River man

La luce della luna si schiantava sul fiume, espandendosi poi sulle colline che in parte avvolgevano il corso d’acqua;  quelle alture, con crinali ripidi e ricoperti di alberi, costringevano il fiume a virare verso destra.
In quella curva a gomito,  a poca distanza dalla diga, c’era la spiaggia.
Il ragazzo stava lì, seduto sulla panchina in pietra sistemata vicino alla riva; pensava,  per l’ennesima volta, all’impresa che voleva compiere.
Dovevano essere in due, anche per ragioni di sicurezza, ma alla fine il suo amico aveva deciso di rinunciare.
Guardò la superficie dell’acqua: immobile.
Sapeva però che sotto quel velo d’apparente tranquillità, era tutto un ribollire di correnti; sapeva perché nel tempo aveva imparato a conoscerle e a governarle.
Ne avevano fatte di vittime quei torrenti nascosti, per imprudenza, cattiva digestione; a volte era anche successo che qualcuno, per scelta, si abbandonasse alle correnti, regalando al fiume sofferenze, paure fuori controllo, vite giunte al limite.
Il fiume quelle esistenze non le cercava e nemmeno le voleva; portava acqua e quindi vita, e la morte lo rattristava: avrebbe voluto aiutarle, avvisarle dei pericoli.
Avesse almeno potuto piangerle, ma non c’è posto per le lacrime in un mare d’acqua.
Alla fine il ragazzo decise: doveva farlo!.
Era la prima volta che tentava di attraversare il fiume di notte: una bella sfida, ma era sicuro di riuscirci; negli anni aveva avuto  un maestro straordinario, suo nonno, che tutti chiamavano “River Man”, uomo di fiume, a sottolineare quella sua simbiosi con l’acqua.
Proprio alcuni giorni prima, in occasione dei suoi ottant’anni, aveva fatto un tuffo dal trampolino della spiaggia che poi era un muretto,  e tutti  i presenti si erano alzati in piedi ad applaudire.
Ricordava ancora le parole della prima lezione teorica di nuoto che il nonno gli aveva impartito:
Quando fai i compiti ragioni con la testa, se invece giochi a pallone,  oltre che con la testa devi pensare con i piedi;  ma se vuoi diventare un uomo di fiume come me, devi imparare a pensare con tutto il corpo.Entrò nell’acqua e lentamente cominciò a nuotare.
La corrente, in quel tratto costretto tra due sbarramenti, era forte: violenti massaggi  che affaticavano la muscolatura di tutto il corpo e incrementavano la fatica.
Sentì rumori di motore nelle vicinanze della spiaggia. Girandosi, vide una vettura fermarsi e spegnere le luci.
Probabilmente una coppietta,  o forse una di quelle persone che di notte scaricavano tra gli alberi ogni tipo di rifiuto; ma non era il momento per fermarsi a pensare, doveva mantenere la giusta concentrazione, quindi, voltando le spalle ad ogni ipotesi, riprese a nuotare, stavolta  con vigore.
In un lasso di tempo che a lui sembrò breve, abbordò l’altra riva; si sentiva carico e soddisfatto, e aveva ragione di esserlo: senza grossi problemi aveva fatto metà del lavoro.
Solo in un tratto della traversata si era trovato in difficoltà, per via di un vortice del tutto inaspettato; in quel momento aveva anche pensato che il fiume non gradisse di essere disturbato nel cuore della notte.
Uscito dall’acqua e recuperato un respiro regolare, fece un po’ di ginnastica per ridurre l’impatto dell’aria e ridare tono alla muscolatura; poi si fermò lanciando lo sguardo sulla collina del Belvedere.
Lì sopra volevano costruirci una grande piazza, per consentire alle persone di guardare il fiume dall’alto; per ricongiungere il paese, che stava  sull’altopiano di là dalle colline, con il fiume: così dicevano i tecnici.
A lui l’idea non piaceva, non aveva bisogno di quella vista aerea, buona per gente che sa guardare solo con gli occhi, pensò;  non percepiva quella separazione, perché il fiume era parte della sua vita.
Nei mesi invernali,  in cui era costretto a tenere i piedi per terra, fuori dell’acqua,  lui soffriva e si deprimeva.
Cominciassero a sistemare la spiaggia !  pensò.
I giovani e i meno giovani  della sua compagnia, facevano di tutto per tenere in ordine quel posto, per educare la gente ad usare i cestini dei rifiuti; solo quando c’era qualche piena che fagocitava  parte della spiaggia chiedevano l’intervento del Comune, ma era tutto uno scarica barile.
In Municipio si attaccavano alla Provincia, che si attaccava all’Anas, che si attaccava al Magistrato del Po, che  si attaccava al Parco, che si riattaccava al Comune, che…
Alla fine restava tutto com’era;  e loro si attaccavano a qualcosa che non era un tram.
Ora doveva tornare dall’altra parte. La brezza che all’arrivo gli aveva regalato una benevola frescura, adesso portava brividi e la stanchezza cominciava a farsi sentire.
Era rimasto troppo tempo fuori dall’acqua. Valutò anche, in quel frangente, la possibilità di non tornare a nuoto: poteva, di corsa, prendere il sentiero delle “Lucciole”, attraversare il ponte della  diga e poi proseguire sulla strada fino alla spiaggia dove aveva lasciato i vestiti.
Già i vestiti!  pensò,  mica poteva andarsene in giro in mutande; e poi quella sfida con se stesso, senza testimoni,  in una notte di luna solare, per lui era troppo importante.
Ricordò in quel momento altre parole di suo nonno:
‐Siamo fatti d’acqua e pensieri, e di carne che prende fuoco, se una passione ci coglie.

Senza ragionare oltre si tuffò.
Cristo, era o no il nipote di River Man?!