Olimpiadi di Lake Placid 1980: consuntivo finale

 Con l'assegnazione delle ultime medaglie (quelle nel bob a quattro e nell'hochey) è calato il sipario sulle tredicesime olimpiadi invernali disputatesi a Lake Placid, piccola stazione sciistica nello stato di New York, già sede olimpica nel 1932 (allora le gare di combinata nordica si svolsero nella tedesca Garmisch), già sede di campionati mondiali in diverse specialità (fondo, salto e combinata nel 1950, biathlon nel 1973, bob nel 1949, 1961, 1969, 1973, 1978), abbastanza nota nel circuito della coppa del mondo di sci alpino e delle altre specialità invernali. Dopo un inizio quasi in sordina e una vigilia turbata dai gravi problemi di politica internazionale, i giochi sono vissuti sulle gesta di alcuni atleti ‐ il pattinatore statunitense Eric Heiden, vincitore di ben cinque medaglie d'oro, il sovietico Nikolaj Zimijatov, autore di una prestigiosa doppietta sui trenta e cinquanta chilometri di fondo, lo svedese Ingemar Stenmark e la rappresentante del piccolo Liechtenstein Hannie Wenzel, dominatori degli slalom, la grande Anne‐Marie Moser‐Proell che ha finalmente trovato la vittoria olimpica, unico alloro mancante nella sua bacheca ‐ che di sicuro entreranno nella leggenda degli sport invernali. Le imprese sportive di questi campioni hanno persino fatto dimenticare agli americani (almeno per qualche settimana!) il grave problema degli ostaggi rinchiusi nell'ambasciata di Teheran e il successo degli hocheisti di casa sugli eterni rivali sovietici nonché nel torneo stesso, ha destato tali e tanti entusiasmi da fare storcere il naso persino al presidente Carter e a tutti coloro i quali già "anelano" al boicottaggio delle prossime olimpiadi estive di Mosca. Questo episodio ha confermato che i giochi olimpici, così come le altre importanti manifestazioni sportive (campionati mondiali e rassegne continentali), altro non sono che una grossa occasione per far divertire la gente e per seguire i più grossi campioni per una volta riuniti tutti insieme, no di certo un motivo indecoroso ‐ da parte dei potenti e dei governi, retti dai potenti della terra ‐ di voler fare politica e strumentalizzare a loro piacimento lo sport. Tornando alle vicende sportive vere e proprie di questa olimpiade, è da registrare, purtroppo, il penoso comportamento degli azzurri che fanno ritorno in Italia con un ben magro bottino ed un bilancio di risultati alquanto sconsolante, come mai era accaduto in passato. Le uniche medaglie sono giunte dalla specialità meno nota ‐ lo slittino ‐ che ci ha regalato due argenti, abbastanza attesi, direi (nel singolo maschile con Paul Hildgartner e nel doppio con Karl Brunner e Peter Gschnitzer): due argenti che con un pizzico di fortuna in più sarebbero potuti essere ori, visto che l'altro azzurro in gara nel singolo ‐ Ernst Haspinger ‐ è stato messo fuori gara da un incidente quando era al comando, e che il doppio è stato superato da quello tedesco‐orientale per soli trentatré centesimi di secondo (poco più di un'inezia!). Magra consolazione, quindi, per gli italiani, quella di aver conquistato due posti d'onore in una specialità cosiddetta "povera" tra tutte quelle inserite nel consesso mondiale degli sport invernali, che tuttavia ci vede ai vertici dei valori mondiali da sempre (soprattutto per merito di ragazzi e ragazze bilingui ‐ tedesco, italiano ‐ provenienti in maggioranza dalle valli del Trentino Alto Adige!) e che, seppur nell'ombra e lontano dai clamori, ci ha regalato (nel passato) già due titoli olimpici (con Erika Lechner, nel 1968 a Grenoble e col doppio Hildgartner‐Plaikner, nel 1972 a Sapporo), numerosi titoli continentali e mondiali e molte vittorie parziali  in coppa del mondo. In seno alla squadra maschile di sci alpino si è verificata la delusione più cocente per i colori azzurri: la mancata partecipazione allo slalom di Piero Gros (campione olimpico uscente a Sapporo, nel 1972, e vice‐campione mondiale a Garmisch, due anni orsono), caduto e seriamente infortunatosi nel gigante e sulle cui spalle pesava la grave responsabilità della conquista di una medaglia, o quanto meno di un piazzamento onorevole. Ma questa volta "santo Pierino" da Salice d'Ulzio (o Sauze d'Oulx, per dirlo alla francese!)  non è potuto essere ‐ ahinoi! ‐ il salvatore della patria, per cause non dipendenti dalla sua volontà! Ancora una volta, quindi, l'alfiere degli azzurri è stato il grande Gustav Thoeni, classe 1951, da Trafoi (Bolzano o Bozen, come pronunciano gli atesini di madrelingua tedesca) il quale, alla sua terza olimpiade (a Sapporo, nel 1972, fu oro in slalom e argento in speciale, alle spalle del sorprendente iberico "Paco" Fernandez‐Ochoa; a Innsbruck, nel 1976, fu secondo ‐ alle spalle di Gros ‐ in speciale e solo quarto ‐ dietro la coppia svizzera Hemmi‐Good e a Stenmark ‐ nel gigante) è riuscito a piazzarsi nei primi dieci (ottavo) nello speciale, gara che in passato lo aveva visto dominare anche ai Mondiali (oro a Saint‐Moritz, nel 1974) e in coppa del Mondo (nove vittorie parziali e due vittorie in classifiche di specialità, nel biennio 1973‐74). Anche la squadra femminile ha risollevato un po'gli animi del clan azzurro perchè nello speciale si è avuta la riconferma sia di quanto verificatosi durante la stagione di coppa del Mondo (non a caso i media definiscono la squadra "valanga rosa"), sia della bontà tecnica della nostra scuola; le azzurre sono tutte entrate nelle prime dieci, confermando, appunto, una costanza di rendimento davvero ottima ad alti livelli: Maria‐Rosa Quario è stata quarta (a soli tre centesimi dalla elvetica Erika Hess, bronzo), Claudia Giordani (argento a Innsbruck, alle spalle della grandissima Mittermaier) quinta, Daniela Zini settima, Wilma Gatta decima. L'altra delusione si è registrata in seno alla squadra di bob, con i nostri rappresentanti piazzatisi soltanto quattordicesimi (Italia 1, Jory‐Lanziner) e sedicesimi (Italia 2, Soravia‐Werth) nel doppio; undicesimi (Italia 1, Jory‐Lanziner‐Werth‐Modena) nel quattro. Anche questa specialità, in passato, ci ha visti primeggiare tanto sulla scena olimpica (con il doppio Dalla Costa‐Conti, trionfatore a Cortina, nel 1956 e col leggendario Eugenio Monti, che fece doppietta a Grenoble, nel 1968), quanto su quella mondiale: Eugenio Monti fu ben nove volte iridato (sette volte nel doppio e due nel quattro: nel 1961 fece doppietta sulla pista di Lake Placid!); altri otto equipaggi italiani (affermandosi nella rassegna iridata) lo hanno imitato sulle piste di tutto il mondo. La colpa di tale insuccesso, a detta di tecnici e addetti ai lavori, è da addebitarsi alla attuale carenza strutturale ed organizzativa nel nostro paese. Le differenze con gli altri paesi all'avanguardia sono enormi: paesi come Svizzera, Germania o Austria hanno a disposizione decine di piste, le quali permettono agli atleti di effettuare cinquecento‐seicento discese l'anno, mentre in Italia ‐ attualmente ‐ l'unica pista disponibile, seppure per un periodo di tempo limitato, è quella di Cortina che permette ai nostri atleti di punta di disputare un massimo di cento‐duecento discese per stagione. Questa sostanziale differenza è alla base dei deludenti risultati dei nostri atleti: una questione matematica, direi, di pure e scarne cifre! In questa situazione ed alla luce di quanto detto non è da sorprendersi dei deludenti piazzamenti degli azzurri che, seppur dotati di notevole talento, si ritrovano sempre una spanna al di sotto degli altri alteti, sia a livello tecnico che fisico‐atletico. Essendo in tema di "delusioni" non possiamo tralasciare quella relativa alla svizzera Marie‐Thérèse "Maite" Nadig: l'atleta di Flums (piccolo centro di sport invernali situato nella Svizzera orientale, poco distante dalla frontiera austriaca ed abbastanza vicino al principato del Liechtenstein), che partiva favorita nella libera (era già stata campionessa olimpica, a Sapporo, in discesa e gigante, a soli diciotto anni!) è stata umiliata dalla eterna rivale Proell, vincitrice, che le ha inflitto un distacco inusuale ed inaspettato per una campionessa come lei (ottantaquattro centesimi di secondo), ed ha perduto l'argento (andato alla Wenzel) per soli quattordici centesimi!   

24 febbraio 1980.