Pioggia retro

La pioggia, la detesto, da quando vivo a Napoli. E’ una pioggia senza preavvisi, irruente, irriverente. Non c’è riparo per salvarti. Gli ombrelli cinesi si frantumano, lasciandoti bagnato interamente. Le auto danno modo al conducente di appalesare tutta la bestialità che stracolma dal suo essere. Le pozzanghere acquistano un’utilità improvvisa, svolgono una funzione ludica. Saperle centrare abilmente, contando i secondi, per lasciarti infangato da una miriade di spruzzi. Gli autunni del nord, nella mia gioventù, sono brumosi paesaggi, sfumati dalla nebbia. Ci s’incontrava alla Villetta Di Negro. Erano i tempi di Alan Ladd. Il suo trench, il bavero alzato sapientemente, la cintura, stretta in vita. Il passo ciondolante, cauto. La brillantina scolpiva onde. La sigaretta, all’angolo della bocca. La mimica sapientemente contratta. La sequenza cinematografica ci vedeva attori. Lei nasceva dietro l’ultima schiera di platani. L’accompagnavano le note dei suoi passi sul fogliame marcio di pioggia. La frangetta alla Jeanne D’Arc s’incollava sulla fronte. Un impermeabile di plastica trasparente non celava alla vista il vestito, anzi ne prendeva colore. Il suo sorriso faceva dimenticare. Gli alberi vibravano rivoli di pioggia. Il bacio d’incontro sapeva di aromi di bosco. Il tronco muschioso era l’appoggio alla sua schiena. Rare gocce sul volto divenuto improvvisamente di donna adulta abitavano un amore.