La vita ha deciso per me

Diciotto candeline lampeggiano davanti a me come a ricordarmi di essere felice.
I diciotto segnano un traguardo, anche se per molti miei amici tutto resta uguale e continuano a fare la vita di sempre. Ad andare a scuola, al cinema, alle feste, a farsi accompagnare dai genitori, anche se di nascosto, per non farsi prendere in giro dai compagni. A frequentare le ragazze e a tornare sempre comunque a casa.
Diventare maggiorenni per molti di loro significa prendere la patente e divertirsi. Per altri nemmeno quello. Perché ci stanno troppo comodi nelle loro famiglie e di diventare adulti non ne hanno affatto l'intenzione. Preferiscono adagiarsi in quegli anni di transito dove possono scegliere di essere grandi o piccoli all'occorrenza. E allora organizzano un'importante festa piena di amici e di colori, di patatine, tramezzini, pizzette e qualche alcolico. Se la spassano come se non ci dovesse essere un domani e poi tornano ad essere semplicemente quello che erano un giorno prima, per parecchi anni ancora. Ragazzini viziati, coccolati, felici... Invidiabili.
Per me, che ho aspettato a lungo questo momento, non è così. Io voglio andarmene e voglio riprendermi qualcosa che mi spetta e che  nemmeno conosco.
Voglio ribellarmi e fare quello che mi pare, lontano da tutto quello che ho sopportato e subito. Dalle persone che non sono riuscite a dimostrarmi il loro bene. Da quelle alle quali non sono riuscito a prenderlo io quel bene.
Diciotto. Le guardo secche e ritte, conficcate sopra ad una torta al cioccolato, posizionate precise, in modo che possa contarle e poi spegnerle una ad una. Ricordandomi ogni compleanno, uno dopo l'altro come un peccato. Come una macchia sulla pelle che si espande invece di sbiadire.
Diciotto, gli anni che sono stato senza di te e senza poter vedere il tuo viso, né avere le tue attenzioni. E diciotto senza avere quelle dell'uomo che sicuramente hai amato, amato molto e prima di me e che nemmeno è qui per la mia festa.
Prima mi ha telefonato per farmi gli auguri e neppure mi ha chiesto come sto. Una telefonata breve arrivata da lontano, dal Brasile, la terra che ha scelto come casa per allontanarsi dai lineamenti del mio volto, così simili ai tuoi diceva e poco ai suoi. Io non ne ho idea. So solo che quando mi guardo negli occhi cerco di immaginarti ma non ci riesco perché è troppo difficile. Perché una foto stropicciata non basta per sapere tutto di te. Raramente la prendo e ti fisso. Ne ho una sola, rubata dal cassetto in quella che un tempo era camera vostra, prima che sparisse insieme alle altre. Ho scelto quella dove ci sono anch'io, perso nella tua rotondità ma è come se osservassi una persona sconosciuta e non so quello che provo. Forse perché a volte avrei bisogno addirittura del tuo odore per riuscire ad andare avanti e capire chi sono e da dove vengo e invece devo farmi bastare il mio e sono come un gattino nero abbandonato ai lati di una strada. Perso, impaurito, diverso, sfortunato. 
Dicono che non si possa sentire la mancanza di una persona che non ci sia mai stata accanto e forse è davvero così. Allora, perché tu mi manchi tanto da farmi piangere ogni volta in segreto quando me ne vado a dormire?
Forse perché un'infanzia con i nonni non è semplice da accettare e io con loro ci ho fatto e ci continuo a fare la guerra costantemente. Mi dicono sempre come comportarmi, quello che devo e non devo fare, quello che è giusto e quello che è sbagliato.  Di non rispondere male, di mangiare anche quello che non mi piace, di non chiudermi nella mia stanza con la musica metal ad alto volume. Di aiutarli con le faccende di casa che non sopporto. Di uscire e annoiarmi con loro. Di fare i compiti e smetterla di stare davanti al computer. Di non dire parolacce e di togliermi le scarpe appena rientro.
Come posso ascoltarli se non ci sei stata prima tu a dirmi tutte queste cose?
Mi implorano di avere rispetto, in merito alla loro età, alla loro saggezza. Alla  mancanza di te che ugualmente sentono anche se non eri figlia loro.
Rispetto... Anche io ne avrei voluto, non trovi? Almeno da quell' uomo che non riesco nemmeno a chiamare per quello che è o che dovrebbe essere.
“Ciao Luca” gli dico, “Come stai Luca?” , “Te la spassi laggiù, Luca?”
Un tempo lo chiamavo papà, ora non ci riesco più. Non se lo merita e mi dispiace ma per te, solo per te e non per lui. Perché non condividerò mai le scelte che ha fatto. E non per la nuova donna che ha voluto accanto, perché anche se non mi piace e mai potrà riempire il vuoto che di te sento, forse è pure giusto che ci sia.
Semplicemente perché sarebbe dovuto restare e mi avrebbe dovuto voler bene, con un'altra o da solo ma pur sempre al mio fianco, non pensi?
Invece è scappato dal dolore, come se fosse stata colpa mia, come se io fossi incolume dalle emozioni e dalla tristezza. E mi ha lasciato qui, ancora troppo bambino, implume, indifeso e confuso, a capire come ci si comporta con la vita. La vita...
“Dai Matteo spegni le candeline e esprimi un desiderio!”.
Lucia mi guarda come fanno le adolescenti innamorate alla sua età, sognanti, ingenue e mi sorride sperando che oggi cambi qualcosa.
Io le voglio bene e se le ho permesso di starmi accanto è probabilmente perché si chiama come te. È carina, con i suoi tratti gentili e i capelli lunghi biondi ma amore è una parola che ancora non riesco a comprendere.
Anch'io ho fatto crescere i capelli, sai? Fa più figo dicono quelli del gruppo.
Lucia dice invece che devo imparare a perdonare, me, Luca, la vita... Ma mica lo so se ci riesco.
Lei ha due anni meno di me eppure è molto più saggia. Le femmine sono quasi sempre più sveglie e forse dovrei ascoltarla e svegliarmi anch'io ma che c'è di così bello nello stare lucidi quando la vita è così ingiusta?
Chiedo a te, solo a te, tutte queste cose pur sapendo che sei proprio l'unica che non potrà mai rispondermi.
Lucia mi arriva dietro adesso e mi abbraccia, poi mi dà un bacio sulla guancia e mi incoraggia a festeggiare. Sono sicuro che sta immaginando i miei pensieri tristi e vorrebbe avere il potere di mandarli via. Vorrebbe prendere un po' il tuo posto nella mia testa e nel mio cuore come invece nessuna mai potrà.
Oggi qui, fuori dalla città, l'aria è fresca e si respira bene. Il sole illumina questo giorno e se mi affaccio vedo le montagne sporche di bianco e il cielo sfumato di azzurro. Qualità della vita la chiamano quando ci si rifugia in un ritaglio invidiabile di mondo e si scappa dal caos della grande città, eppure a me stare quassù sembra esattamente una prigione.
A diciotto anni non si riesce a pensare alla qualità della vita ma solo alla confusione. Motorino, poi macchina, birra, amici, sigarette, notti in giro a sbagliare e incazzarsi...
Incazzato è come mi sento ogni mattina quando mi sveglio e devo andare a scuola e devo imparare cose che non so ancora se e a cosa mi serviranno. Quando apro gli occhi assonnati, scanso i capelli ricci appiccicati sulla faccia e non ti vedo ma vedo me e non mi piaccio.
Diciotto anni e non sapere ora cosa farne, perché non sono molti ma pesano troppo e ad ogni compleanno pesano di più e feriscono. Sanno di assenza, di anniversario ingiusto, di dolore e basta.
Ieri Lucia mi ha dato il suo regalo in anticipo, perché anche se dicono porti sfortuna, sa che a me in realtà non me ne frega nulla. Ho aperto il pacchetto rettangolare e ho scorto un libro. Sa anche che non mi piace leggere e che probabilmente mai lo aprirò ma ha insistito perché lo tenessi.
'Il senso della vita'. Più mi obbligano a pensarci e meno riesco a comprenderlo e tantomeno ad accettarlo.
La vita è fatta di scelte, continuamente, ma a noi due non è stato possibile farne.
Ha scelto lei per entrambi, dopo nove mesi di amore, di condivisione, di battiti all'unisono e canzoni ascoltate insieme, dolci, bellissime e che ora non sopporto.
Dopo che mi hai desiderato, nutrito, aspettato e sussurrato ogni sera il tuo amore.
Dopo che ti ho riempito di calci simpatici per avvisarti che ti sentivo e ti aspettavo anch'io. Dopo. Nell'attimo esatto in cui sono arrivato, in cui ho iniziato a piangere forte per salutarti e finalmente per rispondere a tutte le tue carezze. In quello stesso istante in cui tu già non c'eri più anche se stavi lì, immobile e zitta, sicuramente bellissima. Ferma nel tempo, in una bolla di fragilità per tutti.
Ecco in quell'attimo ha scelto per noi. Per tutti noi ma soprattutto per me e per te che invece volevamo stare insieme.
Un grande sforzo per avermi e una misera probabilità di non farcela, che sarebbe stato troppo grande per te e il tuo corpo esile. Eppure è andata così, lasciando tutti nello sgomento più assoluto. Tutti, compreso me anche se ancora non potevo rendermene conto. O forse si. Certe cose si percepiscono all'istante anche nei primi attimi di vita. E il calore umano anche. Quello tuo che non ho potuto avere in quel momento né mai. Quello di Luca.
Non mi ha nemmeno preso in braccio, sai? E sono certo che mi ha odiato da quell'istante e poi non ha smesso più.
È per questo che un senso non lo trovo.
“Magari un giorno ti servirà, ci troverai dentro qualcosa di utile e inizierai a comprendere” dice Lucia.
Lei mi vuole bene e so che mi aspetterà e forse davvero un giorno, da grande capirò e mi perdonerò. E perdonerò anche Luca e lo chiamerò di nuovo papà come facevo da piccolo, quando ancora non sapevo. Quando mi lasciava qualcosa di freddo sul tavolo per farmi mangiare e a me non andava perché anche il cibo aveva un sapore strano, di qualcosa che non c'era e non sarebbe mai tornato, né per me, né per lui.
Forse crescerò e smetterò di pensare a te e comincerò a pensare a lei e farà meno male.
La porterò in spiaggia e le dirò che il mio senso è stata lei e la ringrazierò. Forse sarà così un giorno, forse ma non oggi. Oggi è il mio diciottesimo compleanno e non ci riesco. Soffio sulle candeline con tutta la rabbia che brucia dentro e non sulla loro testa colorata e non esprimo niente perché quello che vorrei ora e ogni volta è vederti, almeno per un giorno, per una notte, per un sogno.