“Artemide, la vostra intelligenza mi offende! Ora mi servi e non ho alcun motivo di toglierti di mezzo! E poi non farei mai un torto alla cara Majide che tanto desidera darmi in sposa la sua piccola protetta, ma chi vuole una donna come te? Mi disonorerei con le mie stesse mani. Ora andate via… mi avete innervosito già abbastanza”!
Artemide socchiuse gli occhi, s’inchinò, voltò le spalle e si diresse verso la sua dimora. Hàmid restò per altre due ore circa accanto alla fontana, seduto, immobile, a riflettere sulla prossima mossa da fare quando d’improvviso, da una roccia sbucò Majide.
“Eppur sapete quant’è preziosa la mia Artemide! Vi ho uditi prima dopodiché, tornata a farle una bella ramanzina per la discussione di prima, sono ritornata da voi. E’ l’unica che potete prendere in sposa! Metterebbe al mondo figli sani, forti, belli e intelligenti! Colpa mia fu che la misi in questo campo, ma, ahimè! Che potevo mai fare? Morivo di fame e a stento riuscii a farla campare fino all’età di quindici anni! Sapete meglio di me come vanno queste cose”! “Majide! Con che coraggio mi date in sposa una donna non più celibe, che di mestiere fa la puttana, una donna che non riesce a tenere a freno la sua lingua tagliente, una donna di mondo, una donna che tutti conoscono! Io sono una persona che cerca rispetto, un uomo che s’è costruito tutto ciò che ha con solo la forza dei suoi muscoli, col nome di suo padre, Re di Whahelia, nato da madre rispettabile, celibe, illibata, casta e pura? La sua intelligenza mi fa gola, questo è vero, il suo corpo lo bramo, ma il suo cuore… quello già m'appartiene... ma non può essere la mia sposa”!
Disse portandosi la testa tra le mani ferite e sporche “Mi capirai... Majide... se potessi tornare indietro... ti avrei ammazzata come la tua protetta”! ma mai lo fece, il principe Hàmid. Parole dure furono le sue ma nulla di tutto quello pensava; era un uomo d’onore, godeva del rispetto di tutti, questo si! Ma nessuno poteva fargliene una colpa se non metteva al mondo un figlio, perché una donna l’amava, ma non poteva sposarla… Artemide era figlia di popolo, misera, senza famiglia ne onori e portava con se il marchio del suo peccato: l’essere stata abbandonata. I giorni passarono, le notti anche e Artemide, sempre più sola e chiusa in se stessa, conduceva la sua solita vita entrando e uscendo tra i vari letti con la speranza che qualcuno si accorgesse del suo cuore, dei suoi sentimenti, ma tutto ciò le fu negato. Una notte dal cielo stellato e dall’aria calda, Artemide sgattaiolò giù dal proprio letto, aprì la porta e si fermò sull’uscio a guardare il cielo;
”Oggi ci saranno le stelle cadenti... mi manderanno un segno” disse tra sé, dopodiché prese un mantello, lo attaccò intorno all’esile collo ed iniziò a correre verso la solita fontana ai confini del deserto Hanuji. Arrivata alla meta si gettò di sasso tra la sabbia; le sue scure mani sprofondarono in essa come se fosse stata parte di se, la portava al viso come fosse stata acqua, guardava con occhi lucidi il cielo stellato il quale si rifletteva, a sua volta, negli occhi verde smeraldo.
“Voglio qualcosa di diverso, Giove! Voglio una vita migliore, qualcuno che mi ami! Voglio andar via da qui” gridò in alto spargendo il suo corpo di sabbia con sempre gli occhi rivolti al suo Dio. “Credere negli Dei fa male, Artemide! Puttana ma pure blasfema”! disse il principe Hàmid irrompendo nei sogni della donna.
“Almeno io ho qualcosa in cui credere, Hàmid! Tu non hai nemmeno quello”! Hàmid, innervositosi della mancanza di rispetto verso il suo nome, le si avvicinò con passo svelto e veloce come una pantera, le strattonò il braccio, la drizzò sulle gambe, la prese per i capelli e portò i suoi occhi verde smeraldo vicino ai propri “Insolente! Perché non riesco a punirti come meriti? Artemide, il tuo nome stesso è blasfemia! Il nome di una Dea... maledetta Majide!”. Artemide tentò più volte di liberarsi dalla sua presa con calci, sberle e parole forti. L’unica e sola sberla che lo colpì, fece scattare la sua ira. La prese e la gettò nella sabbia come un cane morto, le si accovacciò sopra, con una mano le strappò l’abito e il mantello mentre con l’altra le manteneva le braccia nonostante la donna si dimenasse così tanto che si stancò poco dopo. Rimasero lì, in mezzo alla sabbia, fermi, immobili a fissarsi sotto le stelle. Il loro silenzio valse più di mille parole e durò per circa venti minuti;
“Io ti desidero… desidero te Artemide, in ogni tua forma! Non ho mai osato punirti per le tue parole perché sagge sono! Vali più di quanto sappiano tutti quelli che ti sei portata a letto... vali più di Majide che ha saputo ben carpire in te tale potenzialità per poi arricchirsi, vali più del mio popolo che obbedisce senza dire un cazzo di niente… vali più di me che governo questo stato… diventa mia, Artemide, solo mia!”.
Gli occhi della donna rimasero a fissare quelli del principe confusi, scalpitanti e nervosi.
“Non hai sempre detto che le uniche parole che so ben dire, vengono proferite col mio corpo? Non mi hai sempre giudicata per ciò che faccio e per il mio essere stata abbandonata? Hàmid… a quali parole devo dare ascolto? A quelle di sempre o quelle proferite da un povero uomo ubriaco venuto fin qui per guardare le stelle? Il mio Dio mi ha dato un segno… e se ora ho incontrato qui te… vuol dire che sei tu quello che aspettavo”.
Hàmid, arrabbiatosi nuovamente per le sue taglienti parole, l’ammutolì baciandola in modo violento e ripetuto, dopodiché scoprì i suoi seni ed il suo sesso violentandola. Non si sa se fu violenza o voluto da entrambi, ma quella sera segnò Artemide come nessun uomo l’avesse mai segnata; eppure c’era abituata, era stata con così tanti uomini e donne che ormai non provava nemmeno più il piacere della carne, ma quella notte fu come la prima di tanti anni addietro, se non per dire, la prima volta in assoluto, rubata dallo stesso uomo che in quel momento le aveva rubato il cuore. 
“Cosa devo fare, amor mio? Se ti sposo mi odieranno tutti… se ti lascio, posso perir io”!
“Un uomo non deve mai aver paura di ciò che può succedere. Scegliere quello che è meglio per se stessi aiuta a vivere meglio… ma per un principe non v’è scelta che dipenda da se stessi, ma solo dalle esigenze del proprio popolo. Chi nasce di sangue reale non ha nessun diritto su di sè se non il popolo stesso”.
“La tua indifferenza mi spaventa! Sono stato solo tutto questo tempo, ho bisogno di un aiuto! Non posso decidere sempre da solo… ora ci sei tu con me”!
“Voi siete un guerriero, mio signore! Ed ogni guerriero porta una parte oscura dentro di se... la vostra belva ha sempre sete, e lo sapete meglio di me! Non v’è pace per voi, io lo so! E nemmeno io posso darvela. Con voi mi sento appagata ma voi non potete sentirvi appagato in me perché nonostante vi sentiate così, arriverà quel momento in cui dovrete correre a dar sfogo alla vostra belva interiore”!
Hàmid guardò la sua donna con occhi gonfi di lacrime e tristezza, ma al tempo stesso era commosso dalle sue parole; nessuno lo capiva meglio di lei.
Fù così che si lasciarono... tra parole e pensieri, tra rabbia e rassegnazione.
Tempo dopo, Hàmid proggettò una strategia per sconfiggere suo fratello nell'ultima e sanguinosa battaglia che restava da fare.
All'alba di un giorno, le truppe di Hàmid varcarono il confine, distrusse l'eservcito del fratello, uccise uomini e si bagnò del loro sangue. L'invincibile Hàmid, lo cantavano, colui che con un pugno di uomini, distrusse il nemioco in un soffio di vento. 
Arrivato alla soglia delle stanze del principe Jikajin, vi entrò con una tale calma e serenità, quasi umana in tale situazione.
Jikajin era seduto al suo trono con accanto lei, Artemide.
"Mai i miei occhi avrebbero creduto di vederti qui, ora, adesso, al fianco del mio nemico mortale." proferì Hàmid tra rabbia e dolore. 
Nulla fu per caso; Jikajin aveva voluto lì Artemide, sicuro della sua sconfitta, per uccidere moralmente il fratello odiato.
"Magari tu adesso mi ucciderai, ma almeno posso dire che anche se vivrai, lo farai morendo, giorno per giorno."
Jikajin fu barbaramente ucciso da Hàmid; la sua carne fu spappolata, le sue interiore strazziate, la sua testa fatta a pezzi. 
Completamente ricoperto di sangue, Hàmid s'inginocchiò ai piedi di Artemide, con lo sguardo rivolto verso il basso.
"Le parole di mio fratello sono vere... Mi hai amato tradendomi ogni giorno. E io ti amavo ammazzando continuamente."
"Il destino di una schiava non muta, lo sai meglio di me. Sei riuscito nel tuo obbiettivo e senza nessuno, amore mio. Non sarò qui a chiedere clemenza. Ora tu mi ucciderai, e io potrò essere libera."
Lo scocco di un bacio. La lama di una spada perfora la pelle candida, dritta nella gola.
A penzoloni, la testa di Artemide oscillava delicatamente sul capo di Hàmid.
Agl'occhi di tutti, la stirpe dei Certain si sarebbe spenta definitavemente con la morte di Hàmid tempo dopo; si lasciò logare nel profondo, si consumò, si sviscerò di dolore e dsperazione.
Ma chi poteva sapere, se non Majide, che la stirpe reale non era morta del tutto? 
Prima di morire, Artemide partorì nel buio silenzioso l'unico erede di Hàmid; Cain Van Viettens Certain.