La Morte Sull'Aia.

Cingoli (Macerata) agosto 1942.
Il gallo, al solito, dette la sveglia. Trasse fuori la testa dall'ascella, stirò un'ala, stirò l'altra poi, dopo essere saltato giù dall'assicella, le agitò entrambe e, rivolto verso le galline appollaiate, allungò il collo e impartì l'ordine della sveglia con un formidabile chicchirichì. Fu allora uno sfoderar di teste dall'ala e di salti a terra, di scuoter di penne e di stiramenti quindi, ad un cenno del capo, già presso il foro della porta che dava sull'aia, le galline si aggrupparono dietro di lui, in silenzio e lui uscì dal foro, avanzò a collo teso, guardingo scrutando a destra e sinistra. Rassicurato volse lo sguardo laggiù dove il cielo si sbiancava e cantò ancora gonfiando le penne della gola. Le galline a quel grido uscirono una alla volta all'aperto, presero a razzolare, a bere gargarizzando ed a chiocciare. Si guadagnarono anche quella mattina le imprecazioni del pigro maiale disturbato nel sonno nel suo letto di letame. Dopo un po’ giunsero gli altri abitanti dell'aia: le anatre in fila indiana, barellandosi, le oche, i tacchini, i conigli. Il cane uscì da sotto il pagliaio, si stiracchiò, spalancò la bocca guaiolando, fece alcuni giri sin dove la catena glielo permetteva, bevve, leccò nel piatto gli avanzi del giorno precedente. Il sole, frattanto, congestionato in viso, si affacciò a vedere se tutto fosse a posto, picchiò con spruzzi d'oro contro i vetri della casa e allora anche gli abitanti del piano superiore si levarono: fu uno spalancar di finestre, un rumor di porte, richiami, i primi ordini. Poi, come sempre Teodoro, il capoccia, comparve sull'aia in maniche di camicia, pensò al figlio combattente sul fronte russo; l'unico figlio maschio, gli altri, cinque, tutte femmine, purtroppo! Sospirò, emise un fischio, dalla scala scese il garzone, entrò con lui nella stalla, carezzò la cavalla, passò ai buoi, mise del fieno nelle mangiatoie e diede ordini al giovane per la pulizia. Sull'aia intanto un parlottio, le donne s'avviavano al campo, solo Lena, la capoccia, e una figlia undicenne rimasero a custodir i pennuti. A rigovernatura finita, mentre la bimba saliva a riassettare la casa, la donna prese a sgranare delle pannocchie tratte dal magazzino prima in silenzio poi cantando con voce accorata una canzone triste, una canzone triste che diceva che il figlio era lontano, aveva vent'anni e contro aveva un nemico e che la madre avrebbe voluto morire davanti alla porta di casa dopo un abbraccio solo, purché egli tornasse, purché egli tornasse. Teodoro che attingeva con forte stridore di carrucole acqua dal pozzo scuoteva la testa ascoltandola; di lontano, dal campo, altro canto giungeva. Era un coro silvestre, pieno di sentimento, il coro delle giovani spigolatrici. Il capoccia salì in casa, si lavò, infilò giacca e scarpe, fu di nuovo sull'aia: "Vado in paese a far spese." disse alla moglie. S'avviò pensieroso, nella testa un intrico di pensieri: il raccolto non buono, la vacca da comprare all'indomani alla fiera, il figlio che da due mesi non scriveva... Proseguiva a testa bassa, udì delle voci, alzò lo sguardo, si fermò, vide due Carabinieri... Quella viuzza era tagliata nel suo terreno, portava solo a casa sua. Istintivamente fece dietro front, si mise a correre a perdifiato, saltò una siepe graffiandosi le mani sui rovi, prese per i campi. S'addentrò in un vigneto non suo. Si sentì inseguito, corse più veloce ma gli vennero meno le forze. Si fermò sotto una quercia, s'appoggiò al tronco e scivolò giù, sfinito.  I Carabinieri lo raggiunsero trafelati: Ah era fuggito! Se non aveva la coscienza pulita ci avrebbe pensato la giustizia a lavargliela, fuori i documenti. Poiché Teodoro li guardava con occhi fuori dalle orbite e non rispondeva, lo presero per le braccia, lo rimisero in piedi, lo perquisirono. Trassero il portafoglio, lui li fissava sempre con occhi spiritati, lessero il suo nome dalla carta d'identità, cambiarono atteggiamento. Teodoro d'improvviso capì il motivo della loro presenza: "Mio figlio!" e cacciò un urlo. Lo portarono svenuto sull'aia. All'apparir dei militari portanti a braccia il capoccia, Lena sorse in piedi gridando, la bimba accorse alla finestra e poi a precipizio per le scale, al campo le spigolatrici avevano udito e correvano veloci verso casa. Il cane latrava ed abbaiava seminascosto nel pagliaio, un fuggi fuggi di pennuti, i conigli andarono a rimpiattarsi nelle buche, nessuno sapeva ancora cosa fosse accaduto. I Carabinieri portarono in casa il capoccia senza profferir parola, vollero, prima di rivelare il motivo della loro presenza, che Teodoro rinvenisse. Sull'aia era ritornata la calma, aggruppati vicino ad una capanna stavano i pennuti, il cane taceva, i conigli s'erano affacciati ai nascondigli. Il vento, levatosi d'improvviso, portò un nuvolaccio nero a parare a lutto l'aia. Fu allora che dalle finestre aperte giunse un coro di grida, di pianti, di lamenti, il cane latrò a lungo, sparirono il muso dei conigli nelle buche, i polli, l'occhio intento, sorvegliarono a collo teso l'aia e la porta di casa con bruschi scotimenti di creste e di bargigli. Il gallo, vedendo che nessun pericolo lo minacciava, lanciò il suo rauco grido e, ad ali rasoterra, impettito, s'accostò a passi ieratici a una gallina, le sussurrò parole d'amore...