La gattara

Verso la fine degli anni novanta mia nonna viveva in un monolocale di trenta metri quadrati.
La cucina era illuminata da un'ampia finestra che si affacciava su uno spazioso giardino.
Quando mia nonna era ancora viva il posto era curato.
Lei chiamava un contadino che, gratuitamente, si prestava a falciare l'erba, curare i fiori e sfrondare gli alberi dai rami troppo lunghi.
Alla sua morte mio padre mi chiese se fossi interessato al posto.
Lo occupai in un battibaleno portandomi appresso un borsone di libri e due grucce con dei pantaloni e delle camicie appese.
Finalmente un posticino solo per me. Passavo soprattutto le giornate studiando.
Di tanto in tanto sollevavo lo sguardo e mi rammaricavo del giardino che avevo di fronte.
L'incuria allignava sovrana, l'erbaccia era cresciuta di quasi un metro, un camioncino di operai aveva scaricato alcune traversine, un fabbro usava un angolo come deposito e un falegname si faceva portare il legno ancora grezzo e lo depositava  vicino al portone.
Portone si fa per dire, in realtà si trattava di un mezzo portone perchè l'incuria e l'abbandono lo avevano liquefatto.
Dopo un po’ di giorni mi accorsi che stazionava un bel gruppo di sette gatti.
Poi notai che ad orari rigorosamente prestabiliti (le 12 e le 18) i gatti si radunavano verso il centro dello spiazzo.
Di lì a poco appariva una signora avanti negli anni che portava loro da mangiare.
Strinsi amicizia e mi divertii ad accompagnarla alla mattina a far la spesa.
Si chiamava Aurora e come il suo nome era solare, vitale, sempre pronta a sorridere e a scherzare.
Ci spostavamo con il suo carrello in alluminio, laccato oro, e andavamo a comprare del pesce, della frutta e della verdura.
Verso le undici poi si passava da Bepi, un vecchio compagno delle scuole elementari che gestiva una tavernetta con del buon vino rosso.
Si rimaneva quaranta minuti a bere un goto di vino e ad ascoltare i clienti occasionali e quelli abitudinari che confidavano al cameriere le loro avventure amorose o i loro viaggi.
Lei aveva avuto un marito ammiraglio a Venezia e nei primi anni di matrimonio lo aveva raggiunto in India e poi in Africa del Sud e poi in Giappone.
Quando tendeva l'orecchio ad ascoltare alcune di queste storie ammiccava.
Lei che il mondo lo aveva davvero conosciuto sorrideva. Alle dodici meno cinque si alzava e mi accompagnava a casa.
Ma era in questo momento che cominciava il suo show.
Entrava nel giardino e improvvisamente uscivano sette buffi musetti oltrepassando travi in legno o sbucando fuori da case abbandonate.
Lei li chiamava con voce imperiosa alle dodici in punto.
Marina era la prima ad affacciarsi, la matrigna felina, poi c'erano Poldo sveglio ed abile a percorrere le traversine in ferro.
In coppia arrivavano Melissa e Gigi, due mici piccoli molto vivaci e giocherelloni.
Zippa si avvicinava e mangiava solo se lei rimaneva lì vicino mentre Trilli era il più piccolo che spesso bisognava prendere in braccio e accarezzarlo.
Aurora poi si avventurava dentro una casetta abbandonata e andava a confortare Coeta, una gatta che zoppicava e si trascinava la coda perché paralizzata.
Se n'è andata un paio di mesi fa.
I suoi mici all'inizio non volevano mangiare ma quando mi sono avvicinato con il suo carrello della spesa hanno cominciato a seguirmi.
Certo lo sanno, io mi comporto in maniera diversa...
Se n'è andata ma non è sparita, ogni mezzogiorno quando raduno i sette gatti la sua aria eloquente ed imperiosa aleggia ancora nel mio piccolo trascurato giardino e mi aiuta ad entrare in contatto con loro.