Quando è iniziata questa storia

Quando è iniziata questa storia, non mi sono preoccupata più di tanto, anche se ho pensato ad evitare situazioni di assembramento o di contatto che favorissero l’infezione.
A fine 2019 già consideravo che avessi avuto più di quanto meritassi; mio fratello mi aveva regalato quello che io non aveva donato a lui: qualche mese in più di vita.
Quando a febbraio 2020 sentii che le situazioni di stress favorissero l’infezione e la malattia, pensai: <<Ecco, mi hanno fatto>>.
Ma andava bene così, dopo che una collega a dicembre 2012, il mio parrucchiere a novembre 2018 ed una ex-vicina della casa al mare a febbraio 2019 in pratica mi avevano detto che si meravigliano che fossi ancora viva, considerato tutto quello che avevo passato.
Certo c’era l’orrore di morire soffocati. Avevo visto la paura e il senso di impotenza negli occhi di mio padre nel primissimo pomeriggio di domenica 19 maggio 2013 quando non riusciva a respirare e si rese conto che stava per morire. Ma tant’era.

Poi, a metà aprile 2020, la certezza: sono stati loro. Tutto questo lo hanno provocato, ma perché? Solo per vendere un v? E intanto completo il quadro di cosa aveva fatto stare male mio fratello: mio fratello sapeva.
Ci ripensavo già da qualche anno al libro semi-distopico che mi aveva regalato nel 2002; ‘semi’ perché si intravedeva una realtà che in parte era già in essere: la vita delle persone dominate da un mondo aziendale. Un’unica grande azienda, in realtà, anche se formalmente, più aziende che, di facciata, si facevano concorrenza tra loro. E i dipendenti che non si adattavano sostanzialmente alla ‘vision’ e alla ‘felicità’ di quel mondo aziendale venivano individuati ed eliminati con il loro inconsapevole consenso.

Sono quindici giorni di tempesta. Se non fosse stata per l’esperienza di mio fratello, realizzo che avrei rischiato di cadere nello stesso disagio. Un disagio in cui cadono persone molto intelligenti e/o molto sensibili che sono disorientate dal ricevere segnali contrastanti dalla stessa sorgente ovvero da chi li dovrebbe solo amare e proteggere. Il 30 aprile decido che devo tornare indietro, non posso permettermi di cadere nello stesso disagio. E mando un messaggio al collega che ho individuato come il più concreto e in gamba da un punto di vista pratico, oltre che attento alle esigenze degli altri, anche se lo nascondeva: “Devo parlarti, de visu, quando?”
“Adesso”, è la risposta del collega che sapeva stessi vivendo il lockdown da sola e già una volta, preoccupato per questo, mi aveva chiamato in un collegamento multiplo con tecnici dell’azienda per farmi stare un po’ su di morale.
Ci colleghiamo al PC in videochiamata. Gli spiego tutto.
– E così diventi schizofrenica! – è la sua prima osservazione.
– E per questo ti ho chiamato: perché mi riporti indietro.
– Ma di che ti meravigli? Non le vedi le industrie che buttano veleni nei fiumi, fregandosene della gente che avvelenano e uccidono?
– Sì, ma lì è a livello locale. Questi lo stanno facendo a livello planetario!
– Di che ti meravigli? – insiste lui.
Bastò questo per riportarmi indietro.

Mio fratello sapeva. Forse il compito che mi aveva lasciato era di fermare, di impedire tutto questo. Io contro William. Che presunzione!

Mio fratello sapeva. Intanto, a novembre 2017 mi ero ritrovata a pensare: “Mi sa che mio fratello aveva ragione”. Su un altro soggetto.
Su cosa mio fratello aveva ragione?
Il 3 giugno 2005 aveva rinfacciato al tizio: <<Tu non mi sei mai piaciuto>>.

Il 6 settembre 2020 vedo lo spezzone del ‘problema di matematica’ nel film “La vita è bella” con Benigni: <<Un pazzo costa allo Stato quattro marchi al giorno; uno storpio quattro marchi e mezzo; un epilettico tre marchi e cinquanta. Visto che la quota media è quattro marchi al giorno e i ricoverati sono trecentomila, quanto si risparmierebbe se questi individui venissero eliminati?>>
Vite indegne di essere vissute.
Chi ha la mentalità di un nazista ha la presunzione di poter decidere quali persone meritino di vivere e chi no.
Pochi giorni dopo la morte di mio fratello, venni a sapere dalla stessa bocca di mio marito che mio marito non considerava mio fratello degno di vivere. E ancora la pensa così. Avevo sposato un nazista che mi aveva indotto ad abbandonare mio fratello.
È un nazista. Che ancora giudica chi è degno di vivere e chi no. È degno di vivere chi rientra nei suoi parametri, gli altri no.
Io, non essendo più al suo servizio, probabilmente non rientro più nei suoi parametri e, probabilmente, neanche io sono più degna di vivere.

Il 6 settembre 2020 stavo per confessare agli sconosciuti amici e compagni di lotta conosciuti nel web che non ero degna di stare in mezzo a loro e non era degna di questa lotta.
Ero stata anche io carnefice, anche se semi-involontaria.
Anche se capirlo, col sacrificio di mio fratello, mi aveva aperto le porte alla consapevolezza.


Ed in tutto questo i parenti ed i vicini di Liliana ancora pensano a Liliana come ad un’arancia da spremere. Una gonza dalla quale spremere soldi affinché siano sollevati dalle loro spese di condominio e, anzi, ci speculino pure. Ancora guardano con invidia e ingordigia ai soprammobili, ai mobili, alla casa stessa di Liliana, come se non avessero la loro. Ancora l’altro fratello odia Liliana e gode se viene punita, perché “Liliana ha avuto la casa gratis”. Una casa che piace alla moglie, dopo che Liliana ed il marito di Liliana, non rivelatosi ancora un nazista, l’hanno resa di nuovo una casa abitabile partendo da un guscio dirupato. Certo, da un guscio dirupato si arriva ‘gratis’ ad una casa abitabile.

L’orrore inizia da meschinità, miseria d’animo, egoismo, avidità.