Non spargete le penne - La famiglia

“Gli uomini hanno per natura più paura della verità che della morte”
Kierkegaard

1

‐ Facibuk? – la signora Silvana rise, con la solita genuinità – Nooo! Nun fa pe' mia! Sono cose per voi, che siete giovani! –
‐ Ma perchè, voi non siete giovane? – la apostrofò Daniela.
La ragazza, sedeva sempre vicino a Giuseppe, il primo figlio di Silvana, e lei, lo aveva notato.
Una sola cosa si era imposta nella sua vita e non transigeva, anzi, spesso si era scontrata col marito su questo: non sarebbe mai intervenuta sulle scelte dei figli.
Erano bravi ragazzi, ringraziando iddio?
Erano intelligenti e rispettosi?
Bene!
Lei aveva fatto il suo dovere. Educarli, dargli sempre il buon esempio, controllare che non uscissero dal “seminato” ... questo sì. Per il resto la vita era la loro e loro le scelte e le decisioni.
‐ V’insegno io – disse prontamente Diego, il più malandrino della combriccola. La signora Silvana aveva spesso intercettato i suoi sguardi indiscreti mentre, furtivamente, cercava di intuirne le forme, nascoste dagli vestiti.
“Tipico!” pensava Silvana, facendo sempre attenzione a starsene composta. Una caterva di ragazzi invadeva, periodicamente, la sua grande cucina. Con tre figli cresciuti, ne aveva dovuti domare di sguardi, procaci e curiosi.
Con Diego, però, era stato sempre più difficile: in quel ragazzino, adesso, più che ventenne aveva sempre notato una maggior decisione, a volte una vera e propria sfida, ma non era mai successo niente.
‐ Che c’entra? – intervenne Giuseppe – Non capisci mai niente ... Facebook è uno strumento: stop! E’ come la macchina, dipende da come la guidi, dall’uso che ne fai. –
‐ Non offendere la tua mamma, sai! – Silvana si armò, minacciosa, della “cucchiarella” (il mestolo di legno) che, per caso, si trovava sul lavello, a portata di mano. Tutti risero, divertiti, mentre Giuseppe sbuffava, fingendosi seccato.
‐ Vedete, zia – tutte le ragazze la chiamavano così, anche quelle che non le erano nipoti – Effebbì non è altro che una bacheca gigantesca ... immaginate: è come un cartellone nel bar in piazza. – Daniela era sempre dolce con lei, forse cercava di passar attraverso il suo cuore, per conquistare quello di Giuseppe. – Voi volete condividere qualcosa? Non so ... una foto, un viaggio, un pensiero, allora lo scrivete qui. E tutti, possono vedere ... –
‐  ... i fatti miei?! – la stoppò Silvana, con un sorriso.
Silvana, era rimasta ferma alle pagine di ricette e ai siti di archeologia, la sua vecchia passione. E suo marito, Rosario, era ancora più refrattario di lei.
‐ No, mica tutti, mamma. – disse Giuseppe – Solo le persone che fanno parte della tua cerchia. Che ne so ... familiari, amici ... –
‐ Ah, ah, ma questi qua i fatti miei già li sanno ... telefono e glieli dico! E tuo padre si lamenta della bolletta ... –
Quei momenti pomeridiani, quando arrivavano ondate di ragazzi, le mettevano allegria. Dipingevano di rosa la monotonia dei suoi giorni grigi e anche dei suoi pensieri, a volte più grigi dei giorni.
Forse perché il vederli così speranzosi, così proiettati verso il futuro: pregava spesso perché ognuno di loro, non solo i suoi ragazzi, potesse perseguire i sogni che teneva nel cuore.
‐ Serve pure a farsi nuove amicizie – intervenne Diego – o, per le belle signore, come voi, a ritrovare qualche vecchio spasimante ... – stavolta la “cucchiarella” partì in direzione del giovanotto, ma lui se lo aspettava e fu lesto a schivare, ridendo.
Più tardi, mentre sistemava i piatti della cena nella lavastoviglie, Silvana pensò che forse Diego aveva ragione, forse avrebbe potuto tentare di capire come funzionava “sto’ cacchio di Facebook”.

2

Due mesi dopo.
‐ Stai al posto tuo! – bisbigliò Silvana a Diego, che seduto al suo fianco, davanti al tavolo della cucina, come il solito ci provava.
Inavvertitamente, la sua gamba premeva con più insistenza contro quella della donna. Lei aveva il doppio della sua età.
Naturalmente fingeva di non farlo apposta, però arrossiva davvero, quando Silvana lo richiamava.
Diego, nonostante avesse solo ventidue anni, era un vero galletto e, parole sue, il più “esperto” di tutti. La madre di Giuseppe riusciva a mortificarlo con due parole: nel suo tono non c’era solo il rifiuto ma la derisione.
Approfittando del “corso” d’informatica, che si era offerto di farle a tempo perso, Diego già due o tre volte, aveva provato a fare la “mano morta” con la Silvana e, ogni volta, era stato messo a posto con un sussiego, una padronanza, che nemmeno sua madre riusciva a tenere, con lui.
Diego, improvvisamente, si sentiva minuscolo, schiacciato, come fosse stato trovato nel bagno, a farsi una sega su un giornaletto. Non era il gesto in se, nemmeno le parole ... a ucciderlo, era il senso d’inadeguatezza che lei gli trasmetteva e lo rendeva ogni giorno più “cotto”. Innamorato di quella donna, che lo faceva impazzire fin da quando aveva quindici anni o poco più.
In quei momenti, desiderava ardentemente che lei lo ritenesse un porco; ma che non si accorgesse mai di quanto, inutilmente, la amava.
Pensandoci diventare ancora più rosso; allora si ricordava di essersi spacciato per play boy ... e il rossore raggiungeva limiti non più percepibili dall’occhio umano.
Basta!
Deciso: era l’ultima volta che metteva piede in quella maledetta casa!
Già sapeva che domani, come il solito, avrebbe inventato qualsiasi scusa pur di tornare a casa di Giuseppe, che forse per questo, era il suo miglior amico.
Silvana ne aveva visti tanti di ragazzi eccitati ma la sua incrollabile fedeltà alla famiglia, solenne promessa, fatta più a se stessa che al marito, la rendevano una domatrice esperta di animi infervorati.
‐ Procediamo! – disse con una simpatia che stemperò totalmente i timori del povero Diego. ‐ Quindi, se volessi, potrei aprire un altro ... come dici tu? Ah, Account, con un altro nome, diciamo di fantasia, per non far vedere a tutti i fatti miei. Giusto? –
‐ Proprio così – Diego si riprese; era felice di rendersi utile e poi, la mamma di Giuseppe, non era una “vongola”, come si poteva pensare. Pochi lo sapevano ma, la donna, aveva anche frequentato la facoltà di Archeologia.
Ormai, Silvana, era presente su FB col suo vero nome ma, entrando in quel mondo, con sorpresa, si era scontrata con suo marito. Questi sguazzava nel Social, anche con una certa maestria, come lo stesso Diego le aveva potuto dimostrare.
La signora, dopo pochi giorni dalla sua iscrizione, mentre si scambiava le amicizie con parenti e amiche, incappò, ovviamente, nel profilo di Rosario Messina, dalla foto era proprio lui, suo marito. Ne fu colpita ma non eccessivamente e, con ingenuità, gli chiese l’amicizia.
Altro che amicizia! Quella sera, apriti cielo!
Rosario piantò un casino, del tutto incomprensibile per Silvana, dopo le prime battute, lei, con fermezza, lo bloccò:
‐ Scusa ma tu non eri quello che non sapeva nemmeno accenderlo, un Computer? –
‐ Che c’entra – si scherni Rosario – all’ufficio ce l’hanno tutti sto “Facebuk” è una stronzata! –
‐ E allora, se è una stronzata, perchè ti scaldi tanto? Forse che ci fai le “acchiappanze”? – lo redarguì – Ti pensi che non ho visto che foto hai messo? E’ di dieci anni fa: il bello di facebook! Eccolo, lo tengo in casa! –
La lite proseguì ma senza spargimento di sangue, però, suo marito, l’amicizia non la accettò mai e quando la vedeva al PC, faceva una faccia talmente brutta che, alla fine, Silvana preferì evitare di andare sul sito, quando c’era il marito.

3

Il signor Rosario era un uomo all’antica.
Ormai soddisfatto della sua riuscita nella vita, si riteneva anche abbastanza fortunato: aveva raggiunto ciò che desiderava.
La sua esistenza era migliore di quella di suo padre, operaio ed emigrante. Lui si era evoluto, aveva avuto le sue “esperienze” e alla fine aveva sposato la donna che voleva.
Grazie ai consigli della mamma, santa donna ... insomma “santa” nel senso che era stata in gamba, lui era riuscito a incastrare e domare, la più bella del paese: un fiore.
L’aveva presa, concupita, sverginata e, per riparare, sposata: tutto secondo i piani.
La sua mamma, gli aveva spiegato come fare ogni passo. A pensarci bene, la madre gli aveva sempre dato tutto, ma su quest’argomento, oggi Rosario, uomo fatto con prole e famiglia onorata, si ritrovava sempre confuso e vittima di pensieri, forti e contrastanti.
Le velleità giovanili di Silvana, i suoi sogni di ventenne (figurarsi: voleva fare l’archeologa e girare il mondo), con la nascita dei figli, i primi a raffica, uno dopo l’altro a un anno di distanza, l’avevano impegnata abbastanza da imparare ad amare la famiglia e anche suo marito, alla fine.
Sua madre aveva visto giusto. Silvana era divenuta saggia, per forza di cose.
Infine, un posto fisso, prezioso. Anche in questo caso era stato decisivo l’intervento di sua madre, aveva convinto un prelato a prendere a cuore la situazione di suo figlio.
Allontanarsi dalla Sicilia e trasferirsi al nord era stato un toccasana per la sua famiglia.
Nonostante la segretezza delle loro azioni giovanili, in un paesino siculo, i muri hanno orecchi. La gente non ha molto da fare e, spettegolare, è uno sport nazionale.
Al nord, in una grande città, anche i figli erano cresciuti diversamente e con opportunità migliori.
Sì: era un uomo fortunato ... e, con l’età, aveva imparato, anche a essere scaltro.
Oggi, avere al suo fianco una moglie ancora bella, onesta e desiderata, soddisfaceva la sua libido al massimo. Un vero leone che contempla il suo dominio.
Lei gli voleva bene, col tempo, forse, lo aveva anche amato. Questo interrogativo che, quand’era giovane lo tormentava a causa della sua “ingenuità” sentimentale, con gli anni non lo interessavano più, anzi.
I ricordi forti, estremi, della sua incredibile gioventù, lo portavano, con la fantasia, a cercare situazioni sessuali molto più intricate, cariche di libidine e, ammettiamolo, più perverse, rispetto a quanto gli poteva offrire una donna sicula, limitata, cresciuta e vissuta, tra quattro mura, come la sua “dolce metà”.
Silvana era bella ma non era zoccola, e così doveva essere: madre esemplare, bastava!
Il sesso canonico e sempre più diradato, vissuto nel talamo, soddisfaceva anche Rosario, ormai. Tanto, con qualche euro in più in tasca, si poteva permettere un paio di trasgressioni al mese, in tutta segretezza.
Ora, da quando nell’ufficio polveroso, gli avevano installato un PC collegabile a internet, stava scoprendo anche un mondo nuovo, segreto e pregno di pornografia.
Non gli sembrava vero, dopo tanti anni, poter rivedere e riprovare situazione e sentimenti che appartenevano a un passato, che aveva voluto credere sepolto, remoto.
Scoprì, tra l’altro che, in vari siti, molte persone affidavano a racconti erotici, spesso autobiografici, le loro esperienze più intriganti.
Il piacere provato a sbirciare in certe storie di vita vissuta, lo invase al punto di portarlo persino a masturbarsi, mentre s’invischiava in quelle confessioni morbose e realistiche.
Erano in molti a scrivere male ... finché un bel giorno Rosario decise:
‐ Se lo fanno questi “cani” perchè non posso farlo anch’io? Certo che ne avrei di cose da raccontare ... li lascerei tutti a bocca aperta! –
E così comincio, sotto uno pseudonimo, a scrivere le prime confessioni, le prime pagine del suo racconto.
Caricò i capitoli sul server; poi si firmò, “rossoenero” e poi, nello spazio riservato all’identificazione del “genere del racconto”, cliccò sulla casella: Incesto.
Premette invio e ... sparse le penne.
“Fu vanagloria? ... ai posteri l’ardua sentenza.”

4

La sera, quando tutti erano impegnati a fare i fatti loro per poi, a mano a mano, crollare tra le braccia di Morfeo, Silvana non perdeva tempo alla TV, né si faceva vedere al PC ... così suo marito non rompeva le palle. Cucinava, discreta, nel suo piccolo regno.
Con questo stratagemma si era ritagliato uno spazio tutto suo. Infatti, il giorno dopo, quando tutti erano fuori, lei aveva campo libero per lo meno fino alle due.
Allora, prendeva il piccolo PC che le aveva procurato Diego e, nella più totale segretezza, iniziava, per qualche ora, una seconda “vita”. Niente d’illecito ma, dopo essersi fatta una nuova identità, su FB, se la spassava, fingendosi una giovane, abbastanza disponibile e disinibita.
Aveva caricato foto false, alcune persino osé, e facendo la “gatta morta” si tirava indietro una miriade di “micioni” più o meno allupati.
Era solo uno svago ma la divertiva e la teneva impegnata.
Solo Diego conosceva i suoi segreti ... ma il ragazzo le era devoto: ora lei lo teneva al corrente di tutto e fingeva di non accorgersi di qualche palpatina, poco innocente.
Nel loro rapporto, spingendosi leggermente oltre, Silvana aveva capito che la voglia di “fottersela” del ragazzo, nascondeva ben altro: il povero Diego era cotto di lei. Adesso, con la profferta di qualche piccola confidenza ben dosata, era diventato il suo paladino ... una specie di cavaliere, che pendeva “inpappagallito” dalle labbra della sua Dulcinea.
Gironzolava tra i video e le foto, chattava con amici, amiche e illustri sconosciuti.
“Dieguito” la contattava spesso ed era talmente entusiasta, del rapporto con l’alter ego di Silvana, Nefertite, che quasi lo preferiva a quello, regolare, che tenevano davanti a tutti.
La donna guardava, capiva, si emancipava ma rimaneva nei limiti, sani, della sua natura semplice.
Alla fine cercava sempre qualcosa ... un’illusione inutile che non sarebbe mai stata coronata dal successo. Ma senza un pizzico di nostalgia nel cuore, la vita non varrebbe la pena di essere vissuta.
A volte, era talmente rapita dalle schermaglie da “Nefertite” che, per giorni, dimenticava completamente di avere un altro nick, ufficiale e realistico: Silvana Negri, 43 anni, sposata.
Eppure, una mattina del tutto normale, fu proprio quell’account a rivelarle una sorpresa che le avrebbe cambiato la vita.

“Toc, toc” diceva un messaggio ... solo questo e poi una sigla, forse una firma: A. S.
Anche tra le richieste di amicizia, molto rade per la verità, c’era una notifica: A. S. ti ha inviato una richiesta.
“A. S., uhm?” Silvana ci rimuginò e fece finta che il suo cuore non battesse all’impazzata.
Non voleva illudersi, anche se, come Penelope aveva sempre sperato ... sognato ... mentre gli anni passavano come pagine di uno stesso, monotono, copione.
“Prego?” rispose Silvana: solo questo.
Poteva non essere lui, anzi, di certo non lo era. Poteva essere anche uno scherzo, o peggio, una trappola.
Conosceva suo marito, nonostante che, negli ultimi anni, si fosse quasi completamente disinteressato a lei, era un tipo abbastanza subdolo e vendicativo ... mai trasparente riguardo a ciò che davvero gli passava per la testa.
Intanto, le ore passavano.
“Aesse” sembrava lo facesse apposta.
Silvana s’inventò di tutto e lustrò la casa, nevroticamente, fino a “consumare” le superfici degli arredi ... poi, poco dopo le dodici:
“Nuovo messaggio da A. S.”
Lo aprì trepidante, sapeva che, dall’altro lato, sarebbe stato lampante che lo avesse letto solo un millesimo di secondo dopo la sua comparsa sul video, ma non se ne curò.

5

“Ciao, io mi chiamo Antonio Salzano, credo di conoscerti. Se mi sbaglio, scusami.
Altrimenti, vorrei chiederti l’amicizia ... se lo ritieni possibile.”
“Ho conosciuto un ragazzo ... tanti anni fa, si chiamava così. Ma come faccio a sapere se è lei?”
Il cuore di Silvana batteva nel petto e gridava: “E’ lui ... è lui ... !” ma lei non si fidava.
Solo in quel momento se ne rese conto: erano vent’anni che aspettava!
“Ci vuole poco: premi quel bottoncino con una piccola telecamera e mi vedrai.”
Sempre più certa: “Io non faccio cam!” rispose, fingendosi indignata e poi, subito, “Veramente nemmeno potrei ... ho a stento il PC: niente videocamera.”
“Non m’interessa vederti, sarai diventata brutta e anziana:‐)” poi digitò “Ma se vuoi, premi e vedrai me! ”
Basta giocare a rimpiattino: Silvana schiacciò il piccolo pulsante e, pochi istanti dopo, nel riquadro nero, apparve un viso sconosciuto; o no?
No! Era lui ... oh si: era lui.
Fu travolta da un’emozione che non avrebbe mai creduto di provare.
Era lui, Antonio. Nascosto tra le pieghe di qualche ruga, acquattato tra i capelli più radi, Antonio guardava verso di lei, senza vederla.
Il ragazzo con cui aveva costruito i sogni più belli.
Nascosti nei cortili, quando il sole mordeva le strade bianche; scampati negli androni, quando la pioggia scrosciava: parlavano, sognavano e si toccavano, carichi di desiderio ... si baciavano.
Quei baci innocenti, lontani, Silvana non li avrebbe mai dimenticati.
Suo marito, negli anni, aveva ispezionato e violato ogni suo anfratto, posseduto ogni parte del suo corpo ma, i baci ... i baci glieli aveva sempre negati o, perlomeno, li aveva venduti cari.
Non voleva perdere il ricordo dolcissimo dei baci di Antonio. L’unico ricordo che le era concesso: relegato nel profondo dell’anima.
“Antonio ... che piacere, ero certa che non ti avrei visto mai più” cercò di dare un tono conviviale alla conversazione ma lui tagliò corto.
“Senti, a me  questi aggeggi mi fanno schifo, poi ti spiego perchè ... posso telefonarti?”
Fu presa alla sprovvista, non voleva fare niente di avventato, non ebbe il coraggio di dirgli di no.
“Va bene ... ma solo per pochi minuti, io ...” e gli diede il suo numero.
Un attimo dopo, il telefono squillava e Silvana rispose. Parole, dolcissime, sbocciarono tra loro, come fiori impazienti che, a primavera, hanno fretta di rompere l’ultima brina dell’inverno.

Pochi giorni dopo, “Dieguito”, più incantato che mai dalla sua “musa”, le invase la cucina, alle undici del mattino. Orario insolito: ma Silvana si sarebbe sentita ridicola a non farlo entrare.
Il ragazzo era concitato, gli occhi un po’ esaltati, era, evidentement,e preda di qualche forte emozione. Per un attimo Silvana temette di avere sbagliato ad aprire ... chissà? Con i giovani di oggi non si sa mai ... circola tanta droga.
Il ragazzo aveva il PC sotto un braccio e, senza parlare, lo pose sul tavolo della cucina, poi sedette: sembrava sfinito.
‐ Vorrei farti vedere una cosa ... – cominciò.
Silvana, gli aveva concesso di darle del tu, come lui anelava, ma solo quando erano soli.
Capì che l’eccitazione del giovane non era rivolta a lei, ebbe la netta sensazione che qualcosa di grave aleggiasse nell’aria.
Per un momento temette di essere stata scoperta ... ma, per fortuna, Antonio Salzano non c’entrava per niente.

Continua...