Resilienza

Linda Landi   30 novembre 2018 · 

Perché far ridere i polli?
Mi chiede il mio amico Pino

Non so, forse perché sono rimasta sola.
O ritrovare me stessa.

Nel Natale 2012, eravamo solo Annarita N. ed io nel grande Open Space del nostro dipartimento nei due giorni lavorativi tra Natale e Capodanno.
Il secondo giorno Annarita mi chiese, con educazione e rispetto, delucidazioni sul mio stato che durava da mesi.
Le dissi solo il 10? il 30%? di quello che mi era capitato.
Le risposi: "Nel marzo 2011, sulla base di una certa diagnosi, ho subito un intervento. E dopo l'intervento mi hanno detto che non avevano trovato niente. Nel febbraio 2012, a seguito di un controllo, mi hanno fatto la stessa diagnosi dell'anno precedente."
"Linda!", fece Annarita, "e quello che è capitato a te avrebbe ammazzato un elefante! Comunque puoi stare tranquilla che io non dico niente a nessuno."

Uno dei primi giorni di novembre Pino mi fa: "Sai Linda, ci stavo pensando proprio uno di questi giorni. Se, dopo quello che ti è capitato, sei ancora in piedi e combatti vuol dire proprio [scusate] che hai veramente le palle!"
(Scusa Pino, se non ti cito alla lettera, ma credo che il senso fosse questo e le "palle" le ho citate correttamente).

Ed io ho pensato "Toh, qualcuno se ne è accorto!".
E nella mia famiglia, incluso quel tizio che mi si è attaccato addosso e non mi ha mollato, stanno solo a criticarmi ed a giudicarmi. Solo mia madre, poverina, anche se (forse) non capisce, mostra un po' di comprensione.

Comunque mercoledì ho ricevuto altri colpi. Fisici. E pesanti. Oltre che morali. E visto che sento ancora adesso le conseguenze sul mio organismo, mi chiedo quanto ancora potrò resistere.

Giusto come comunicazione di servizio.

Un'altra precisazione. Come mai a 33 anni una dottoressa che mi aveva diagnosticato qualcosa di brutto al seno non mi ha fatto scema ed invece a 45 anni mi sono fatta fare scema da un'amica (medico radiologo), con la quale avevo cenato tante volte a casa sua, oltre che da ben due specialisti del settore, uno ex‐primario (in pensione) del più grande ospedale di uno dei capoluoghi della Campania, un altro (attualmente ancora primario) del più grande ospedale di un altro capoluogo della Campania, che mi è stato venduto come il numero 2 in Italia del settore?
Perché a 33 anni non ero in depressione, non avevo contratto regolare matrimonio, e le mie decisioni le prendevo da sola (ed anche perché il Signore mi ha fatto incontrare il dottore Silvio Pignata che mi ha salvato).
A 45 anni ero andata in depressione da un paio di mesi (ma l'ho accettato solo più di tre anni dopo), purtroppo avevo contratto regolare matrimonio e, grazie alla mia depressione, condividevo, se non addirittura mi facevo guidare nelle mie decisioni, da quel tizio e perché, proprio perché avevo contratto regolare matrimonio (ma adesso sarebbe troppo lungo spiegare), non mi recai in tempo dal dottor Silvio Pignata.
Comunque il danno fisico di quell'intervento inutile non era grave. E' stato il danno psicologico unita alla depressione che ha portato gravi conseguenze. Principalmente unito al fatto che quando il numero 2 in Italia durante l'intervento non trovò niente, aveva preso una cantonata pazzesca, come scoprii due anni dopo.

In breve, ritengo che quello che è successo a me ed a mio fratello è stato dovuto al fatto che nella mia famiglia si tendeva a mortificare l'altro (dalla mia analisi, ciò veniva fatto dai due elementi maschili più adulti della famiglia, anche se proprio il più adulto dei due non se ne accorgeva, e non lo faceva in mala fede, perché era buono, lo faceva in linea con uno stile educativo dell'epoca ed era uno stile ereditato, ed io imparai purtroppo solo dopo i 18 anni a difendermi ed, in parte (e non sempre), a correggerlo; solo il pomeriggio del 4 gennaio di quest'anno, troppo tardi per mio fratello, ho capito con sgomento che avrei dovuto (e potuto) usare la stessa tecnica con il secondo elemento maschile più adulto della famiglia, anche se in questo caso a me sembrava che era subentrata "'a cazzimma").
Inoltre io avevo dovuto vivere i primi 9 anni della mia vita a contatto con zii e cugini che hanno per loro principio che devono "Stare <<'a copp'>>" e non perdevano (e non perdono) occasione per mortificarti. 
Credevo che mio fratello di questo non ne avesse risentito, avendo vissuto vicino a loro solo per il primo anno di vita, ma ora a pensarci bene, abbiamo continuato a frequentarli e siamo stati vicini estivi sin da quando mio fratello aveva 5 anni e forse anche lui, che ha mantenuto il suo affetto fino all'ultimo per la famiglia 'allargata' (come io, scema, fino a 10 anni fa ed anche oltre ('a ri‐scema), dopo che hanno continuato a massacrarmi), è stato vittima.

Mio fratello ed io siamo degli 'ipersensibili':
vedi "Mi dicevano che ero troppo sensibile" di Federica Bosco.

Purtroppo non ho avuto il tempo di leggerlo, ho potuto solo sfogliarlo e leggerne qualche pezzo. 
Mi ci ritrovo almeno per l'80%.

E penso solo adesso, da un paio di episodi di quando mio fratello aveva tre anni, che anche lui è un 'ipersensibile'.

E circa 10 anni fa lessi che la malattia che gli avevano diagnosticato (su questo spero di avere occasione di tornare) negli uomini si sviluppa in genere sui 18‐19 anni, mentre nelle donne a 45 (e pensai: devo stare attenta). Tranquilli, nessuno me l'ha diagnosticata: manca il sintomo fondamentale che è associato a quella malattia.
L'unico neurologo che ha esteso l'ora di visita a tre ore per ascoltare tutta la mia storia (che parte da quando il secondo elemento maschile più adulto della famiglia mi disse: "Se papà muore è colpa tua" ed il giorno dopo mi mise le mani addosso) ha decretato: depressione reattiva.
"Ovvio, il medico dice "sei depresso", nemmeno dentro al cesso possiedo un mio momento.", cantava Francesco Guccini.