La donna (Ad Annunziata)

Quel giorno di settembre avevo preparato tutto l’occorrente.
Erano in bella vista, sul tavolo, libri e appunti del mio corso di francese.
Una collezione di penne legate con un elastico completava il mio corredo studentesco.
In cima alla pila di libri, una copertina rigida e luccicante raffigurava l’immagine stilizzata della Tour Eiffel.
Chissà se avrebbe aiutato a cambiare lavoro.
A volte mi sembrava un ripiego quel corso, tanto per far passare il tempo e riempire l’attesa di trovare un lavoro definitivo.
Un’arietta estiva entrava nel locale ampio e luminoso, in cui abitavo ormai da qualche mese.
Mi voltai, con l’intento di gustarmi soddisfatta la vista di quel bilocale tutto mio, bello dentro e croccante fuori, come mi piaceva pensare.
Le mura del condominio mi accoglievano ogni giorno, sempre più scrostate, ma l’interno era il riflesso della mia personalità.
Intimo e delicato, funzionale e allegro.
Avevo sistemato tutto da poco, i mobili erano quasi tutti nuovi e le mura ancora sapevano di pittura fresca.
I balconi alle finestre invece parevano messi lì a caso, da un architetto ubriaco e giocherellone: qualcuno aveva la veranda, qualcun altro la tenda da sole, qualche appartamento era semplicemente disabitato.
Anche le tende da sole erano tutte diverse tra loro, davano l’impressione nell’insieme di un disordine colorato, come in un quadro astrattista.
Croce e delizia della mia vita da single, l’appartamento era quanto di più solido ero riuscita a mettere insieme negli ultimi mesi.
Una Fiat seicento e un piccolo bilocale, nulla più.
E adesso dovevo pensare al mio lavoro.
Dato che mi ero trovata in mobilità, avevo tentato un colloquio nell’ufficio situato a non poca distanza dal mio appartamento, nel parco della villa comunale.
Erano stati efficienti, mi avevano proposto la frequentazione di un corso di francese.
Avevo iniziato a chiacchierare da alcuni mesi con una ragazza della mia età o poco più grande, facevamo conversazione e mi immaginavo con lei in gita sulla Senna.
Abbandonai il pensiero del corso, e mi tuffai anche quel giorno nel mio lavoro precario.
Le solite facce, la solita routine, il solito centralino.
Ormai mi riempiva la giornata quel nulla cosmico.
Addirittura mi portarono i cornetti quella mattina, ciò però contribuì ad appesantire le lunghe ore trascorse a rispondere al telefono e a smistare le chiamate.
Intanto pensavo e ripensavo ai concorsi che vedevo sulla Gazzetta Ufficiale, barcamenandomi tra un “Attenda” e un “In cosa posso esserle utile?”.
Quella sera tornai a casa svuotata, ma una sorpresa mi permise di scacciare i pensieri della giornata.
Lei aveva accettato la mia amicizia, chiesta tramite il cellulare.
Non ero avvezza a questo genere di cose, ma quella volta ero stata intraprendente.
Era una donna, una dirigente scolastica che viveva a parecchi chilometri da casa mia.
Iniziai timidamente a presentarmi, anche se faticavo a trovare le parole e non sapevo bene cosa chiedere.
Come potevo dire che stavo cercando aiuto da una sconosciuta?
La risposta tuttavia non si fece aspettare e mi riempì la serata di buoni propositi.
Nei giorni a seguire ci conoscemmo meglio, lei cominciò a capire che avevo davvero bisogno di aiuto per dare una svolta alla mia vita.
Ero fuori allenamento sotto tutti i punti di vista.
Ma non si diede per vinta, sebbene io mi considerassi un caso disperato.
Mi lasciò alcuni titoli di libri e mi propose di cominciare da qualche supplenza.
Quando il mio contratto scadde, non piansi una lacrima, e cominciai a insegnare.
Ogni giorno lei mi chiedeva come era andata a scuola, mi rassicurava che tutto fosse giusto così come lo stavo vivendo.
Spesso avevo un sacco di domande, come un bimbo che si affaccia alla vita e vuole sapere tutto.
A volte ero scalpitante e impaziente.
Iniziai ad alternare al lavoro un periodo di intenso studio, la sua presenza mi faceva progredire sempre più velocemente, spesso mi mandava lavori di altri concorsisti da visionare.
Le serate si riempirono di psicologia e di pedagogisti, ma anche di momenti di confronto con questa donna d’altri tempi, sempre disposta ad aiutare.
Non ero più sola.
Intanto i contratti di supplente si chiudevano, ma si riaprivano anche facilmente, conoscevo nuove scuole, nuovi modi di fare lezione, nuove realtà.
A volte l'anno scolastico iniziava con settimane di ritardo, ma sapevo che era questione di tempo, prima o poi sarei stata chiamata.
Così iniziai il mio primo anno scolastico, quasi per intero.
Ma la donna non mollava, mi fece iscrivere ad un corso a Milano, una specializzazione.
Tutto diventò frenetico, il lavoro, il tirocinio, lo studio, i corsi.
Rimaneva giusto il tempo per dormire e per mettere ordine nel mio bilocale.
Ero stanca, ma decisamente motivata.
La donna non si perse d’animo, l’anno successivo mi fece iscrivere al concorso.
Presente come una madre, iniziò a mandarmi link, simulazioni, mi iscrisse a gruppi di studio e iniziò persino a interrogarmi.
Mi teneva sotto torchio, passai lo scritto.
Ma lei non mi mollava, non si fermava a festeggiare o a riposare.
Mi preparò anche per l’orale.
Il giorno del colloquio l’attesa fu infinita, il mio turno sembrava non arrivasse mai.
Ma quando entrai, lei entrò con me.
Nella stanza c’era anche lei.
Tutto ciò che mi aveva insegnato era dentro di me, la commissione mi guardò stupita, ero a conoscenza anche di molti cavilli di cui si ignorava abitualmente.
Ma soprattutto con me c’era la sua passione, il suo modo di collegare gli argomenti, le citazioni degli autori, con me c’era lei, sebbene non la conoscessi ancora.
Era però come se le nostre anime si fossero già incontrate.
Gli anni trascorsero, la conobbi di persona, andai a trovarla nella sua splendida regione: le Marche.
Ci vedemmo due o tre volte, a lei piaceva il gelato, il mare e la gente.
Ogni volta era una fucina di idee, organizzava serate, scriveva.
Era figlia di una regione dolce e brulla, in lei trovavo la dolcezza del mare e la fierezza dei contadini che ogni giorno solcano quelle colline.
Scoprii che non eravamo poi molto diverse, forse io ero un po' più idealista e molto più giovane.
Arrivò il tempo del Covid, ci chiudemmo in casa.
Abituata com’era a conferenze, serate, letture, lei faticava ad accettare questa nuova situazione.
Ci sentivamo spesso, ma non era più entusiasta come un tempo.
La malinconia ne aveva preso il sopravvento.
Spesso leggeva.
Un giorno però mi disse che si era liberata di tutti i libri che aveva, li aveva donati.
Lì per lì non riuscivo a capirne il motivo, per me era inconcepibile, essendo molto gelosa dei miei libri…ma suonò quasi come un mesto avvertimento.
Continuava però, instancabile, a formare molte insegnanti della sua zona, le preparava ai concorsi, come aveva fatto con me.
Aveva iniziato a scrivere qualche libro, mi raccontava della difficoltà di trovare un editore e di come fosse cambiata l’editoria.
Nel mezzo dell’epidemia nacque mio figlio, lei fu partecipe anche questa volta, come una nonna attenta e premurosa.
Tutto procedeva con difficoltà, ma nella normalità delle cose.
Ma un giorno, poco dopo il suo compleanno, accedendo al cellulare, vidi ciò che non avrei mai voluto vedere e seppi ciò che non avrei mai voluto sapere.
Lei non c’era più.
Ci aveva lasciati in circostanze improvvise, nel giro di pochi giorni.
Niente e nessuno me l’avrebbe più restituita.
Seguii la sua scomparsa on line, ma non riuscivo a capacitarmi, ci eravamo sentite pochi giorni prima, sembrava star bene.
Ogni giorno mi mancò terribilmente la sua presenza, anche se la portavo con me, nel mio lavoro e nelle mie parole.
Rintracciai tutti i libri che aveva pubblicato, anche quelli di cui non mi aveva parlato.
Non fu difficile reperire tutto.
Lessi in seguito molti libri che mi aveva consigliato, e che non avevo ancora letto per mancanza di tempo.
Col senno di poi capii che mi stava indicando una via.
Solo il tempo mi fece capire la vera importanza di quella donna, che con generosità aveva perso il suo tempo per me, aveva accolto e accompagnato le mie perplessità nell’intraprendere la strada del cambiamento.
Era una rivoluzionaria, aveva capito che il mondo si cambia da dentro, con i piccoli gesti.
Mi aveva insegnato che le cose si potevano cambiare e che a volte dagli incontri inaspettati possono nascere storie bellissime.