Le nebbie di Vraibourg

Etienne Dorin aveva diciotto anni e nessun altro passato che il collegio di Lisien. Era un esposto, abbandonato in fasce e cresciuto grazie alla carità dei frati e di qualche borghese dalle tasche piene. Ben poche possibilità gli si prospettavano e la generosità dei suoi istitutori non
sarebbe bastata a pagare nessuna università.
Camminava in fretta lungo il corridoio verso lo studio di padre Marcel: il priore lo aveva mandato a chiamare per comunicargli importanti novità sul suo futuro. Appena entrato, padre Marcel gli chiese se volesse un po’ di latte, ma Etienne sapeva che la percentuale lattea era nettamente inferiore a
quella di acquavite e così rifiutò cortesemente, adducendo come scusa la colazione appena fatta. Il religioso si servì, si accomodò su una robusta sedia ed esibì un sorriso a metà tra l’evangelico e l’alticcio.
«Etienne caro, ho buone nuove per te, ma prima devi rispondere a una domanda.»
«Certo, padre.»
«La mia è una questione metafisica ed empirica a cui tutti dobbiamo rispondere prima o poi, e meglio prima che poi. Dunque, molto semplicemente: non vorrai mica andare all’Inferno?»
Etienne sapeva che qualsiasi discorso con padre Marcel aveva come premessa l’assicurazione della propria anima al Paradiso e quindi non si stupì.
«Assolutamente no.»
La barba rossa del padre si aprì in un sorriso.
«Bene, bene, ne ero sicuro. E dunque saprai che l’anima deve essere preparata alla salvezza attraverso la preghiera e le azioni devote che devono essere compiute fin dalla più giovane età. Io da ragazzo ero uno scavezzacollo, un ubriacone e per questo devo ancora molto espiare e rivolgermi a Dio per poter sperare, non dico nel Paradiso, ma almeno in un Purgatorio di media austerità.»
Finì in un sorso il suo latte e se ne servì un altro bicchiere.
Si rivolse a Etienne: «E quindi, caro figliolo?»
Etienne stava ancora pensando se un Purgatorio di media austerità potesse essere paragonato a un albergo decoroso, ma non troppo, e la vaga domanda lo colse di sorpresa. Si guardò
attorno come a cercare un suggerimento e si buttò: «E quindi…sì», fece una pausa di riflessione. «Sì, indubbiamente.»
Padre Marcel sorrise ancora e aprì le braccia.
«Iddio sia lodato nunc et semper! Lo sapevo che avresti acconsentito. Padre Philippe diceva che tu non sei tagliato per questa vita, ma io l’ho avvertito: ‘Vedrai, fariseo, che il nostro pupillo accetterà con entusiasmo!’»
«Ma accettare cosa?»
«Come cosa: la vita senza il peccato, la preghiera, il lavoro e un posto prenotato all’albergo di Nostro Signore!»
«Padre, tutto ciò è meraviglioso, ma non credo di aver ben capito cosa devo fare.»
«Beh, diventare un confratello, te l’ho detto!»
«No, assolutamente no!»
Padre Marcel si confuse: «Vuoi dire che non te l’ho detto o che non vuoi diventare frate?»
Etienne prese un bel respiro e si calmò. Non voleva ferire il padre, ma non poteva acconsentire. Sfoderò il suo sorriso più innocente e aggiunse: «Io sono in debito con voi, con tutti voi e ne sono consapevole, ma, padre, è proprio per il rispetto che vi porto che non posso accettare. Il collegio è e sarà sempre la mia casa, ma se vi mentissi, sarei colpevole di fronte a voi e a Dio». Pensò che non gli fosse venuta male: l’amore c’era, il rispetto pure e come gran finale niente meno che Dio.
Padre Marcel, nonostante trangugiasse tutto dai quindici agli ottanta gradi, non se la bevve. Socchiuse gli occhi.
«Ho capito, ho capito. Allora non vuoi rimanere con noi. Del resto, il nostro modo di vivere non è adatto a tutti. Bene, fa’ come vuoi.»
Ma quando Etienne fece per alzarsi e salutarlo, padre Marcel gli tuonò: «Siediti, non vuoi sentire quello che ho da proporti per il tuo futuro?»
«Pensavo che fosse la vita religiosa la vostra proposta.»
«Lo era. Certo che se non vuoi andare in Paradiso…»
«Mi manda all’Inferno?» concluse Etienne sorridendo.