LETTERA

«Antonella, o Nella come amava farsi chiamare, non sopportava il rumore della sveglia.
Il suono stridulo, il più forte ed insopportabile che avesse mai ascoltato, sopraggiungeva all’improvviso ad interromperle la storia di un sogno, una qualsiasi storia della quale non avrebbe mai saputo il finale. Anche questo la infastidiva.
Avrebbe voluto alzarsi e romperla una volta per tutte. Ma si girava semplicemente per cercarla e pigiare quell’odioso tasto di stop. «Ne comprerò una nuova un giorno e tu sai bene la fine che ti aspetta…» diceva a se stessa mentre infilava le pantofole ai piedi. Poi accendeva il computer prima ancora di andare a preparare il caffè. Era ansiosa di vedere se il suo amato Idag le avesse risposto. Intendiamoci bene, amato in senso metaforico, considerato che Nella non aveva nessuna intenzione di metter su una relazione seria, almeno per il momento.
Il suo amore per Idag era lo stesso che aveva per i gatti, colmo di identica tenerezza per qualcuno che, a suo dire, aveva bisogno di un sostegno, qualcuno che fosse capace di dimostrare di esserci, veramente.
Era un’idealista Nella, altro se lo era. Ma questa parte di se era nascosta al resto del mondo, alla maggior parte del mondo, quello che avrebbe incrociato di li a poco, fatto di visi anonimi, di gesti ripetitivi, di sguardi stupidi ed interessati.
Idag stava li, dentro ad un pc, ed era il suo tramite verso ambizioni perdute, sogni infranti, amori impossibili.
Quante volte era ricaduta e si era ripresa? Non lo ricordava nemmeno più. Quante volte si era detta: «Basta. Da domani si ricomincia?!»
Eppure sentiva dentro di se l’energia inesauribile di chi vuole credere che un sogno possa trasformarsi in realtà.
Spesso le veniva in mente una vignetta in cui Charlie Brown assiste ad un incontro di baseball. Nel corso della partita viene battuto un fuori campo e, incredibile, la palla gli si avvicina a velocità inaudita. Charlie, il buon vecchio Charlie, alza il braccio e blocca la palla con una sicurezza che certamente non è mai stata sua. Mentre si stupisce della sua presa, dal campo si sente la voce dell’allenatore che urla «Ingaggiate quel ragazzo».
Ecco com’era Nella, ma lei non lo sapeva.
Mentre il caffè iniziava ad uscire con il noto ribollio, la posta elettronica mostrava la presenza di un nuovo messaggio: era Idag.
Corse a versarsi il caffè e a prendere le sigarette. Non avrebbe mai interrotto la lettura di una risposta tanto attesa.
La mail così diceva:
«Cara Antonella,
certo non avrei pensato che alla mia età ancora qualcuno, o qualcuna, potesse raggiungermi per girovagare, o giocare, con quella parte di me così nascosta, da essere a volte sconosciuta a me stesso.
È vero quello che ti ho scritto, che uno stimolo non può venire da dentro se il pensiero ti dice che tutto è compiuto, che quindi nulla di originale potrà mai nascere in tutto l’umano futuro. Ma questa notte, mentre meditavo sulle tue parole e su di me, mi sono reso conto di aver sbagliato a dire ciò che ho detto, a scrivere così ciò che realmente pensavo allora.
Ma vedi Antonella, non dico questo perché tra le persone che mi hanno letto ci sei anche tu, che dall’alto della tua sensibilità hai vissuto, ed interpretato, e rielaborato il mio pensiero. Dico questo perché il pensiero cambia, come le trame dei libri. Oggi è una storia domani un’altra. Ognuno di noi è ciò che è, nel momento in cui manifesta se stesso. Dopo un secondo, un’ora, un anno, è una persona diversa, che pensa diversamente, che elabora diversamente perché tutto si modifica ed ogni cosa si evolve.
Tu hai ventisei anni e non puoi far tue mie idee, che strisciano lentamente sotto il peso di ciò che è stata la mia vita, la mia personalissima storia.
Devi scrivere la tua storia. E alla tua età non sempre fa bene ascoltare parole come quelle che ho scritto.
Io non sono poi tanto speciale come tu mi descrivi. Faccio una vita come la possono fare tutti e, probabilmente, se mi vedessi rimarresti delusa. Si, delusa. Ma non parlo del mio aspetto fisico o della sovente mancata corrispondenza con il suono che dona una voce. Rimarresti delusa perché infrangeresti la bolla in cui galleggia il tuo sogno. Parlo dell’immaginario che è in noi, di quelle sensazioni che ci esaltano, e ci sostengono, aiutandoci a vivere.
Questo io oggi sono per te e te lo dico in nome della tenerezza con cui le tue parole mi hanno segnato, affinché le prospettive di una donna, all’alba della vita, varchino la soglia del locale dove ti rechi ogni mattina, per ridiscendere in un mondo reale, in cui si concretizzi ciò in cui credi.
Ed io, in questo senso, forse, non ti ho aiutata. Scusami.
Con grande e tenero affetto.
Idag.»