Le Tre C

Pieno agosto, abitazione all’ultimo piano di Roma in viale dei Glicini 18 Alberto all’ombra del caseggiato del suo attico, ad occhi chiusi,  stava assaporando il silenzio della città, la maggior parte degli abitanti in villeggiatura, solo qualche autobus urbano quando un urlo acuto di donna…non poteva essere sua moglie era in camera da letto a riposare, malvolentieri si alzò dalla sedia a sdraio per controllare, di Rosalba in casa nessuna traccia, che fosse stata proprio lei, un dubbio atroce, Alberto si affacciò dal muro dell’abitazione… effettivamente nella strada sottostante una figura scomposta di donna in camicia da notte del  colore azzurrino uguale a quello di sua moglie. Una corsa per le scale, niente ascensore per far prima, maledizione era proprio lei…Alberto non aveva con sé le chiavi della DS 3, per fortuna l’ascensore era a piano terra, recuperò il mazzo delle chiavi e di nuovo in strada, il corpo  di Rosanna sembrava quello di un pupazzo tanto era scomposto, riuscì ad infilarlo nel sedile posteriore poi suonando il clacson in continuazione giunse al pronto soccorso dell’ospedale San Giovanni. Due infermieri sopraggiunti posero delicatamente il corpo di Rosalba su una barella poi direttamente in sala operatoria. Nessuna comunicazione sino a quando uscì un medico, si avvicinò anche il poliziotto di guardia che: “È lei il signore che ha trasportato il cadavere della donna sino a qua?” “Quale cadavere quella è mia moglie.” Alberto stava sragionando. Il medico  comprese la situazione, prese Alberto sotto braccio e lo condusse nella sua stanza “Capisca il poliziotto, ogni volta che giunge in ospedale una persona deceduta non per motivi naturali c’è da fare una segnalazione al Pubblico Ministero per l’autopsia.” Alberto era un mare di lacrime: “Ci mancherebbe pure questo, risparmiatemi almeno questo dolore. Sono il cugino del dottor Rocchegiani che potrà darvi notizie su di me.” Il medico in questione fu rintracciato per telefono, offrì ampie assicurazioni sul suo parente e decise di presentarsi appena possibile al pronto soccorso. Un’agenzia di Onoranze Funebri avvisata dal medico di guardia si presentò all’Ospedale San Giovanni, una cassa da morto foderata un rosa e poi ‘lento pede’ al cimitero Verano per la sepoltura nella cappella di famiglia. Tutti i residenti del condominio dietro il carro funebre. Alberto con un cenno li pregò di evitare le solite condoglianze, aveva anche evitato il passaggio in chiesa, non aveva alcuna voglia di lasciare un ‘fiore che non marcisce’ ai ‘bacarozzi’ da lui sempre detestati. I giorni seguenti  chiuso in casa o nella sua bottega di scultore in legno al piano terra. Irato a’ patri numi’ frantumò tutte le statue lignee di Beati, di Santi e di Madonne che vendeva ai religiosi. Il ritrovamento di un tappeto vicino al corpo di Rosalba fece propendere gli inquirenti per un disgrazia,  Alberto fu definitivamente scagionato. Il lavoro di  scultura leniva in qualche modo il profondo dolore di Alberto, tralasciati i soggetti religiosi Alberto si ‘buttò’ sul nudo classico, in primis le statue greche, romane ed etrusche da lui ammirate nel libro di storia dell’arte, recuperò dalla pubblicazione: la Venere di Milo, Afrodite, Frine, le Tre Grazie ed anche quelle più moderne come Paolina Bonaparte. Si mise di buona lena, quando giunsero in ‘bottega’ i ‘bacarozzi’ per l’acquisto di statue religiose quasi svennero, si congedarono con un ‘vade retro satana.’ Persi dei clienti Alberto ne recuperò altri ben diversi, gli appartenenti alla LGBT che festeggiarono l’anticonformismo di Alberto, effettuando acquisti di nudi maschili soprattutto quelli  più ‘espliciti’. Invitarono Alberto al corteo Arcobaleno programmato nella città di Pesaro. Alberto ringraziò soprattutto per gli ‘Euro’ incassati, gli erano venuti meno i sacri Euro Vaticani. Day after day, giorno dopo giorno qualcosa stava cambiando nel cervello del non più giovane, ricordò quel concetto che dopo un evento ad alto impatto negativo la mente per autodifesa tende a dimenticare. Per primo  si interessò ai fatti del palazzo, sotto al suo attico l’appartamento  una vecchietta, da tutti chiamata nonna Maria. la cotale era vedova di un certo Sinesio nome decisamente fuori dal comune ma a cui lei teneva molto. Lella, la portiera che occupava un mini appartamento a lato della bottega di  Alberto aveva adottato un giovanissimo ucraino che affermò di non ricordare per quale religione i suoi l’avessero battezzato né né ricordava il suo nome (diceva lui), quale miglior occasione… “Nonna Maria che ne dice di fare la comare al figlio che ho adottato, è scappato dalla sua terra abbandonato dai genitori, non ricorda nemmeno come si chiama.” Una furbata alla quale nonna Maria fece finta di credere. “D’accordo ma il nome lo scelgo io.” Ovviamente l’ucraino si trovò affibbiato il nome di Sinesio non che a lui importasse più di tanto, rispetto alla sua patria di origine si sentiva un pascià, mangiava alla grande, vestiva da signorino, stava imparando l’italiano e così il figlio della portiera mutò completamente il suo stato occupando anche insieme alla madre adottiva un mini appartamento al piano terra vicino alla bottega di Alberto il quale rinverdì il suo hobby della fotografia, con la fida Canon EOS R5 35/135. Riprese tutte le statue scolpite,  mise in vetrina le riproduzioni fotografiche ma i soliti ben pensanti, scandalizzati, pensarono bene di frantumare i vetri della vetrina e di asportare le foto. Un giornale scandalistico riportò l’episodio corredandolo con la riproduzione della bacheca in pezzi, scandalo fu per dirla alla siciliana. Quell’articolo attrasse l’attenzione di una appartenente alla L.G.B.T. che decise di portare una gigantografia della vetrina al corteo che si sarebbe tenuto a Pesaro nei giorni seguenti. Alberto aderì all’invito di Letizia, una dei capi della LGBT;  con la fida DS 3 e l’immancabile Canon una mattina presto in compagnia della nuova amica si aggregò nell’autostrada al rumoroso corteo: itinerario Roma, Falconara, Senigallia, Pesaro Gran Hotel Vittoria. Sistemate le auto nel parcheggio i componenti della compagnia presero a cantare gli inni del Gay Pride in particolare la canzone ‘Ma che te frega, ma che t’importa.’ I toni erano molto alti, alcuni ospiti dell’albergo ancora insonnoliti, protestarono con gli addetti all’albergo che furono tacitati con tanti €uro. Alberto chiese e ottenne da Letizia di dividere con lei il suo attico, non voleva la compagnia di qualche ‘sfegatato’ o  ‘sfegatata’. La prima notte: “Caro io amo i fiorellini…” “Pure io” fu la risposta dell’Albertone che si trovò baciato in bocca con un sapore dolce, piacevole, fu solo l’inizio. Soliti cortei per le strade della città e dei paesi vicini. “Caro voglio dirti qualcosa di me, sono abruzzese, di un  paesino a nome Monte Silvano, mio nonno Alfredo a suo tempo era ricco e famoso, titolare dell’unica farmacia, io ho ereditato…” “Mai scopato un’ereditiera…” La ‘cosa’ non finì lì, Alberto il giorno dopo si accorse che la sua carta di identità era stata presa dal borsellino poi rimessa a posto, non mancava nulla…bah. Letizia in vena di confidenze: “Sessualmente mi piace cambiare, ho conosciuto una bella ragazza appena maggiorenne, l’ho ‘ripulita’ perché non è abbiente, è dolcissima, non vedo l’ora di tornare a Monte Silvano.” Ad Alberto venne in mente che il nome di quel paese era ‘circolato’ fra la sua parentela: “Cara forse siamo parenti, i miei sono di estrazione abruzzese, forse cugini.” “Mai scopato con un cugino, non vorrei rimanere incinta di un parente!” La ‘cosa’ non finì lì,   ritornata a Roma la ‘compagnia’ con grandi abbracci e baci si sciolse, dopo un passaggio nel locale ‘La parolaccia’, incassati more solito insulti da parte dei camerieri Alberto e Letizia passarono l’ultima notte di ‘fuoco’ nel lettone del ‘cugino’ che si svegliò la mattina tutto intontito, sul comodino un assegno in bianco e vicino una scritta: ‘la favola breve è finita…’ Un addio con i versi del Carducci e con un significativo regalo che mandò in crisi Alberto che non sapeva come regolarsi con l’assegno, pensò che aveva ragione Svetonio ‘pecunia non olet’… Altro avvenimento, una mattina mentre era a bottega Alberto ricevette una telefonata: “Chi rompe?” “Sono Manlio tuo fratellastro, lo so, non ci sentiamo da molto tempo, l’ultima volta che ci siamo sentiti abbiamo litigato per futili motivi,  insegno lettere, mi hanno trasferito da Messina al liceo classico Visconti di Roma, mi piacerebbe avere un tuo aiuto per sistemarmi insieme a mia moglie Aurora, è una bella siciliana…” Alberto di tutta la conversazione captò solo che la moglie di Manlio era una bellezza della Trinacria, forse disponibile, dopo la partenza di Letizia era a corto di ‘materia prima’. “Abito in una villetta in viale dei Glicini 18, c’è un appartamento libero.” Grazzissime, mi hai tolto un pensiero, nella Mini Cooper di mia moglie c’è il navigatore satellitare, fra cinque giorni sarò a Roma con tutto il mobilio di casa mia, di nuovo grazie.” Nel frattempo: “Caro hai scritto la cifra sull’assegno?” “Ho pensato a ventimila, mi sono allargato troppo?” “Scrivi pure cinquantamila e buona fortuna.” Le cose andavano alla grande per Alberto a mezzogiorno del quinto giorno una Mini Cooper verde si fermò dinanzi alla bottega del fortunato. Dopo un attimo di imbarazzo un abbraccio fra i due uomini, una semplice stretta di mano con Aurora. Scaricati con l’aiuto di due facchini i mobilio al secondo piano, cena nella vicina trattoria ‘Hostaria da Cesare’ poi un arrivederci al vitto serale del giorno successivo, un sabato. Alberto era confuso, Aurora aveva fatto colpo su di lui, si era presentato al secondo piano tutto allicchittiato con un mazzo di undici rose rosse chiaro segno di…Manlio dimostrò ancora una volta il piacere di aver ritrovato il fratellastro. Aurora si era ‘esibita’ in una cena tutta messinese: pasta incaciata, pesce stocco, pidoni, focaccia, arancini e final bang cannoli ripieni di ricotta, solo il vino era dei castelli romani. Aurora era in piena forma, per farsi perdonare la marachella di aver acquistato il cibo messinese nella vicina Trattoria dello Stretto in via del Leoncino abbracciò Alberto rivelandogli l’inghippo. Sinceramente ad Alberto non era affatto interessato al vitto ma quel forte profumo di donna l’aveva un po’ ubriacato. Intervenne Manlio: “Dì la verità Aurora ti ha fatto effetto!” Nel frattempo la dama era sparita dalla circolazione ripresentandosi poi in mini gonna senza calesons e con camicetta aperta che metteva in mostra un seno bellissimo. Il là fu dato da Manlio che si sedette su una poltrona iniziando a masturbarsi, un cuckold, moglie offerta. Il ‘ciccio’ di Alberto fu circondato da calde labbra,  gratificò la bocca di Aurora di un caldo liquido e poi si introdusse nella disponibile vagina. La ‘storia finì a notte inoltrata. Alberto nei giorni successivi diradò di molto il suo lavoro di scultura del legno dedicandosi più corpo che anima ai buchini di Aurora, talvolta effettuava il ‘change of the bed’ con Manlio ben contento di ‘monitorare’  la consorte nella camera da letto del ‘cognato’ con un spioncino digitale. L’appartamento vicino a quello di nonna Maria fu occupato  da due coniugi anziani, antipatici, con al seguito  una ragazza giovane, alta, bionda, i cotali  non diedero confidenza a nessuno degli altri condomini. Alberto ricordò che in passato circolava il detto secondo cui le tre C pericolose fossero: cugini, compari, cognati, il predetto detto  valeva per l’isolato di viale dei Glicini 18, comare nonna Maria, cugina Letizia e cognata Aurora.  Chissà se la alta e bionda sarebbe stata disponibile…