... Morte

Morte. L’ultima sentenza sulla vita alla quale è impossibile fare ricorso.

Tragico per un avvocato. Per me, quindi.

È come se di botto si sentisse la mancanza di qualcosa che fino a un secondo prima sembrava possibile, ovvia.

Trovarsi di fronte al Giudice Supremo e sapere di non poter obiettare è frustrante. Specie se l’imputato è una persona cara.

L’assassino di questo caso ha agito perché mosso dal sentimento più brutto: l’invidia.

Ha strappato a lei, sua amica e mia moglie, la più grande libertà di cui un essere umano può godere: la vita.

E voleva me. Non nel senso cattivo.

Era pazza e, per quel poco che mi è stata vicina, mi ha contagiato.

Ho agito. Per pazzia, odio e felicità. Sì, perché è immensa la gioia che si prova quando si fa ciò che più si ha desiderato: vendicarsi.

Più particolari? È vero, sono qui per questo. Cosa dire? Avevo sposato la vittima in questione, morta per gelosia e invidia della sua amica. Amica. Non posso concepire come la potesse chiamare così! L’ha uccisa e poi è venuta da me. Mi amava, o meglio, sosteneva di amarmi. Era impazzita e lo si capiva anche solo a guardarla in viso: la cura che aveva sempre avuto nel truccarsi e nell’acconciarsi i capelli era scomparsa. Al suo posto facevano capolino occhiaie e un’espressione perennemente triste.

Aveva lo stesso aspetto il giorno fatidico. Aveva già agito, ma ha voluto venire da me lo stesso. Come se sperasse che accettassi e condividessi la sua pazzia, la sua malattia. Il virus è entrato dentro di me. L’autocontrollo che avevo deciso di mantenere è scomparso. Ho agito d’impulso. Era una pistola, acquisto a suo tempo ritenuto futile, segregata da secoli nel cassetto del comodino. Non si è poi rivelata tale. L’unica munizione, lasciata lì per sicurezza, è servita.

Le ho raccontato a grandi linee ciò che è successo.

Buffo per il grande avvocato che ero doversi affidare adesso ad un avvocato!