Lavorare di lingua, conviene

Non ero mai stato al "Paradise", alcuni miei amici invece erano stati in quel locale tantissime volte; spesso mi avevano anche invitato a seguirli:
‐ Dai, Norman! ‐ dicevano. ‐ Non farti pregare! Vieni con noi e non te ne pentirai, li si abborda facile! ‐ In effetti il locale, uno dei tanti che animano la vita notturna nella periferia nord della città, ha la nomea di essere un vero e proprio alveare ricco di miele...di api regina che altro non attendono se no di essere infilzate da qualche calabrone di passaggio. Sono sempre stato un tipo tranquillo nella mia vita ed avevo fino ad allora sempre fatto orecchie da mercante agli inviti degli amici. Non sono affatto una persona timida, tuttavia mi piace stare semplicemente sulle mie e preferisco dare agli altri la sensazione di essere schivo, tanto da poter apparire, forse, anche altezzoso e scostante talvolta, piuttosto che mettermi in mostra. Una sera d'estate, però, decisi di "darci un taglio", come suol dirsi, e prendermi una piccola libera uscita...una botta di vita inusitata, insomma. Da due anni oramai vivo da solo in una dépendance carina e confortevole, sulla Hamilton Parkway, vicino Borough Park a Brooklyn: da quando, cioé, mia moglie Joan ed io ci siamo separati e lei andò a vivere, insieme a nostra figlia Reby, con un uomo più giovane, poco fuori New York. Era un sabato e tornato a casa da lavoro (da diciassette anni faccio il capo cantiere per una grossa ditta edile che costruisce palazzi in città e in altri centri urbani vicini dello stato), mi diedi una ripulita, poi cenai e vidi un po' di tivù. Dopo alcune ore (si erano fatte nel frattempo le ventidue), scesi in strada e al bar sotto casa mi feci un paio di whiskey dry; dopo di che ‐ con tutta calma ‐ mi avviai verso il Paradise. Il locale si trova dalla parte opposta della città, rispetto alla mia abitazione, e visto che la "vita" non comincia mai prima della mezzanotte, decisi di raggiungerlo a piedi: avevo tempo (nessuno mi correva dietro, infatti!), pure avevo l'occasione di smaltire meglio la cena e i whiskey appena prima ingurgitati. Al ritorno, casomai, avrei preso un taxi o la metro. Arrivai al locale verso la mezzanotte e trenta. Accesi una sigaretta, prima di entrare. Era la prima volta, in vita mia, che capitava: di entrare, cioè, in un locale di strippers; ed ero abbastanza teso. Una volta entrato, presi posto su un tavolino distante dalla pedana su cui si stavano esibendo due ragazze: una di colore (il suo nome era Leanne, seppi dopo), l'altra era lei, Linzi, una mora statuaria e bellissima. Il tavolino su cui sedevo era defilato rispetto agli altri, quasi nacosto in un angolo dalle luci più soffuse (lo avevo scelto per questo, in fondo). La ragazza, però, mi adocchiò quasi subito. Dopo aver fatto sull'asse d'acciaio sopra la pedana alcune piroette da far venire i brividi...un cerchio alla testa, si girò verso di me e (mi) fece l'occhiolino con l'occhio sinistro. Stetti al gioco, li risposi facendolo con quello destro. Alla fine del suo numero scese dalla pedana su cui si era esibita, andò nel camerino sul retro del locale e dopo qualche minuto ricomparve e si avvicinò a me. Sembrava una pantera; indossava uno slip nero attillatissimo ed un reggiseno rosso dal quale i suoi seni, grossi ma turgidi, trasbordavano parecchio: da vicino era ancora più sexy, affascinante e arrapante...di quelle che ti viene duro in un baleno. Mi disse:
‐ Ciao! Sei nuovo quì, vero? Mi chiamo Linzi.
‐ Si! ‐ risposi io. ‐ E' la prima volta. Tanto piacere, sono Norman! ‐ Sembravo un po' impacciato, lei se ne accorse ma invece di mettersi a ridere e a burlarsi di me, mi mise a mio agio con le sue parole:
‐ Dai Norman, c'è sempre la prima volta per ogni cosa. Sei un matusa ma avrai certamente le tue doti nascoste! (Probabilmente la ragazza si riferiva a ciò che l'uomo aveva sotto i pantaloni, anzi era sicurissimo proprio come lo è altrettanto che la luna sia tonda invece che quadra, che alludesse a quello!).
‐ Cazzo! ‐ pensai dentro di me. ‐ Oltre ad essere uno schianto, questa ragazza è anche in gamba. ‐ Presi allora coraggio e domandai:
‐ Cosa prendi? Ordina pure qualsiasi cosa e...resti inteso che paghi tutto io ‐ Lei fece:
‐ Norman, sei davvero gentilissimo! Prendo un bloody Mary doppio ma faccio...pago io, quà si usa così coi principianti!
‐ D'accordo! ‐ esclamai. Poi dissi:
‐ Raccontami qualcosa di te, mi fa piacere stare ad ascoltarti ‐ Così Linzi cominciò a raccontare (lo fece per parecchio...sembrava un fiume in piena!):
‐ Lavoro al "Paradise" da tre anni, mi alterno con altre sei ragazze che hanno la mia stessa età. Lavoriamo sei sere alla settimana. E' snervante tutto ciò ma ho fatto l'abitudine, ormai. Alla fine del turno sono distrutta, ma spesso faccio i miei "extra", come le altre...li faccio senza farmi pagare con quelli che mi piacciono. Sai qual'é la frase che la metà dei clienti passati per il locale ripete? (Linzi aveva cambiato tono, repentinamente, ed anche espressione: era sempre bella, tuttavia appariva moltissimo arrabbiata. Non la interruppi e lei continuò a parlare). "E' la prima volta che vengo quì. Sono capitato da queste parti per caso, non avevo idea che facessero spogliarelli e altre cose immorali del genere nel locale, altrimenti sarei...". Detesto quegli uomini, la loro ipocrisia. Noi strippers siamo contente che vengano quì, ci mancherebbe altro! Lo siamo che entrino nel locale piuttosto che vadino in un'altro, in fondo: alla fine sono tutte mance in più sul piatto. Mi chiedo sovente e volentieri perché mai debbano spudoratamente mentire a quel modo? ‐ continua Linzi. ‐ vengono a rifarsi gli occhi, sbavando dietro al nostro culo e alle nostre tette e poi magari li ritrovi nel cesso a smanettarsi il cazzo! Molti lo fanno per sfuggire alle loro mogli grasse e brutte; per evadere dal loro menage matrimoniale, che a volte è diventato asfissiante. Ma hanno paura, in fondo, della moglie ed anche ‐ chissà ‐ che qualcuno li faccia fessi, per cui non ammettono apertamente che li piace frequentare posti nei bassifondi come il "Paradise"; e neanche ti dicono mai il loro vero nome ‐ A questo punto la interruppi e domandai:
‐ Linzi, spero che non penserai questo di me? ‐
‐ Ma no, dai! Tu sei diverso, lo sento a naso! ‐ esclamò lei sorridendo.
‐ Davvero? ‐ Feci allora io.
‐ Certo! ‐ ribatté lei. ‐ Ho il naso lungo io, lo è ancor più di quello d'un elefante! Fiuto tutto...le persone eppoi mi hai detto subito il tuo nome, senza esitare un sol momento!
‐ Grazie! ‐ replicai io. ‐ Devo confessarti che sono separato da tempo ed è davvero la mia prima volta. Miei amici invece ci sono stati spesso, quì, e mi hanno molto raccontato sul locale: sono venuto per verificare di persona se sia vero ciocché m'hanno raccontato.
‐ Hai fatto bene! ‐ disse lei. ‐ Anzi, più che bene! (aveva capito a cosa alludessi). ‐ Dopo ti faccio provare una cosina molto piacevole se ti va ‐ Non dissi nulla questa volta e Linzi, adesso molto più distesa, riprese a raccontare disinvoltamente di sé.
‐ Sono una lussuriosa e me ne vanto. Amo il sesso, l'ho amato sin da ragazzina in ogni sua sfaccettatura e mi piace farlo in ogni modo. A quindici anni avevo già tutti gli attributi al posto giusto e in breve cominciai ad usarli nel modo giusto ed il più piacevole possibile. Non ricordo, però, neanche minimamente quanti amanti abbia avuto né con quanti uomini abbia fatto l'amore sino ad oggi (Linzi non ha neanche trent'anni...forse ne ha ventotto, non di più ma ne dimostra molti di meno). Cosa c'é di strano in questo? Tantissima gente invece pensa che lo sia parecchio e anche quanto sia immorale o peccaminosa 
la mia condotta di vita. Non vi trovo nulla di ciò in essa; non vi è niente di sbagliato nel piacere: tanto nel darlo, quanto nel riceverlo. Penso che sbagliato sia invece come la società si comporti eppure la gente che ne fa parte. Se una ragazza, ad esempio, mangia a tavola sino a scoppiare oppure possiede un appetito fuori dal comune e tale da rasentare, a volte, l'ingordigia è una buongustaia per tutti, tutt'alpiù è tacciata di essere eccessivamente stravagante, mentre è ben diversa la musica qualora faccia indigestione di sesso, di uomini e di cazzi: diventa subito nel giudizio comune una puttana! Io sono contenta di essere quello che sono, così come sono perché, in fondo, sono sempre stata sincera ed onesta con me stessa e con gli altri. Cercherò di essere per tutta la mia vita così. Ho anche avuto molte proposte di matrimonio ma ho sempre rifiutato perché so che tradirei mio marito alla prima occasione e penso non sia giusta cosa; lo farei tutte le volte che dovesse capitarmi e con chiunque dovesse piacermi. L'ho fatto anche con due uomini insieme e lo farei anche con una donna o con più di una, se ne avessi occasione. Viva la libertà sessuale, quindi, e l'amore libero in forma di piacere e godimento. Sia chiaro, tuttavia, che non giudico male le altre donne, quelle cioé che seguono una strada diversa dalla mia, praticano scelte diverse attuando una opposta condotta di vita a quella che conduco io. Sono una libertina ma no una irresponsabile incapace di leggere tra le righe della realtà e del mondo circostante. Sono riuscita ad aprirmi in questo modo con te, Norman, e a confidarmi come non mi capitava da svariato tempo. Spero che non mi giudicherai male né penserai che sia soltanto una troia! ‐ esclamò così, Linzi, al termine del suo lungo con...raccontarsi.
‐ No! Non lo sei! ‐ dissi io. ‐ Fai liberamente e senza inibizioni quello che ti piace fare e che, probabilmente, molte donne (o uomini) vorrebbero fare ma preferiscono non farlo, per un motivo o per un'altro, oppure non ne hanno il coraggio. Ma anche se tu fossi la peggiore puttana di questa terra non ti giudicherei mai male: chi sono io, in fondo, per farlo? Non sono né un cristo senza croce né un moralista da strapazzo. ‐ A quel punto Linzi si allontanò per alcuni minuti, andando nel suo camerino a cambiarsi di nuovo, poi tornò da me, mi prese per mano ed esclamò:
‐ Andiamo! ‐ senza proferir parola alcuna mi lasciai condurre da lei. Camminammo cinque minuti appena e due isolati più avanti rispetto al Paradise entrammo in un portone illuminato a giorno e ci dirigemmo all'ascensore. Era un condominio di lusso, insolita cosa per il quartiere in cui si trova, tenuto molto bene (lo si vedeva dalle rifiniture delle pareti, dall'arredamento, dalla moquette nell'ascensore). Arrivammo all'ottavo piano ed entrammo nell'appartamento di Linzi. Lei portava una camicetta rosa, sbottonata sino all'orlo dei seni, e una cortissima gonna con lo spacco nel mezzo. Non indossava né reggiseno né mutandine (le aveva tolte nel camerino, al Paradise: voleva già essere pronta per l'uso, probabilmente!). Lentamente si tolse di dosso gli abiti, ma mantenne le scarpe coi tacchi alti ai piedi. Poi mi domandò:
‐ Hai mai lavorato con la lingua? E' un mondo a parte, credimi. Si può godere fino a morire di piace...senza limiti.
‐ No! ‐ secco gli risposi. ‐ Con mia moglie ho praticato solo cose tradizionali, quasi per abitudine. Il sesso non ci prendeva più né ci soddisfaceva tanto, oramai, soprattutto negli ultimi tempi del nostro matrimonio. Io sopra di lei col mio uccello dentro la sua fica e al massimo poi...una sborrata sul suo ombelico.
‐ Non preoccuparti, Norman! ‐ mi disse lei rassicurandomi ancora una volta e mettendomi a mio agio. ‐ Nessuno nasce prof a questo mondo. Le cose si imparano provandole, poco per volta. Seguimi e magari ti piacerà darmi piacere e sentirne dentro di te, nel mentre lo dai a me. Linzi si adagiò sul divano nel salotto, allargò poi le sue gambe ed esclamò a gran voce:
‐ Dai, comincia, vecchio! Leccami il clitoride, leccamelo per bene, su! Fallo e mi farai morire di piacere! ‐ Così mi piegai su di lei e cominciai a leccare sopra la sua fica con la mia lingua (nel mentre lo facevo gliela allargavo dolcemente poggiando l'indice ed il pollice della mano destra sui bordi), da destra a sinistra e poi dal basso verso l'alto, dapprima lentamente e poi con maggior frequenza; la mia lingua sembrava un cuore pulsante, che batte e freme all'unisono mentre Linzi ‐ da par suo ‐ cominciò a gemere facendolo talmente forte che io temetti, per un attimo, che le pareti della stanza ascoltassero e dicessero "Maleducati, vergogna!". Andammo avanti per una decina di minuti abbondanti. Dopo di che, Linzi mi disse:
‐ Prova con le dita, adesso! ‐ Allora infilai l'indice della mano sinistra nel buco della sua fica ma lei fece:
‐ Fallo con due dita e spingi un po' più forte, non aver paura! ‐ Li diedi retta e presi a farlo anche col medio. Dopo qualche minuto ansimò di nuovo eppoi squirtò abbondantemente: sembrava una fontana ed io il viaggiatore assetato che va ad abbeverarsi in un'oasi, dopo aver camminato a lungo sotto il cocente sole in pieno deserto. Mi bagnai dei suoi umori e non mi diede affatto fastidio, tutt'altro. Linzi mi guardò negli occhi e mi disse:
‐ Hai fatto un cannilingus perfetto ed un lavoro di ricamo...di dita al bacio! Vedi che non è difficile, in fondo! Basta provarci, eppoi le cose vengono da sé! ‐ Linzi aveva ragione, pensai dentro di me. A quel punto lei si sollevò di scatto e senza neanche darmi il tempo di muovermi né di dire qualcosa, mi prese per le braccia scaraventandomi vicino alla parete. Dopo cominciò a leccare la cappella del mio uccello (il quale, nel frattempo, era diventato duro come il marmo bianco che cinge l'urna della tomba della mia povera mamma al cimitero), poggiando dolcemente la sua mano destra sotto i miei testicoli, nel mentre lo faceva. Una linguata dopo l'altra, dall'alto verso il basso e viceversa sino alla...nona (come le sinfonie di Beethoven perfettamente eseguite da Herbert Von Karajan!), quando fui io ad ansimare di piacere e a sborrare sul suo viso. Poco prima gli avevo donato godimento con la mia lingua e le dita, lei era stata adesso a ricambiare il favore: un dare e avere reciproco senza nessuna inibizione o freno né particolari preconcetti. Le stesse cose, pensai, che Linzi mi aveva detto quando eravamo al Paradise. La ragazza fece:
‐ Vedi che bello...lavorare di lingua, conviene!
‐ Sì! ‐ esclamai io. ‐ Adesso ne sono convinto! ‐ Linzi si alzò in piedi e mi baciò sulla bocca, così lo sperma che aveva sulla lingua e sulla sua bocca si ricongiunse a me, almeno in parte. Dopo avermi baciato si mise un'asciugamano sulle spalle, poi si diresse verso il bagno. Mentre camminava, però, si voltò verso di me e disse, alzando la voce quasi gridando:
‐ Torno subito, aspettami! ‐ Io invece mi rivestii in fretta e andai via. Non sono più stato, dopo quella sera, al Paradise né ho incontrato Linzi da nessuna altra parte. So, per certo, che lei continuerà a lavorare con la sua lingua, a fare pompini; magari dopo che qualche altro (uomo o donna che sia, poco importa!) li abbia dato, a sua volta, piacere con la propria lingua, con l'uccello o con qualsiasi altra cosa, in un semplice e reciproco avvicendarsi di dare ed avere, appunto. Le stesse cose ascoltate proprio da Linzi, durante il suo racconto. Dopo essere uscito dal portone dell'appartamento della ragazza, fermai un taxi e mi feci riportare a casa. Era l'alba da poco ma il sole già faceva capolino sopra il cielo della "grande mela". Era anche domenica mattina e non sarei andato a lavoro. Lungo il tragitto, tra me pensai: "lavorare di lingua, conviene e d'ora in poi lo farò più spesso al posto di dire stronzate!".

da: "Racconti erotici".

Taranto, 24 marzo 2021.