Scirocco.

Ti preferivo da solo, mare.
Preferivo quando eri freddo, ed era freddo tutto quello che ti stava attorno.
Mi preferivo con la faccia accartocciata dalle coltellate del vento, venendoti incontro, senza saper distinguere dove iniziavi tu, dove iniziava il cielo, dove finiva la sabbia, dove avrei potuto, ipoteticamente, iniziare ad affogare.
Di che materiale ti faceva, l'inverno, mare?
Che composizione chimica dava esiti così calmi, scintillanti, oscuri come la roccia?
Questi occhi serrati, riuscivano perfettamente ad immaginare le onde sottili come lame, affettare il legno delle barche più disgraziate e assorbirne i minerali.
L'acqua diventare così solida da poterci far sedere i melanconici.
Con le mani affondate nella sabbia, la potevo chiaramente sentire compromessa dal sudore delle mani strette in un un'ultima stretta.
Solo le storie senza più fiato si stringono così forte da spremersi, da saturare la spiaggia con elettroliti da poema.
Era facile respirarti, mare.
Infettavi ogni senso con l'odore di salsedine mischiata in nuove note da furibonde onde ancestrali, arrabbiate, da alghe strappate via dagli scogli e conchiglie frantumate per un qualche tuo ragionamento finito in tragedia.
La tua infinità la lasciavo solo la sera tardi, solo con il buio.
Continuamente eccitata dal fatto che fossi talmente gigante da non poterti nemmeno consolare.
Da non averci provato affatto.

Che dire ora.
Ho sbagliato i tempi.
E' colpa mia, sono stata la moglie che torna a casa prima e sorprende il marito con centoventimilamiliardi di amanti.
C'è caldo, caldissimo. E' il tuo momento di indossare una maschera da intrattenitore e darti in pasto al pubblico, mare.
Ti vedo solo se mi concentro, di sfuggita, tra gambe abbronzate che si confondono tra loro come le zebre nella savana.
Di che materiale ti sta facendo, l'estate, mare?
Diluisci in alchimie di crema solare e trucco, diventando una passerella scivolosa come sapone. Chissà se poi ti pesano, questi modelli equilibristi che su di te riescono addirittura a ballare.
Io non ti ho mai visto così annacquato, mare. Non ti ho mai visto così diluito.
Ora sei un suono distorto.
Tutto quello che conoscevo si è tradotto in grida, radio, schiamazzi. Ed io non capisco più questa tua lingua.
E mentre scogli millenari si riducono a piedistalli per fotografie, io penso alla cavitazione.
Il volume a livelli altissimi dei locali sul lungomare, sta senza dubbio modificando la struttura dell'acqua, ne modifica la pressione.
Talmente forte che nemmeno tu, intoccabile gigante, riesci a sentire il principio dei tuoi pensieri.
Sfinito, ovattato, lasci che il moto delle onde si adatti ad un ritmo latino.
Dieci minuti riesco a stare con te, il tempo di rendermi conto che sei diventato lo scenario di cartapesta di un teatro.

Volgendoti le spalle, preferendo la via del ritorno rispetto ad un te deturpato, mi raggiunge un soffio di vento, una carezza.
Un tuo lungo, lunghissimo, bacio di Scirocco: “che trasforma la realtà abusata e la rende irreale”, come diceva Guccini.
Se, nelle situazioni di disagio, c'è anche una piccolissima cosa che ti fa esplodere nella mente la canzone di un cantautore, non è affatto tempo perso.
Quella stessa percezione si è fatta respirare in pieno, rompendo i legami tra atomi e formandone di nuovi.
Ti ha distrutto e donato il salvagente.
E sei tu, sempre tu, sconfinato gigante, che non sei cambiato mai.

Di che materiale mi hai fatto, mare?