Le ultime della notte

Scrivo delle ultime ore della notte, zona di confine, terra di frontiera e redenzione. Ore sottili, di dissolvenza, di chiaroscuri soffusi che si stemperano nelle luci dell’alba e svaniscono tra i primi bagliori del mattino. Scrivo di quelle ore sospese e della pioggia che si è posata sulle strade della città, leggera e brillante, un velo lucido di promesse di rinascita e purezza, di nuovi orizzonti.
Strade asfaltate di riflessi tinteggiati e tremolanti nella notte, pozzanghere come specchi verso il cielo, tutto è bagnato, scivoloso, sfuggente.
Un semaforo lampeggia nervoso la luce più gialla che riesce a colorare, ritma l’intermittenza a tempo con il battito della città, cerca il suo riverbero sulla superficie della strada. Nessuno si preoccupa del suo pulsare, poche auto solitarie sfilano indifferenti attraverso incroci assopiti e distratti, oltre placidi svincoli sonnolenti, verso cosa non si sa, nessuno lo vuole veramente sapere.
Un cane vagabondo annusa il buio e guarda rapito e smanioso ai pacchi di giornali appoggiati ai lampioni. Notizie intrappolate, soffocate, bisognose di ossigeno e di avidi lettori mattutini. Un pacco era aperto, la pioggia ha fatto colare l’inchiostro sul marciapiede e disperso l’informazione in forma liquida sull’asfalto, tra le impronte distratte dei passanti di ieri e di domani.
Serrande abbassate, lucchetti, antifurti. La città chiude per la notte, si nasconde, si protegge da se stessa. Poco più avanti una luce esce timida dal vetro appannato di una finestra. Rumori di lavoro, di strumenti e di impegno. Profumo di pane, di forno e di cose buone. Il cane vagabondo si avvicina alla finestra con occhi famelici e sognanti e si accuccia sotto il cono di luce fragrante.
Sopra la testa il cielo è scuro, nero profondo. Lontano, oltre il profilo irregolare delle montagne, oltre il loro disegno nitido e seducente, il buio stempera lento e sereno verso un blu accarezzato dal sole crescente.
Si respira aria intrisa di un’armonia appena sussurrata. Sembra di sentire la musica del passaggio, il suono delicato della notte che sfuma lentamente nel giorno. Anche gli uccelli cantano melodie più ispirate, improvvisano frasi ardite, surreali, oniriche. Forse si sono appena svegliati e ripensano ai sogni della nottata.
Dormiranno mai gli uccelli di città? E cosa sogneranno?
Di colpo si alza un vento teso, insolente e profumato. Arriva da occidente, va incontro al sole. Sgombrerà il cielo dalle nuvole e dai dubbi, farà chiarezza e regalerà certezze.
Le fronde degli alberi si abbandonano in una danza senza tempo, rapite nell’estasi del movimento. C’è qualcosa di profondo, nel loro oscillare sinuoso e tribale, qualcosa di spirituale, di divino.
Una folata spalanca una finestra, nel vecchio palazzo di pietra e storia, una tenda bianca come la luna svolazza nella notte. Si intravede qualcosa, oltre il drappeggio gonfiato dal vento. Ci sono fotografie sparse sul tavolo, istantanee che portano sui bordi i segni inesorabili del tempo, scatti di vita ingiallita e velata dal ricordo. Qualcuno ha fatto un viaggio nel passato, lungo le strade della memoria, alla ricerca di qualcosa di perduto.
Pochi piani più in basso, la testina di un giradischi accarezza l’ultimo solco di un vecchio vinile e si perde nella scia delle ultime note che ancora aleggiano tra le pareti della camera. Lenzuola stroppicciate, candele, bottiglie di vino. Odore di destini intrecciati, di corpi destinati ad intrecciarsi. Qualcuno si è amato, questa notte.
All’ultimo piano, la dolce nenia di un carillon culla il sonno di una bimba appena nata. Dormi bene, piccola, fai sogni d’oro.
Sull’altro lato della strada, qualcuno fuma una sigaretta, a testa bassa, appoggiato al davanzale di una finestra aperta sulla città. Assapora la magia del momento, il sapore inebriante di queste ore, le ultime della notte.
Poi getta la cicca al vento e alza lo sguardo, nel primo sole di un nuovo giorno.