Piumetta

Se Piumetta quel giorno avesse adunato intorno a sè il coraggio perduto/ritrovato e narrato in mille storie d’amore e cento poemi oggi non saremmo qui a parlarne. Non avremmo a sorridere di certi buffi aneddoti ne a fermar con un singhiozzo lacrime che cercano acerbe una collocazione.
Non staremmo qui a disquisir sui parenti. Ne a sparar giudizi dozzinali. Che poi finiam d’esser noi quelli che strisciano mentre gli diamo pure dei serpenti. Proprio tutti. Artigiani concubine e tenenti. Perché se Piumetta lo voleva davvero quel che voleva non ha fatto il muso duro e se l’è preso? Si chiesero i più quando a frittata fatta si passò dritti a vergar lutti su anonimi verbali tralasciando di tutta questa storia il senso esteso? Perché non ha fatto spalluccia alle malelingue ed è andata diritta per la sua strada con quello scemo? C’era davvero bisogno di un gesto così estremo?

Ci rimasero spiazzati tutti. Quasi come quando la videro tirar su il bandone del suo frutta e verdura la prima volta. Proprio nel centro del paese. Che all’inizio e ancor più dopo quando la gente osservava passando quei cento chili di carne morbida con quelle labbra carnose cantare ben intonata le canzoni del suo gruppo preferito, si voltava a guardarla e i maschi a farci sopra pensieri poco altolocati che sapevan di peccati alla melassa. Nacque in quei giorni lì quel nomignolo che si sarebbe portata dietro sino agli annunci mortuari. Uno disse ridendo: “E’ così grassa ma si muove come una piuma”. E per tutti diventò Piumetta.
Che a Piumetta piaceva il sesso più che mangiare ed era tutto dire. Le piacevano le parole un po’ sboccate e lavorarsi gli uomini e piegarli al suo volere con quelle labbra voluttuose ed esperte. Che poi a sindacar non si capiva mai bene, se lo faceva per buttarsi via o per godersela o per fare un carezza alle sue pene. Perché a Piumetta si poteva dar di tutto ma non della zoccola. Teorizzava l’ingegner Mantovani. Grande trombè de femme. Come lo definì in un francese azzardato il Tanzi che da quando votava commenda si era messo pure a parlar fino. Spiegando e un pò ammiccando all’auditorio di pensionati che quella lì: “C’ha la lallera in fibrillazione. Il segreto è tutto qua.” Ma lo diceva senza voler offendere o con un tono di volgarità. Che anche a lui la Piumetta attizzava. Ma da quando ci si era messo in mezzo il maresciallo la cosa era diventata pericolosa.
Che poi a Piumetta, cosa strana, l’adoravano pure le mamme e le donne per non dire le nonne. Che conosceva delle fantastiche ricette di cui svelava i segreti senza gelosia e poi quelle battute svelte e sarcastiche sugli uomini mentre con qualche frutto o verdura in mano alludeva facendole ridere tutte di gusto. Che Piumetta c’aveva pure i prezzi buoni. E sapeva mestierante trasformar cassette piene di merce in lucidi dobloni. E così andava a finir che gli chiedevano pure i consigli. Come la moglie del Romeo. Piumetta scusa. Le chiese a negozio vuoto sottovoce e un po’ impacciata. Tu sei così brava con gli uomini che. Cioè. Vedi io e mio marito. Insomma. Non è che. Vabbè ho capito. Tagliò corto Piumetta. Non lo fate più. È così? Francesca arrossendo annuì. Senti un po’. Ma glieli fai i servizietti? le chiese ridendo obliqua. La Francy diventò come un pomodoro. Ma sei matta? Sobbalzò con un senso di colpa ereditato a catechismo. Ecco fatti un piacere. Inizia da lì. Vedrai che le cose cambieranno. Agli uomini piacciono le donne un po’ porcelle! Concluse allungandogli la borsa della spesa e strizzando l’occhio complice.
Francesca uscì dal negozio ancora arrossita ed imbarazzata ma quella sera dopo la doccia si piazzò davanti allo specchio e selezionò delle cosette sexy. Ravanò tra i profumi mignon e seguì pure il suo consiglio. C’erano due figli in ballo e lei con tutta una vita selezionata per loro fin su al suo matrimonio. E si ricordò di essere ‐oltre che mamma casalinga e moglie‐ ancora una bella femmina. Fu un successone. Da quel giorno il Romeo smise di andar a cercar furtivo nei dopocena la Piumetta ben attrezzato e con la promessa di un week‐end a Parigi insieme. Fu invece la Francesca che proprio da Parigi, dove un mese dopo con il marito andò a “far la seconda luna di miele”, che le spedì una cartolina con la Torre e su scritto un bel grazie dentro un cuore disegnato. Quando l’appuntò insieme alle altre fissando un pò imbarazzata l’icona di Padre Pio, della cui figura era grande sostenitrice, con il rametto d’ulivo immortalato proprio sopra la cassa le confessò candida: “C’hai ragione a guardarmi così. Ma quando quello mi metteva le mani addosso non capivo più nulla!”. Facendola franca anche con i santi.
Poi ogni tanto a Piumetta la sera veniva il magone.
Poi più spesso Piumetta la notte seduta sul letto che aspettava le ore.

(Vorrei uscire stanotte/dimenticare il tuo nome)

“Marescià. Dice sua moglie che si ricordasse il pane“. Riportò asettico l’appuntato Rocco al superiore seduto in quella scrivania anonima come le imprese che non c’erano da raccontare. Con la foto del presidente e un ritaglio di giornale ingiallito che incorniciava un vecchio e minuscolo successo a proposito di autoradio rubate nel bergamasco ancor lontano da esser padano. Roba di vent’anni fa e poi. Che da quando il maresciallo Raffaele Greco. In arte Don Raffaè. Si era infatuato della Piumetta non ci si parlava più. “Dì a mia moglie che si fottesse!” Urlò alzando gli occhi da una richiesta di passaporto aggiungendo un po’ imbarazzato quando l’appuntato si allontanava: “Stavo scherzando Rocco! Fatti lì fatti tuoi!”.
Don Raffaè era un ex ‘uagliò venuto da Napoli. Per toglier subito di mezzo i dubbi e metterli al sicuro in banca. Cresciuto in uno di quei quartieri dov'è difficile farla franca. Con la panza da carboidrati a valanga ed un odore che sapeva di acido. Bruttoccio diciamolo. Fin quando con quello sguardo da impunito fissava i passanti come a voler intendere che infrazione avessero appena combinato. Stava sulle scatole un po’ a tutti. Affermavano sottovoce le comari nel negozio della Piumetta a gioco ultimato.
Che poi tutto nacque quella volta che la Piumetta gli offrì un servizietto veloce nella jeep di pacca. Una fatica più perché la eccitava veder una divisa aperta ansimante che non dettava inquisizioni o timori o che altro. Che anche a lei Don Raffaè non piaceva per niente. Era sboccato e approfittava della sua posizione. Ed era pure brutto. Dai diciamocelo. Ed aveva stufato davvero tutti quando tiriterava che da giovane era stato uno di quelli che, citando Mario Merola, doveva scegliere se diventare camorrista o carabiniere. E andava a finir che se la menava  con questa storia, i più pensavano senza dirlo che di sicuro aveva sbagliato mestiere.
Per lei fu una leggerezza ma lui invece la prese dura. Solo perchè per un attimo si sentì da mezz’uomo trasformato in un adone. Anche e soprattutto perché aveva travisato l’obbiettivo reale di quel gesto. Che sintetizzava sia l’arroganza sia quanto fosse farfallone.
“Rocco prendi la jeep che andiamo in paese a controllare“. Ordinava all’appuntato che sapeva già che si sarebbero poi piazzati davanti al negozio della Piumetta per verificare il movimento.
La sera a cena Rocco abbassando la televisione confessò le sue preoccupazioni alla moglie Carmela quando i figli era già a letto. “Carmè. U’ maresciallo sta uscendo pazzo“. Lasciando scivolare la conversazione verso faccende scomode.

Quando entrò per la prima volta nel negozio della Piumetta a comprare agli e vino rosso a buon mercato Adrian, che giù al cantiere tutti lo canzonavano Mutu in onore al calciatore del quale non aveva di certo il profilo sorvolando sul conto corrente, se ne innamorò immediatamente. Non che pensasse al sesso tutt’altro. Forse e alla fine in quella donnona rassicurante vedeva più la mamma. Un senso di morbida protezione. Era un po’ grassotto e ben stempiato. Un romeno anonimo e spento e distante che prima o poi ti passa davanti agl’occhi. Non aveva una buona parlantina ed era pure timido. Il fatto poi che bevesse robusto invece di sciogliergli la lingua lo bloccava ancora di più. E finiva così sempre ubriaco a cercare tra i ricordi quei due o tre che sapevano un po’ di buono cullandosi su fotogrammi dai colori pallidi della famiglia e del suo piccolo paese al nord della Romania dal quale era scappato dopo un matrimonio finito male.
La Piumetta provava una grande tenerezza per quel ragazzotto timido e impacciato che raramente alzava lo sguardo da terra. Sorridendo tra sé gli veniva istintiva di proteggerlo come un figlio. E gli piaceva trastullarsi due minuti con lui e infilargli a conto fatto qualche verdura extra nella sportina della spesa.
Poi quel pomeriggio di vicino Natale entrando in bottega dopo aver scolato una bottiglia di rhum importante con gli amici Adrian le pronunciò due parole che cambiarono le bisettrici della sua vita. Due parole che avrebbero portato venti di incomprensioni e tempesta. Gli sussurrò due parole che nessuno le aveva mai dichiarato prima. Gli disse: “Sei bellissima“.
Piumetta arrossì insieme a lui anche se non era sua abitudine e si sistemò la ciocca civetta dietro l’orecchio.
Il maresciallo osservando tutto dalla penombra del parcheggiò sibilò ad un appuntato che non sapeva più dove guardare: “A chisti ‘i fotto“.
E ce la mise tutta Don Raffaè. Iniziò nello sguinzagliare sua moglie in giro a parlar male della Piumetta che anche se tutti conoscevano la storia qualche vipera sua pari l’avrebbe sicuramente trovata. E donna Concetta, che aveva già inteso avvisaglie losche nell’aria da vecchia donna del sud dimessa con un’acidità indirizzata verso l’obbiettivo sbagliato, Quasi con un senso di inutile rivincita., Si dette ben daffare.
Ed anche per Adrian le cose non si misero affatto bene. Anzi con lui fu tutto molto semplice. Una pendenza per uno scooter rubato anni prima nella periferia romana. Quella scazzottata con due albanesi che gli costò una denuncia per rissa e otto punti di sutura. Insomma. Uno con le sue piccole colpe che a guardar bene non si distinguevano molto dalle piccole colpe che ognuno di noi si porta dietro in una vita. Ma a differenza delle nostre. Lui le sue le pagò fino all’ultima stilla.
Lo fermò persino una sera nei giardini pubblici umiliandolo davanti a tutti perquisendolo. Sibilando poi ai passanti intimoriti che quello è uno spacciatore ed è pericoloso. Anche se Adrian odiava la droga e i drogati. “E poi che minchia ci faceva tutte le sere nel negozio della Piumetta? Non è che?“. Spargendo il germe del dubbio dette il meglio di sé. Don Raffaè.

Cambiò la vita di Piumetta e di Adrian ma cambiò anche quella del paese credetemi. Una coltre di stoltezza iniziò a coinvolgere invisibile ma decisa un po’ tutti. Si partì nei bar a straparlar gratis e male. Dalle briscole all’’asso di bastoni si passò dritti a far battutacce da stucchevoli cafoni. Intorno a quello schiocco confessionale le voci al curaro delle tossiche da tre funzioni al giorno rimbalzarono acide ed inquisitorie protette dalle antiche pietre della chiesa. Persino l’ingegnere affermava che si era passato il limite. Donna Concetta comiziava e dispensava oramai ad un plotone di casalinghe represse parole piene di disgusto moralista verso la Piumetta che almeno all’iniziò incassò quegli affondi come un pugile rintronato stretto alle corde. Fino al giorno in cui seppe che Adrian era stato arrestato. Giusto fino a lì.
Don Raffaè l’aveva trovato ubriaco su una panchina e lo aveva portato dentro in manette quando si era permesso di apostrofarlo con un chiaro stronzo all’ennesima richiesta dei documenti.
Ecco. Le cose iniziarono a precipitare proprio da quel preciso momento.
Non perché il lavoro di due anni era andato a puttane in due settimane no.
Non perché persone che fino al giorno prima la salutavano solari adesso la guardavano come la fonte di tutti i mali no. Con ogni probabilità si scollò inconsapevole dalla bieca realtà.
Chissà se sentì improvvisa la pesantezza del vivere e ne ebbe timore.
O forse guardando quei cento chili allo specchio vide per la prima volta quei cento chili che aveva sempre nascosto ai suoi occhi.
Ci fa più sollievo pensare che percepì il suo gesto come un obolo supremo e necessario all’amore che non si può consumare.
Non lo sappiamo che cazzo successe diciamocelo. Ma il giorno dopo Piumetta non aprì il negozio. E neanche il giorno dopo. E neanche quello dopo ancora. Quando la Francesca preoccupata andò con il Romeo a casa a cercarla e trovarono la porta aperta e le stanze vuote scattò l’allarme.
Troppo tardi.

La ritrovarono due fungaglioli  che salivano su per quell’anonima pinetina di un sabato mattina dal sole generoso.
I referti dissero poi che era rimasta appesa a quell’inconsapevole ramo almeno un giorno.
Appena la notizia travolse i pettegolezzi sul paese calò un silenzio pieno di vergogna e disagio. Tardivo ed inutile. L’ipocrisia del viver solo di facciata criticando la vita di chi invece ci prova davvero a vivere dietro quella patetica facciata aveva vinto ancora. Per l’ennesima volta.

Quando il dottor Germi arrivò nella collinetta, Don Raffaè era piazzato impresario sulla cima ad osservare capo branco il via vai operativo. “Che è successo maresciallo?” Gli chiese tra barellieri e sbirri incuriositi e borghesi dalle curiosità incancreniti. “Che è successo dottò. Si è suicidata“. Borbottò lanciando un calcio ad un sasso che ostruiva il suo nobile passo. Poi su quella frazione di silenzio aggiunse sistemando la cinta in abbondanza sul pantalone d’ordinanza.: “Comunque. Quel che è stato è stato. Finiamola qua ‘sta sceneggiata“. E stringendogli il braccio e allontanandolo dalla folla di presenti sommò in un napoletano sprezzante ghiacciandolo: “E poi dottò. Pè mè ‘na femmena italiana che s’amazza pè nù romeno se l’è solo cercata“.

(E crolla la fortezza/Del mio debole per te)