Reazioni esagerate

Marzo.
Azione. Un tizio presenta un preventivo nel nome di una ditta dalla quale so che si serve anche mio padre per lavoretti personali. 
Reazione. A me il preventivo appare evidentemente scritto dal tizio stesso, ma non parlo. 
Reazione corretta?

Gennaio‐Marzo.
Azione ripetuta. Una vicina mi attende al varco quando esco alle 06:50 del mattino per recarmi al lavoro e mi ordina che la luce fuori al portone deve essere spenta perché consuma troppa corrente.
Reazione: Le elargisco il consiglio che anni addietro il mio padrone di casa mi dette per la lampada della cucina: "Signora, questo è un neon: consuma di più ad accenderlo e spegnerlo ogni momento che a tenerlo acceso tutta la notte.".
Reazione corretta? No, sbagliata. Ve lo dico io.
Perché una persona che ti attende nell'ingresso del palazzo da quando? dalle 06:30 del mattino? per darti un ordine con prepotenza su una quisquilia del genere dimosta una grettezza con la quale non si può ragionare. L'unica reazione corretta era: "Certamente, signora. E' quello che dico anch'io!"

Luglio. Sto per assentarmi da casa per lavoro per tre mesi e faccio una domanda [azione scorretta? no lecita, magari imprudente, ma non avevo ancora dato il nome di 'pizzo' a quelle richieste impudenti] sui lavori legati a quel preventivo e per i quali sto pagando, ma di cui non ho alcuna notizia.
Reazione: Il tizio si mette ad urlare senza che si capisca niente.
Siamo in casa d'altri.
Il padrone di casa scuote la testa e fa: "Ecco lo sapevo".
Dopo il primo attimo di sbigottimento, mi metto ad urlare anch'io.
Reazione corretta?
Però urlo parole chiare: "Ma che ti urli?"
Il padrone di casa fa un'aria sbigottita, allora mi rivolgo a lui e urlo: "Ma che si urla? Sappia che se lui urla, io so urlare più forte di lui!".
Però per rivolgermi al padrone di casa ho voltato la testa ed entrano nel mio campo visivo sua moglie e la sua bambina di circa due anni, sedute sul divano.
Allora rientro in me, mi metto le mani sulla bocca ed in tono tornato normale dico: "Scusa, ho urlato in casa tua".
Vado a sedermi accanto alla bambina, mentre quel tizio continua ad urlare, senza che nessuno lo rimproveri o lo butti fuori casa, e la rassicuro: "Stiamo giocando".
Azione corretta per riparare alla reazione scorretta?

Dicembre.
Il nipote del tizio dice che la ditta, della quale né io né mio marito abbiamo mai visto nemmeno un operaio, ha presentato la fattura e bisogna pagare l'ultima rata. 
So che non esiste alcuna fattura. Non dico che il nipote mentisse: stava solo ripetendo quello che lo zio gli aveva detto. Pago. 
Reazione corretta?

Febbraio.
L'amica del tizio, direttamente interessata a quei lavori, bussa alla mia porta. "Ho di nuovo problemi", afferma.
"Scusate, ma la ditta che ha fatto? Che garanzie ha lasciato?", rispondo. 
Reazione corretta?
La tizia fa: "Ah, oh" e se ne va.

Febbraio.
In treno incontro un vicino. In passato abbiamo frequentato la stessa università. Sa che conosco quel tizio del preventivo fin da quando ero bambina.
Azione. Allusivo mi chiede: "Ma quel tizio è sempre stato così?"
Reazione. Faccio in parte la gnorri, ma non troppo e mi sfugge: "Mah, so che ha avuto qualche problema con la sorella ..." Lui vorrebbe approfondire, ma devio il discorso. So che si occupa di attività di ricerca in un settore di cui in passato mi ero per un po' occupata anch'io e gli chiedo di parlarmene.
Reazione corretta?
[By the way, dovetti intervenire nel suo discorso con osservazioni appropriate, anche se da dieci anni non mi occupavo di quegli argomenti, perché ad un certo punto il vicino ebbe un moto di stizza dicendo: "Ma perché non sei rimasta all'università!?! Una come te!"]

Maggio.
Azione. Mio fratello maggiore mi aggredisce verbalmente (e naturalmente l'atteggiamento fisico nemmeno scherza) di fronte a nostro padre, uscito di ospedale da meno di due settimane.
Secondo lui sono una cretina perché non ho capito che devo telefonare io all'ospedale per sapere quando mio padre deve iniziare la terapia e non viceversa.
Su sua insistenza avevo già telefonato due volte al reparto ed entrambe le volte mi avevano ribadito che avrebbero chiamato loro. E la seconda volte si erano, giustamente, anche mostrati seccati e pensato che io fossi un po' tonta. 
Reazione. Naturalmente non ritelefono ed il sabato successivo, quando so che c'è anche mio fratello maggiore con la sua famiglia a casa dei miei, non ci vado.
Reazione corretta?
Azione. Mi telefona mia cognata per chiedere spiegazioni. Le spiego cosa fosse accaduto. "Lo sai che animale è! E non capisce che in un momento delicato come questo, uno può anche essere più sensibile e suscettibile.", replica a mo' di giustifica.
Ed allora? E' un animale: lo devo giustificare gratis et amore deo e bisogna permettergli di continuare ad essere un animale? E' questo che intende mia cognata? Se è un animale, bisogna agire per riportarlo tra le persone civili.
Reazione. "Sa dove abito", replico.
Intendevo dire: "Venga qui a scusarsi".
Reazione corretta?
Mia cognata sembra risentita e chiude la telefonata. 
Nessuno viene a scusarsi con me.
Evidentemente chi è un animale nella mia famiglia e nel mio vicinato, è giustificato e ha il diritto di continuare a comportarsi da animale, mentre chi è in torto è colui che non accetta supinamente che le persone intorno a lui si comportino da animali e si rifiuta di subire in silenzio.
Per la cronaca, finalmente telefonano dall'ospedale per comunicare quando mio padre deve iniziare la terapia.
E le cose continuano come prima. Ed io mi ritroverò di nuovo a tavola con mio fratello maggiore e mia cognata. Senza che nessuno si sia scusato.
Reazione corretta? 
A mio avviso, no. Continuare a frequentarlo come niente fosse successo è la reazione errata.

Luglio.
Mio padre è ricoverato d'urgenza in ospedale. Me lo sono visto morto tra le mani.
Il giorno dopo, il primario pronunzia una diagnosi infausta e mi parla di intervento palliativo. Sono sola. Devo decidere io.
Mio marito mi porta a parlare, giustamente, con chi aveva operato mio padre tre mesi prima. Pronuncia una diagnosi direi quasi di routine e dice: "Portatemelo qui". Non so chi abbia ragione, ma decido di affidare mio padre a lui.
Con enorme fatica, senza dirgli niente delle due diagnosi, riesco a convincere mio padre a farsi trasferire di ospedale.
Azione. Non appena mio padre accetta di essere trasferito, mio fratello maggiore, appena arrivato, si volta verso di me e dice: "Se papà muore, è colpa tua".
Reazione. E' come se avessi ricevuto una mazzata. Ma reagisco a me stessa. Lo ignoro e continuo a sovrintendere al trasferimento di mio padre.
Reazione corretta?
La sera e la mattina dopo sono una pezza, incapace di muovere un muscolo o applicare il cervello a qualsiasi cosa.
Il pomeriggio vado a casa dei miei per raggiungere il resto della famiglia e andare a trovare mio padre in ospedale.
Azione. Mio fratello maggiore mi aggredisce di nuovo. Verbalmente, ma stavolta anche fisicamente. Cado all'indietro.
Reazione. Mi alzo, afferro la mia borsa e scappo via da casa.
Reazione corretta?
Mio padre viene operato il giorno dopo, l'intervento conferma la diagnosi di un problema "quasi" di routine, ma, di nuovo, nessuno si scusa con me. 
Nonostante il primario abbia ingiunto ai miei fratelli: "E lasciate in pace questa povera signorina!".

Dicembre.
Mio marito è da un anno l'amministratore interno del palazzo dove viviamo. Compito che viene assolto a turno da tutti i condòmini tranne dal tizio che presentò il preventivo e si mise ad urlare alla richiesta di informazioni. Sta preparando il bilancio consuntivo da presentare in assemblea. Nessun altro vicino lo ha mai presentato in passato.
Azione. Mio marito viene da me e dice allibito e forse un po' scandalizzato: "Quello si sta rubando 300 euro!"
Reazione. Capisco di chi stia parlando e lo guardo ocn aria interrogativa ed alzando leggeremnte le spalle per dire: "Embè? Lo sapevamo che ruba. Qual è la novità?"
Reazione corretta?

Ma mio marito non si ferma là.
Azione. Fa venire in casa il vicino che mi aveva fatto domande sul tizio in treno e gli comunica la stessa notizia mostrandogli i conti.
Reazione. Se in treno avevo fatto la gnorri, ora mi sento in dovere di farmi vedere imbarazzata, perché quel tizio secondo l'anagrafe risulta essere un mio mezzo parente.

E le mie reazioni da quel momento cominciano ad essere stupide, veramente stupide.
Perché se fino a quel momento avevo sempre fatto finta di niente, ora mi sento in dovere di partecipare allo smascheramento dell'imbroglione/ni.
E perché questa reazione stupida? Per quel specifico caso forse perché fosse chiaro che io non c'entro, che non sapevo nulla.
E poi? Perché quel tizio diventa insistente. Lui ed i suoi amici petulanti, maleducati (ancora più spesso di prima), prepotenti (ancora più di prima), arroganti (ancora più di prima), pretenziosi all'assurdo ed io prima, stupidamente, mi esaspero e poi credo di dovermi schierare al fianco di mio marito.

Dimenticando che in Italia l'unica legge che viene rispettata è quella dell'omertà.
E che in Italia si è deboli con i forti e forti con i deboli.
E come ci ricorda Pirandello ne "Il berretto a sonagli", i rapporti sociali sono basati sull'ipocrisia.
E, Collodi c'insegna, è il derubato Pinocchio ad andare in prigione.

Preciso: favola, storia di pura invenzione ispirata alla massima "Quello che fanno gli altri, fa parte della loro storia. Come reagisco io, fa parte della mia."