Menisco

MENISCO

Vi sembrerà strano, ma anche Menisco era un uomo; magari non ci rassomigliava molto, ma noi siamo sicuri che lo fosse. 

Alcuni lo chiamavano Mentino, ma a noi piace di più il nome che gli abbiamo inventato per cui lo chiameremo Menisco per tutta la durata della racconta. 

Giudicate Voi se non abbiamo ragione a ritenere che esso fosse un uomo: tre gambe (quattro coi due bastoni), occhi trasparenti (che liquefano a 15°), testa di dimensioni più che normali presso al poco grande come una gatta pelosa, naso aquilino con tre punte triangolari ciascuna delle quali è in grado di secernere 10 chili di capperi all’ora. I capelli, particolare curioso, spuntavano sì dal cranio, ma si rituffavano all’altezza del mento per formare tutt’uno con la barbabarba. Il resto del corpo ricadeva perlochiù nella fisionomia comune: statura ottanta centimetri, articolazioni mobilissime tanto che riusciva ad annodarle con un nodo quadro complicato e doppio.

 

Il nostro Menisco viveva ai bordi della sua città, di cui naturalmente non possiamo riferire dato che non esiste a meno che non vi inventiamo noi un nome (Granitopoli, per esempio).

 

Povero come un cane barboncino allevato da uno scozzese, si procacciava da vivere evitando di procacciarsi da morire…

 

Ogni venerdì mattina si recava tutte le domeniche al Granitodromo, un piccolo stadio dove si svolgevano le corse delle granite. Prendevano il via alla competizione tutte le granite immaginabili a ‘sto mundo: granite al limone, al pistacchio, al caffò, al cocomero, al lampo, alla menta, allo zucchero, al tamma‐rindo, alla Schweppe, alla Coca Cola con whisky, alla camomilla, alla pizza, al carciofo, al ragù, al tonno, al cocco, ai funghi e via dicendo fino a che se ne abbia voglia …

 

La gara si articolava in cinque fasi: partenza ed arrivo e la prima che arrivava vinceva. Al colpo di cannoncino (alla crema) che annunciava il via, le granite venivano rovesciate dal bicchiere che le conteneva sulla pista leggermente in salita, per cui esse, scivolando verso il fondo, si muovevano; restando ciascuna nella propria corsia viaggiavano con brio verso l’arrivo, qui venivano riraccolte e premiate.

 

La perfezione della tecnica locale aveva portato alla costruzione di vere e proprie granite da competizione per la cui progettazione i migliori artigiani di Granitopoli si erano affaccendati entusiasticamente, pur di risultare artefici di una granita campione.

Il vecchio Menisco era uno di questi costruttori: grazie alla sua melizia o perizia che sia, aveva portato a termine la granita al caciocavallo che si era rivelata una vera e propria bolidessa ma era stata squalificata dalle gare perché provvista di più di cinque caciocavalli‐vapore di potenza, che era il limite massimo consentito. Aveva pure rapportato un certo successo la sua granita al burro velocissima, sì, ma dopo tre corse si era già sciolta… Anche la granita al sapone aveva fatto la sua epoca, ma gli fu divorata da un cammello del luogo.

 

… E da molti tempi, ormai, Menisco non riusciva più a riportare al Granitodromo una granita purosangue che fosse in grado di condurlo al successo definitivo per coronare la sua carriera e toglierlo una volta per tutte dalla miseria in cui brancolava.

 

Quel dì Menisco si era recato al Granitodromo con l’ultima sua granita: quella alla lattugo‐cipolla, miscela che secondo i suoi approsprofondati calcolici, doceva risultare senz’altro vincente grazie e prego alla duplice azione propellente dei due concentro‐ati.

A pochi istanti dalla partenza Menisco cominciò a raffreddare i muscoli della sua fuoriserie (bada bene: a riscaldarli avrebbe corso il rischio di scioglierli), a ritritarla accuratamente al fine di renderla più granitolosa.

C’è parecchia suspans prima del via della competizione: in prima fila con il numero primo è in partenza la granita alla grandine, in seconda corsia con il numero 1+1 notiamo la granita al brodo di vacca svizzera, in terza corsia con il numero perfetto c’è la granita alla trielina, in quarta la nostra granita alla lattugo‐cipolla, in quinta la granita allo yogurt, in sesta quella alla salvia, quindi quelle alla carlona, alla vaselina, alla trota e infine in diecima corsia la granita all’inchiostro…

Attenzione:

‐ Tre, quattro, due, sette, via… pronti!!!! ‐

Al "pronti" le granite cominciano a scendere lungo la pista in salita, accelerando sempre più.

Quand’ecco l’imprevisto per tutti tranne che per che, siccome che la storia me la invento io lo sapevo già: dovete sapere che queste gare si svolgevano nel Granitodromo, un gigantesco stadio all’aperto, e per questo motivo venivano effettuate di notte, verso le 23, per evitare che il calore del sole potesse sciogliere le granite da corsa; quella notte, però, verso la mezzanotte, proprio mentre stava sfogliandosi la competizione, il sole rispuntò ancora sciogliendo tutte le granite con prevedibile pioggia di imprecaccidentazioni; il sole sbadigliò ma, guardandosi in tondo si avvide che il sole non era ancora sorto, concluse che era ancora notte, e ritornò a dormire…

Purtroppo la gara era ormai ineffettuabile, essendo tutti i concorrenti ridotti ad un bicchiere di liquido.

 

Con il venerdì successivo sarebbero riprese tutte le domeniche le gare ma per Menisco, che aveva affidato tutte le sue sorti a quella gara, le speranze di successo erano ormai ridotte ad un accendino.

 

Per fare una granita da competizione occorrono molti attrezzi artigianali nonché molte apparecchiature costose e, normalmente, l’esperienza e l’ingegno di validi artigiotetti; il nostro costruttore possedeva solamentino il terzo requiemsito. Rimasto senza soldi e incapace di fare una nuova granita in quanto non poteva noleggiare nuovamente le sopraccitate apparecchiature, Menisco si affidò alla più completa disperazione.

 

Pensate che per fare una granita da competizione occorre un trattore per coltivare il ghiaccio, un frantugrattatritatoio per sminuzzarlo accuratamente, un distilloscopio per selezionarlo, un comecavolosichiamaopio per comecavolosidicearlo, un corrodinsalatore per raffinarlo e un’infinità di altre demonerie. Figuratevi se un poveraccio come il nostro Menisco era in grado di fabbricare senza denaro una nuova granita.

 

Purtroppo, lui sapeva fare solo quello e non aveva la minima scintilla di dove e come andare.

 

 

Pensò innanzitutto di vendere tutto quello che possedeva: una casa a tetto in giù, un’auto a benzina nel senso che mettendocela dentro la beveva ma poi, vigliacco che si muovesse, qualche sputata di calabrone che usava per gargarismi e qualche cerotto ottenuto in carità dai lebbrosi che, lungo la strada che passava per casa sua e conduceva all’obitorio, si recavano in pellegrinaggio colà giustappunto per abitarVi.

Dalla vendita realizzò il ricavo di sette giuditte, ch’erano appunto delle frittelle di cipresso usate come moneta locale.

Presto, pelò, spinto dalla fame, si mangiò anche quelle e restò al verde.

 

La storiella finirebbe qui, se Menisco se n’andasse all’altra terra grazie alla possibilità di morirsela per fame….invece essa prosegue, grazie il fatto ch’egli vegeta ancora, e di conseguenza può ancora meritare di essere storiellato.

Infatti, come ogni storia che si rispetti, anche in questa c’è la fatina: essa apparve a Menisco, ormai scheletrico come uno scheletro che non mangia da trent’anni e che ha digiunato per i precedenti cinquanta, e gli disse:

‐ Ciao Menisco, io sono la tua fatina ! ‐

‐ Sii tu la benvenuta in questa storiella… Accomodati pure! –

‐ Okay, mi metto in questa riga qui, se non ti acciacca… ‐

‐ Fai, fa con comodo! Basta che risolvi la mia situazione! –

‐ Bene, dimmi pure qual è la situazione ! –

‐ … Ma da che film sei uscita …. !!!???? Non sai quello che mi è successo e pretendi di essere la mia fatina … ??? –

‐ Ma che vuoi … da méééé ???? –

‐ Ma che vuoi tééé…… da méééé ?!?!?! –

‐ Vedi, io sono una fatina capitata per caso in questa storiella, e mi devo adeguare alla sua livella intellettuale !!! –

‐ E va bene … ti spiegherò tutto !!!! –

Menisco raccontò per filo e per disegno le sue avvendisature e la fata, dopo aver ascoltato, gli propinò la soluzione alle sue problematiche …

‐ Ascolta bene: se riuscirai a raccogliere del ghiaccio dalle alle cime del monta Pendolino e farai con esso una granita, per rozza che essa sia, sarà sempre vincitrice !!! –

In men che non lo si avesse detto, Menisco si buttò alla ricerca di questa benedetta catena montuosa: venne alfine a sapere che si trovava nella Maccheronia occidentale.

 

Affrontò il viaggio a piedi, vivendo di stenti e stentando a vivere, ma poté un bel dì arrivare ai piedi del monte prescelto: il monte Pendolino !!!! 

Alto circa 50 metri, si ergeva svettante dalla montuosa pianura…

Menisco, guardando la parete alla cui sommità si trovava il ghiaccio miracoloso, cominciò a studiare un valido metodo di ascesa.

Per quanto la parete non fosse certo alta, era senz’altro ben ardua da salire. Il Monte Pendolino, inoltre, è detto così perché, dalle quattro alle quattro del pomeriggio prende a pendolinare.

Menisco, senza saperlo, cominciò ad arrampicarsi proprio alle tre e tre terzi, inerpicandosi gagliardamente sulla nuda roccia. La parete, liscia come uno specchio, era invalicabile da chiunque, e poiché il nostro eroe si chiamava Menisco e non Chiunque, poté agevolmente salire sfruttando e sverdurando gli appigli che non c’erano.

Giunto in cima alla parete Menisco si trovò in vetta anche al Monte Pendolino, in quanto era uniparetale, e deducendo di essere arrivato alla sommità, concluse di aver terminato l’ascesa.

Vide il ghiaccio delle sue brame, ne raccolse un pezzettino e se lo mise in tasca (il ghiaccio del Monte Pendolino non si scioglie mai) ma, quando si accinse a scendere, il Monte cominciò a pendolinare …. !!!!!!

Ignorando ciò che gli accadeva Menisco ruzzolò malamente giù dal monte … il ghiaccio però era salvo e, con la vittoria in tasca, se ne ritornò al suo paese ritornando al suo paese.

 

Granitopoli era ancora là come l’aveva lasciata; al granitodromo le corse di granite si erano svolte incessantemente per tutto il tempo dalla sua assenza e, grazie al progresso, le granite attuali erano potentissime, veri gioielli della tecnica del settore.

 

Menisco giunto al granitodromo iscrisse la sua granita alla prima corsa in programma, la chiamò granita Pendolina ed ottenne il numero A.

 

In attesa della gara del suo riscatto, Menisco triturò pazientemente la sua granita, masticandola miniziantemente.

Ed eccoci, ancora una volta, al via … Alla gara prendono parte, come è prassi, dieci concorrenti, rispettivamente con i numeri 78,Y!,%,?L3,55,M@,#,(),9/3,ì.

Sono allineate sulla griglia di parteria la granita al Gianduia e quelle al Rosmarino, al Pan Grattato, alla Muffa, alla Marmellata di Libellule, la granita Pendolina, e quelle all’estratto di estratto di Cotechino nonché quelle alla Candeggina, ai Tartufi e ai Savoiardi.

 

Attenzione …. Meno tre, più due, fratto nove … BUM !!!!!! Indietro!!! STOP !!!!

Allo stop le granite cominciano a saettare sulla pista; è superfluo segnalare che quella di Menisco è in ultima soluzione. In testa la granita alla Candeggina, ma incalza da vocino anche quella al Pan Grattato.

Melò, e stavolta non è più un imprevisto dato che era già successo, ecco che il sole, svegliato ancora una volta in piena notte, prende a salire nel cielo.

Fra l’imprecaggine generale e colonnello le granite da competizione cominciano a sciogliersi anche stavolta !!!
Si prospetta un rinvio, ma abbiamo dimenticato che la granita Pendolina non si scioglie dalla sera alla mattina … ?

Pian pian pian piano, ma così pian pian pian pino che è difficile accorgersi di come vada piano, la granita Pendolina scende lungo la salita e si avvia sola al traguardo.

Per Menisco è un trionfo !!!!

Finalmente può coronare i suoi sogni di gloria con una frangettiforme vittoria, così pulita da poterci lavare un’intera partita di topi sporchi !!!!

Tutto tronfio si avvia a ritirare il premio che sottolinea la sua vittoria: un paio di paia nuove di zecca !