La leggenda delle brioches

12 novembre 1774. La mattina presagiva pioggia e tirava una leggera tramontana. Con un cappello di piume bianche e un abito da cerimonia viola Luigi XVI, scortato dai fratelli e dagli ufficiali della corona, attraversò l’ Ile de la Cité e salì le scale del Louvre. Alla sua vista procuratori, avvocati, cancellieri, studenti, azzeccagarbugli, uscieri, spie, maestri di procedure, sospesero le faccende scoppiando in un applauso che lo accompagnò sino alla Sala grande quel giorno affollata. Entrato, il re prese posto su un seggio che dominava i principi del sangue e i pari della corona, assunse un’aria altezzosa  ma provava disagio perché, miope com’era, non distingueva chi gli stava attorno. Percepì un silenzio di attesa, si raschiò la gola e vincendo la paura annunciò con voce ferma:  ‐ Il parlamento sarà ristabilito nelle sue antiche forme! Si volse verso il presidente in toga rossa ed ermellino, accanto ai consiglieri in zimarra nera: ‐ Signori prendete i vostri posti – dopo una pausa il suo tono crebbe sino a divenire vibrante, quasi minaccioso – signori, Luigi XV, mio signore e avo, forzato dalla vostra resistenza ai suoi ordini, ha fatto ciò che saggezza esigeva per il mantenimento dell’ autorità e  della giustizia. Oggi io vi richiamo a funzioni che non avreste mai dovuto lasciare… Voglio seppellire il passato ma vedrò con grande malcontento qualsiasi divisione turbi il buon ordine e la tranquillità…
Quindi chiese di dare lettura agli editti che ristabilivano il parlamento di Parigi, il gran Consiglio, la Corte delle imposte indirette. Al termine, dopo una pausa, i presenti superarono l’esitazione lanciandosi in acclamazioni di gioia . Il re, sentendo la tensione allentarsi, sorrise. Guardò l’allegra baraonda improvvisamente stanco, sgravato e soddisfatto: era riuscito in una prova difficile, si era messo in gioco suo malgrado, ora desiderava tornare a casa. Il grande passo era compiuto.
Trascorsa l’estate tra dossiers di  Opinioni favorevoli al ritorno dell’antico parlamento  e dossier contrari, alla fine aveva dato retta al suo mentore, Maurepas, che aveva manovrato  perché la nobiltà di toga, cacciata  dal Beneamato, tornasse al potere.
“I parlamenti dirimono cause di principi e pari, intervengono sul clero, ma anche se si oppongono al sovrano, non possono mobilitare truppe”, si rassicurava Luigi, “ un governo energico li tiene a bada… e un re popolare non ha bisogno di difendersi”. Lui voleva essere soprattutto accettato dal suo popolo ed era convinto che la disponibilità verso i contestatori dell’ autorità divina gli avrebbe attirato simpatie. Quando Maurepas gli aveva raccontato che a Palazzo Reale vendevano cofanetti con sul fondo l’immagine di Luigi XII, di Enrico IV e la sua , con la scritta “ XII e IV fanno XVI”, era arrossito di piacere: “essere magnanimo procura amore e stima”, pensava, “cose senza le quali non si vive”.


Il salotto di madame de Geoffrin era stato per decenni, uno dei più raffinati e frequentati di Parigi, famosi i pranzi del mercoledì vietati alle donne. In casa sua erano passati Marivaux, Montesquieu, Marmontel, il pittore Van Loo, soltanto per citare i più famosi. Sua figlia Maria Teresa, che aveva con lei rapporti pessimi, diceva che la madre escludeva le signore per primeggiare. Ma le donne non mancavano alle cene per pochi intimi che continuava a dare anche in età avanzata. Una sera davanti all’hotel di rue Saint Honoré, dove era di casa l’intellighentia, si fermò una  carrozza  dalla quale scesero due signori che entrando si fecero annunciare: ‐ Il conte di Maurepas e il barone Turgot. Un servitore li accompagnò dove la de Geoffrin, mademoiselle de Lespinasse che abitava con lei, la figlia Maria Teresa, l’ enciclopedista D’Alembert, li attendevano con impazienza. La tappezzeria bordò, i candelabri in ottone, le grandi specchiere, davano un’aria opulenta alla sala dove si cenava e i due si sentirono a casa. ‐ Benvenuti – la padrona andò loro incontro.
‐ Siamo in ritardo…
‐ Accomodatevi… La sera fredda aveva stuzzicato l’appetito di Maurepas e Turgot che presero posto volentieri. Anne Robert Jacques Turgot, barone de l’Aulne, nell’agosto del 1774 era stato voluto da Maurepas al controllo generale delle finanze.  Aveva quarantasette anni, come tradiva il viso appena appesantito ma, sotto la chioma naturalmente ondulata, la fronte ampia e gli occhi miti rivelavano intelligenza e animo illuminato. Entrato in magistratura, era stato consigliere al parlamento di Parigi, aveva collaborato all’Enciclopedia, scritto libri ispirati a principi liberali e fortemente riformatori come le Lettere sulla libertà del commercio del grano. Fu dunque con un largo sorriso che il vecchio D’Alembert sedette  a tavola di fronte a lui: ‐ Quando ho saputo della vostra nomina – disse il famoso matematico – ho subito pensato che il regno avrebbe conosciuto la prosperità. Turgot alzò una mano: ‐ Lo spero e farò di tutto per attuare le riforme…
‐ Con voi – aggiunse d’Alembert – la filosofia è al potere…
‐  Oh no! – esclamò  Maurepas  – non l’abbiamo certo chiamato per questo! Diciamo che il re e io contiamo sulla sua competenza… In quel momento la gracile mademoiselle de Lespinasse ebbe un accesso di tosse: ‐ Bevete – la soccorse madame de Geoffrin. Julie deglutì. Prima di abitare con la de Geoffrin, mademoiselle de Lespinasse aveva vissuto  con la marchesa du Deffand, grande libertina e salottiera, che divenuta cieca l’aveva presa come lettrice. Accortasi che Julie riceveva i suoi amici intellettuali anche da sola, in preda alla gelosia la du Deffand l’aveva cacciata, ma Turgot e d’Alembert l’aiutarono  a ricostituire un suo circolo. Si insinuava che lei e d’Alembert fossero amanti, in realtà il suo cuore batteva altrove. Era convinta sostenitrice delle idee di Turgot.
Calmatasi,  la Lespinasse guardò il controllore delle finanze: ‐ Raccontateci il vostro programma, siamo ansiosi di conoscerlo… Il barone si umettò le labbra:
‐ Economia è la parola d’ordine! Niente prestiti, né bancarotta, ne nuove imposte… anzi sostituzione delle tasse con una sola da imporre a tutti i proprietari… libertà di industria e di commercio…
‐ Il commercio e la libera circolazione dei grani – assentì Julie ‐ è un duro colpo al dirigismo e in favore della libertà…  Maria Teresa, figlia quasi coetanea della de Geoffrin, aveva ascoltato in silenzio. Fedele a monarchia, chiesa e parlamenti, trovava le idee del controllore pericolose, detestava d’Alembert e aveva fiducia soltanto in Maurepas, che sapeva legato alla tradizione.  Sua madre, esperta intrattenitrice di quattordici anni più vecchia, l’aveva invitata  per avere una sorta di “par condicio” nella conversazione.
Guardò  con scetticismo il ministro: ‐ Il re e la regina sono d’accordo con una simile rivoluzione?
‐ Maria Antonietta mi adora – disse Turgot
‐ E come può?
‐ Le ho aumentato l’appannaggio. Tutti scoppiarono a ridere, tranne la figlia di madame de Geoffrin. “Quest’uomo” – pensò scandalizzata – “non ha nessun rispetto per la superiorità divina dei reali!”
La genitrice intervenne: ‐ Signori, champagne! Alla prosperità del nuovo regno!


Luigi XVI aveva accettato di non dichiarare bancarotta e ridurre le rendite, per non danneggiare i piccoli risparmiatori che avevano affidato le economie al tesoro: atteggiamento illuminato, in contrasto con quello sleale dell’Ancien regime che abitualmente mancava di parola alla mercé di ufficiali contabili, fattori generali e gruppi di pressione. Appoggiato dal re Turgot affrontava l’impresa con lo slancio di chi pensa di porre la prima pietra di una banca di Francia, felice che Maria Antonietta, recalcitrante a risparmiare, non si intromettesse.  Impegnata a slittare sulla neve con il conte di Artois, a organizzare feste galanti, ricevimenti, gite, sfilate di moda, a ristrutturare la splendida tenuta del Petit Trianon, la giovane regina sembrava dimenticare persino l’incoronazione del marito.
Già in passato, quando era stato amministratore di Limoges,  Turgot aveva abolito la tassa sul pane e i privilegi dei forni urbani: l’istituzione del libero scambio del grano nelle sue intenzioni, aveva lo scopo di far scendere il prezzo di quello che, più di oggi, era cibo per eccellenza. Però nel 1774, disgraziatamente, un raccolto molto cattivo permise agli speculatori di accaparrarsi le riserve di frumento e far salire il suo costo alle stelle: divenne introvabile e più prezioso dell’oro. Sopraggiunse la carestia, la situazione si aggravò sino a diventare vera  “guerra della farina”: nella primavera del 1775 in tutta la Francia scoppiarono sommosse, assaltate le panetterie, i mulini invasi e saccheggiati da gente affamata, infuriata, esasperata, manipolata forse, ma sicuramente  felice di scaricare finalmente il malcontento.
Fu allora che la regina venne coinvolta dai sostenitori di Choiseaul i quali, sapendo quanto si sentisse in debito con l’uomo a cui doveva il matrimonio, le sottoposero un memorandum contro Turgot chiedendole di intercedere perché il re richiamasse al suo posto l’ex ministro. Senza starci a pensare, Maria Antonietta stabilì di parlare a Luigi mentre era nello studio, calmo e concentrato sugli hobbies dai quali non amava essere disturbato. 
Lo vide alla scrivania, intento a far girare un mappamondo: ‐ Che guardate?
‐ L’America… ‐ 
‐ Permettete che sieda?
‐ Accomodatevi.
‐ Cosa leggete? La guardò seccato, immaginò che stesse per chiedergli dei soldi e tagliò corto. ‐ Avete deciso per il Trianon?
‐ Niente ananas, aloe, fichi, caffè… non mi interessano… ‐ si infervorò Maria Antonietta –  desidero un giardino anglo‐americano copiato dalla natura…
‐ Lo avrete.
‐ Ma… non sono venuta per questo! Rimase di stucco, la osservò interrogativo. ‐ Sono qui – sottolineò con calma la regina – per via della pericolosa situazione in cui siamo… la gente assalta i forni a Saint German, a Nanterre…
‐ E allora?
‐ Tutta colpa di quel Turgot! Ci vuole un uomo capace… un uomo come il duca di Choiseaul… Luigi si alzò, percorse a passi lenti la stanza, la sua voce ora era fredda: ‐ Dite pure al vostro amico che da me non deve aspettarsi niente…


Il maresciallo Biron, colonnello delle guardie francesi,  aveva settantacinque anni e ne aveva passati di momenti brutti: la notte dei fuochi d’artificio per il matrimonio dei delfini, era stato travolto dalla folla e, se i suoi uomini non lo avessero protetto, sarebbe morto. Biron era  popolarissimo, non amava usare le maniere forti, si fidava dei suoi concittadini. Convocato da Turgot per concordare misure preventive insieme a Lenoir, luogotenente generale di polizia, lo ascoltava in piedi trovando le sue preoccupazioni esagerate. ‐  La rapidità con la quale i moti si diffondono – spiegava Turgot ‐ mi ha convinto che non hanno niente di spontaneo ma sono manovrati,  il re condivide il mio punto di vista…
‐ Manovrati da chi? – chiese Biron attento
‐ Dai nemici delle riforme… dallo stesso parlamento… Necker ha pubblicato  un trattato contro la liberalizzazione del grano… pensare che gliel’ho concesso io!
‐ Quali sono gli ordini di sua maestà ?
‐ Difendere Parigi, arrestare tutte le teste calde! Da quando i rivoltosi hanno invaso Versailles i moschettieri sono allertati…
‐ A Parigi non succederà. Si congedarono. Seguirono ore di attesa tranquilla. La vecchiaia aveva reso Biron saggio e distaccato,  così la sua sorpresa fu enorme appena lo informarono che a  Porta della Conferenza una moltitudine scarmigliata e lacera di uomini, donne, bambini, armati di bastoni, zappe, forconi, fionde, si stava ammassando. I cittadini, curiosi e solidali, affluivano per vederli sfilare come assistessero a una processione.
Accorse, senza merce, la venditrice ambulante Caroline Chevrier. Ai tempi in cui vendeva caffelatte e brioches guadagnava quattordici soldi al giorno, ora un pane di quattro libbre  costava sedici. Per mezza pagnotta da dare  ai figli era arrivata a prostituirsi con un cliente dei caffè per cui aveva lavorato. Stupita, arrabbiata, commossa davanti alla folla, Caroline batté le mani quando un gruppo di bambini prese a sprangate il portone di una panetteria, ruppe il catenaccio ed entrò. La gente si accalcò, spinse, si tuffò assatanata, facendosi male,  ma che  delusione scoprire che la farina non c’era! Allora iniziò a sfasciare ciò che capitava sottomano. Sul piazzale scandivano: Maestà abbiamo fame
mandateci del pane
brioches dalla regina
fermate Jean Farina! Però  “Jean Farina”, come era soprannominato il maresciallo Biron, stava ancora riflettendo se inviare la guardia a cavallo e, quando controvoglia lo fece, ordinò di non spargere sangue. Caroline Chevrier temeva i gendarmi, gli zoccoli delle bestie, ma la rabbia era tale che appena uno di loro si parò davanti non pensò al pericolo e gli sputò contro.
L’altro la rincorse e l’afferrò per i capelli: ‐ A chi ?
‐ Lasciami! Balzò a terra, la sbatté contro il muro. ‐ Cosa fai qui? Caroline ora aveva paura: – Sono  una venditrice ambulante…
‐ Cosa vendi?
‐ Caffellatte e brioches…
‐ Non avete pane ma mangiate brioches? Caroline  abbassò gli occhi, l’ufficiale scoppiò a ridere: ‐ Sai cosa dice la regina? Silenzio. ‐ Sai cosa dice?! Allargò le orbite come un pazzo: ‐ … Se non hanno pane che mangino brioches! Montò in sella e galoppò via.


L’autorità sospettò un piano per isolare i villaggi, intercettare le navi, impedire il trasporto del grano, affamare Parigi. Furono arrestate centoquarantacinque persone e quasi tutti operai. Per scoraggiare i tumulti il tribunale decise due condanne a morte: in piazza Greve finirono sulla forca un gasista di appena sedici anni e un parrucchiere di ventotto. ‐ Avresti dovuto evitarlo – disse Maria Antonietta al marito
‐ Avrei voluto, ma non ho potuto… A causa di un sistema di produzione arcaico, dove i raccolti variavano da un anno all’altro, non c’erano regole di mercato, città e campagna non comunicavano, prevalevano  intrighi di potere e interessi di parte, il tentativo generoso di liberalizzare il prezzo del pane era finito nel sangue.  Maurepas si distinse per l’assoluto silenzio, abdicò per paura e opportunismo al suo ruolo e sperò che il buon Dio calmasse le acque con una messe abbondante.
Caroline Chevrier apprese delle esecuzioni da una vicina di casa che gliele descrisse con raccapriccio e rassegnazione. ‐ Quel povero ragazzo penzolava con la lingua di fuori – diceva l’anziana donna – però hanno fatto subito un’amnistia…
‐ Finiremo sgozzate da chi esce dalla Bastiglia… ‐ rispose Caroline
‐ Magari per rubarci le brioches! – rise  allusiva l’altra. Poi, scavalcando immondizie e liquami che scorrevano lungo il vicolo, si avviarono per andare a prendere acqua a una fontana.
La frase sulle brioches, mai pronunciata da Maria Antonietta, corse di bocca in bocca e fu riportata in modi differenti: non si può dire sia nata così, si può supporlo. Gli storici, dal canto loro, non sanno nemmeno quando sia iniziata:  di certo si tratta solo di una leggenda, alla quale però qualcuno ancora crede.