La formica Tamara

Arrivò la primavera nel grande bosco.
Era tutto un rifiorire, ogni cespuglio tirava fuori le sue gemme, gli alberi si adornavano di collane di rampicanti, i pini producevano grandi quantità di resina che sgorgava dalle loro cortecce, e c’erano  gli uccelli che intonavano melodie ed anche  la cicala aveva cominciato a far sentire il suo canto.
Erano finalmente riprese le rappresentazioni del grande teatro della natura dopo la pausa invernale.
La formica Tamara doveva lavorare in allegria, in fila indiana, avanti e indietro a portare nel formicaio i tesori che trovava.
Gli usignoli cinguettavano poemetti amorosi, i mosconi ronzavano sulle arie di grandi sinfonie, arrivavano le farfalle sfavillanti nei colori e nei disegni che battevano le ali e si posavano nei posti più impensati. Lo spettacolo aveva ormai avuto inizio in pieno, gli attori entravano in scena uno alla volta o in gruppi, la luce del sole li accompagnava nella coreografia.
La formica Tamara  cercava di non distrarsi dal suo oscuro lavoro, doveva portare chicchi preziosi, se li caricava sul dorso e a volte le cadevano e allora con grande forza lei li sospingeva, per non perdere il posto nella fila di formiche lavoratrici. Eppure aveva un grande desiderio di fermarsi a guardare lo spettacolo, sentiva i canti, vedeva i colori sempre più vivaci ed accesi, sentiva anche i profumi forti ed inebrianti, ma non poteva interrompere il suo lavoro, e le dispiaceva.
Chiese un piccolo permesso ma le fu negato, quando arriverà il momento potrai riposarti , ora è il tempo di lavorare sodo.
E pensare che era da mesi che lavorava continuamente senza un attimo di interruzione.
Avevano costruito un grande edificio, un magazzino enorme, ed ora stavano riempiendolo con le provviste, per poter affrontare serenamente la stagione fredda, in cui la pioggia e la neve avrebbero reso tutto più difficile.
La formica Tamara stringeva i denti e spingeva il suo carico.
Ogni giornata era preziosa, l’organizzazione del lavoro era meticolosa, e mentre sentiva che la natura si predisponeva alla stagione dell’amore e della fioritura sentiva anche che quello era il momento migliore per il lavoro del gruppo, nell’interesse comune di tutte le formiche.
La formica Tamara però sentiva anche lei il richiamo della bella stagione. E voleva disperatamente interrompere quel lavoro così faticoso, voleva dare uno sguardo, voleva sentire anche lei le liete novelle che con lo spettacolo venivano portate.
E si fermò. Cominciò a  lasciare il suo chicco e si guardò intorno. Fu subito ammonita dal caposquadra, non ci si poteva fermare, non si poteva intralciare la fila, fu invitata a riprendere immediatamente il suo posto, fu minacciata di severe sanzioni.
Ma la formica Tamara desiderava solo una sosta, non è che non volesse più lavorare, voleva però anche gustare qualcosa, un suo piccolo momento, e si fermò a guardare lo spettacolo.
E allora fu travolta dalla fila irruente delle altre formiche, cercò disperatamente di schivare i colpi, ma quelle procedevano senza guardare perché erano abituate a non trovare ostacoli e la schiacciarono con diversi chicchi.
Malconcia, la formica Tamara quando fu passata l’intera fila cominciò a leccarsi le ferite e finalmente osservava lo spettacolo, ma era tutta indolenzita.
E fu travolta dalla fila che tornava indietro a raccogliere altri chicchi.
Se sapessi volare, mormorò tra sé, mi leverei da questa scomoda posizione in un attimo. E provò a volare, ma non le riusciva, era da diverso tempo che la maggior parte delle  formiche  aveva perduto le capacità di volo.
Il caposquadra nel ripassarle vicino la ammonì sempre più severo, ma lei era talmente tramortita che non lo sentì quasi per niente, cosicché ad un certo punto venne una squadra di sorveglianti che la prese di peso e la trascinò via con la forza e la rinchiuse in una piccolissima celletta buia in fondo al formicaio, in attesa che si celebrasse il suo processo.
Dopo un paio di giorni in cui fu lasciata digiuna la formica Tamara fu portata davanti alla Corte di giustizia.
C’era il signor Giudice anziano, il giudice a latere ed il giudice relatore, era un collegio di tre giudici, tre formiche anziane che  avrebbero deciso il suo caso.
C’era una formica in toga nera con un colletto bianco che era il Pubblico Ministero, cioè l’accusa pubblica.
E venne chiamato a testimoniare il caposquadra, che dopo aver prestato giuramento disse che per ben due volte l’aveva invitata a riprendere il lavoro, ma invano, era stata disubbidiente. Tanto che era stato costretto a farla rinchiudere, anche perché non desse un cattivo esempio alle sue compagne.
Il suo avvocato difensore, un difensore nominato d’ufficio, era una formica giovane, che le chiedeva continuamente informazioni, ma la formica Tamara era spaventata, non si sarebbe mai aspettata di incappare nelle severe maglie della giustizia, e rispondeva con pochi cenni, era scoraggiata, era smarrita.
L’avvocato difensore invocò le sue difficoltà di salute, era piena di lividi, qualcuno doveva averla malmenata, invocò una valutazione clinica delle sue condizioni fisiche, e poi anche delle sue condizioni psichiche, perché le sembrava che la formica Tamara non fosse nel pieno delle sue capacità.
Dopo le esposizioni dell’accusa e della difesa, dopo aver sentito i testimoni, che erano tutti dell’accusa, il collegio si ritirò per decidere.
La formica Tamara aveva paura, la sua avvocatessa la incoraggiava ma si vedeva che non aveva un grande interesse per la vicenda, e così lei cominciò a tremare come una foglia.
Finalmente i giudici rientrarono e lessero la sentenza.
In nome del popolo del formicaio, considerati i fatti, valutate le testimonianze, considerate le eccezioni della difesa, i giudici stabilirono che la formica Tamara fosse lasciata senza cibo e senza compagnia fuori dal formicaio per un mese.
La formica Tamara cominciò a disperarsi. Voleva strapparsi i capelli, ma purtroppo le formiche non hanno capelli e non le fu possibile. Voleva piangere, ma purtroppo le formiche non hanno l’apparato lacrimatorio, per cui non le fu possibile. Così espresse la sua disperazione con estrema compostezza, senza pianti ed isterismi di sorta e fu condotta a forza lontano dal formicaio, dove avrebbe trascorso il mese di esilio cui era stata condannata.
La formica Tamara aveva finito appena di disperarsi quando incontrò il formico Romiro anche lui condannato all’esilio. Cominciarono a scambiarsi  le opinioni, Romiro aveva avuto una condanna più grave,  era stato accusato di cospirazione contro il lavoro e di incoraggiamento allo sciopero, Romiro le disse che si doveva lavare la faccia. Ed andarono ad una piccola fontanella per formiche dove Tamara si sciacquò. Poi Romiro le portò un chicco ed insieme si misero a mangiare. E arrivarono le altre formiche condannate, e c’era anche qualcuno che portava una fiaschetta di vino per cui Tamara si rifocillò.
E si rese conto che c’erano molte formiche che avevano avuto il coraggio di ribellarsi, qualcuno addirittura aveva cercato una rivoluzione, il problema era il lavoro, la formica Tamara capì che il lavoro chiedeva delle pause che non venivano concesse e le formiche che si ribellavano venivano condannate all’esilio.
Un formicone maschio anziano  si reggeva a malapena sulle sue zampe, erano ormai due anni che viveva nell’esilio e non poteva ritornare nella comunità del formicaio.  La formica Tamara voleva protestare per queste ingiustizie e pensò che si doveva rivolgere a qualche potente per perorare la sua causa, un lavoro più a misura delle formiche, non un lavoro senza sosta, un lavoro che consentisse anche alle formiche di gustare il grande spettacolo della natura e di parteciparvi.
Alla sera veniva nel campo degli esuli un funzionario mandato dal Governo, veniva a controllare e però si fermava a parlare con le formiche e cercava di recuperarle alla dottrina del lavoro indefesso. Era un funzionario un pochino avanti negli anni che ripeteva spesso le stesse frasi usandole come slogan e cercava di inculcare le idee nelle formiche un poco ribelli.
La formica Tamara pensò che quella fosse l’occasione per esprimere la sua opinione e cominciò ad interrompere il funzionario, che invece non gradiva di essere interrotto mentre recitava gli slogan. E fu così che la pena di Tamara venne subito raddoppiata per due volte con un decreto dello stesso funzionario, che ne aveva potere.
Dopo un mese la formica Tamara si ammalò veramente di malinconia. Non riusciva a capire perché l’avessero condannata così severamente, ma soprattutto era avvilita e si sentiva umiliata. E cominciò a dimagrire e non voleva più mangiare tanto che furono costretti a ricoverarla nell’infermeria del campo. La formica Tamara passava le sue giornate in un lettino dell’infermeria e rifiutava ormai il cibo da settimane e cominciò anche a rifiutare l’acqua. Il personale medico e paramedico era impotente, nessuno riusciva a darle soccorso  e lei deperiva sempre di più , tanto che mandarono un fonogramma al comandante delle carceri chiedendo che le fosse concessa la grazia e che  tornasse libera.
La formica Tamara fu rimessa in libertà una settimana prima della scadenza del terzo mese e riportata a lavorare. Ma siccome era molto deperita fu lasciata in disparte nel formicaio affinché si rimettesse.
Finalmente si riprese  e fu riammessa al lavoro. E ricominciò a spingere i chicchi e sentiva la voglia di fermarsi ma si faceva forza e diceva che non poteva, l’avrebbero condannata un’altra volta e magari ad una pena più grave, considerando il fatto che era recidiva. E così la formica Tamara non chiese più di fermarsi per guardare lo spettacolo della natura.
E finì l’estate, cominciò l’autunno, cadevano le foglie dagli alberi, continuava il lavoro senza soste delle formiche anche perché d’inverno ci sarebbero state soste forzate, per la pioggia e per la neve.
Arrivò l’inverno, le formiche si rintanarono nel formicaio a consumare i viveri accumulati, la stagione delle piogge era iniziata, un grande torrente d’acqua percorreva il bosco grande ed era pericoloso per le formiche avventurarsi fuori dal formicaio, che era stato costruito  molto bene anche in grado di fronteggiare qualunque infiltrazione d’acqua.
Allora la formica Tamara capì che nessuno le poteva impedire di guardare e si avventurò in mezzo alla bufera. Si costruì una zattera di aghi di pino e ci si mise sopra e coperta da una buccia di pinolo si mise alla ricerca del campo degli esuli che erano stati abbandonati da tutti ed anche dalle guardie che si erano rifugiate nel formicaio.
Arrivò presto al campo degli esuli sospinta dalle acque. Il campo era ridotto ad un acquitrino. Dentro una piccola tana su di una corteccia di un albero stavano gli esuli che erano stati abbandonati da tutti senza cibo ed acqua.
Allora la formica Tamara ritornò al formicaio, prese delle provviste e le portò agli esuli. Poi presa dall’entusiasmo ritornò al formicaio e volle fare un ulteriore rifornimento. Anche perché le formiche stavano riposando tutte ordinate nelle loro brande e nessuno le chiese che cosa stesse facendo.
E lei si imbarcò di nuovo sulla zattera di aghi di pino. Che si erano appesantiti notevolmente e riempiti di acqua. E cominciò un altro viaggio. E non contenta ne fece un altro ancora. Ogni volta che arrivava gli esuli la festeggiavano con calore sempre crescente.  E promisero che se ne sarebbero ricordati sempre. Ma ad un certo punto un millepiedi si mise sotto la zattera di Tamara e cominciò a portarla via. E lei si infilò in un viaggio diverso in compagnia del millepiedi. E gli esuli da una parte e anche nel formicaio tutti i suoi amici la aspettarono a lungo. Ma il nuovo viaggio era cominciato con le nuove peripezie che fanno parte di un’altra storia. Però nel mondo così severo del lavoro delle formiche oggi viene concesso un momento di pausa, in omaggio alla formica Tamara.