Prospettive

Mi osserva da lontano con tenerezza.
L'esperienza gli ha insegnato a guardare di corsa e capire.
Don Paolo si accontenta di piccole cose, e se il pasto distribuito dalle sue volontarie ti piace, sorride con quell'aria complice,che poi non puoi far finta di niente.
Si avvicina al pentolone dal culo affumicato, alza il coperchio e annusa con viso esperto quel fumo denso, che si propaga per il refettorio e appiccica ovunque la puzza di cavolo, che starà sempre con te, a ricordarti dove hai mangiato.
Sussurra alla cuoca consigli sulla zuppa.
Il suo frenetico andirivieni riempie di tenerezza quel salone così gonfio di rassegnazione.
Il luogo è predisposto per essere dimenticato presto, e tutto sommato è meglio così.
Oggi sto buttato all'estremità del lungo tavolo, in compagnia di altri nove senza nome.
Stanno qui come me, per un piatto di minestra, un panino e una mela sbiadita.
Un pasto quasi completo, offerto dalla bontà di uomini e donne cosiddetti caritatevoli.
Butto giù il primo cucchiaio, che mi ustiona la bocca, procurandomi un'abbondante lacrimazione.
E' il momento migliore per essere esposto agli sguardi avidi delle volontarie, che ci faranno su una bella discussione.
Da bambino odiavo la minestra, ma in quei paesini di montagna era il piatto di chi viveva con niente.
Seduti a tavola mia madre mi guardava con aria severa, tanto per sedare sul nascere qualsiasi accenno di rivolta.
Quando giunsero i tempi dell'abbondanza e della carne nel piatto, praticamente tutti i giorni, la minestra venne bandita dalla mia vista.
Finita l'università,conquistai un buon lavoro e tanti soldi, che con devozione contavo e ordinavo in mazzette dello stesso taglio.
Le mazzette dentro il cassetto del comò aspettavano il lunedì, per essere depositate alla posta e testimoniavano la tenacia e la forza che ho sempre avuto di fronte alle sfide.
L'odore pesante di soldi usati che si sprigionava da quel mobile, attraversava le narici sino al cervello, aumentando la stima per me stesso in modo quasi sconcio.
Il giorno della Laurea, la mamma si lasciò accarezzare il viso da un sorriso.
Tutti i nostri vecchi sono nati e cresciuti con il destino segnato: figliare e faticare, calcinculo e via, mica per acquisire titoli importanti come i signorini giù in città.
Poi...capita che precipiti in un incubo che non ti dà scampo.
Don Paolo mi guarda da lontano con apparente leggerezza.
Sa che per noi è più difficile. Noi i caduti.
Quelli che fanno fatica ad accettare di avere perso tutto e che possiedono solo il ricordo,che non consola.
Quelli che alla sera piagnucolano in silenzio per la vergogna, e pensano “ non ce la faccio”. Per questi vicini a me è più semplice. Non hanno mai avuto nulla dalla vita.
Occhi bassi sul piatto, parlano solo se interrogati.
Hanno terrore che le parole vadano a scoperchiare antichi grumi di dolore, che nessuno avrà voglia di accudire.
Io l'ho detto a Don Paolo, “ Guardi che per me è una situazione passeggera”
E lui mi incoraggia, mi prende le mani tra le sue, calde, ottimiste. Mi guarda e mi assicura che ce la farò prima o poi.
Lo sconforto mi assale la notte. Dentro la mia scatoletta con le pareti di cartone.
Guardo il soffitto. Si intravvede una marca di televisore.
Come quello che ho comperato alla mamma, durante i bei tempi.
Sento scendere un gusto salato sul labbro superiore.
E' solo un momento di debolezza, che la mia lingua estingue, con un gesto primordiale.
Domani lo sguardo ottimista di Don Paolo mi ridarà la fiducia per sopravvivere ad un'altra giornata, piena di prospettive.