Silenziosa
Il cielo sopra il paese sembrava fatto di piombo, come se la luce avesse smesso di lottare. Claudia osservava dalla finestra, le mani avvolte intorno a una tazza di tè ormai freddo. Il vapore era svanito da tempo, ma lei restava lì, immobile, come se quell’immobilità potesse fermare il rumore che aveva dentro.
Era da giorni che si sentiva così. Svuotata. Non c’era stato un evento preciso, nessuna tragedia, nessun grido. Solo la solita, silenziosa erosione. Un logorarsi continuo, che non faceva rumore ma scavava in profondità.
Claudia aveva sempre vissuto in ascolto. Fin da piccola le avevano detto che era "una bambina buona", "educata", "comprensiva". Aveva imparato a non disturbare, a non rispondere, a non far pesare mai ciò che sentiva davvero. Una parola detta a metà, un’emozione messa da parte. “C’è chi sta peggio”, le avevano insegnato. E così aveva assorbito tutto, come una spugna.
Ma ora qualcosa dentro si stava rompendo.
Nel piccolo paese in cui viveva – una manciata di case sparse tra colline e silenzi – era facile che tutto passasse inosservato. Nessuno si accorgeva se sparivi un po’. Se il tuo sorriso era più stanco del solito, se rispondevi con un "tutto bene" più spento. Era il tipo di luogo dove la gentilezza diventava abitudine, e la sofferenza un dettaglio che non faceva notizia.
Claudia lavorava nella biblioteca comunale. Ogni mattina apriva le serrande, sistemava i libri, accoglieva i pochi lettori abituali. Una donna anziana che prendeva sempre lo stesso romanzo rosa, un ragazzo delle medie che cercava storie di calcio. Poi silenzio. E lei, sola tra gli scaffali, trovava rifugio nell’odore della carta e nel rumore secco delle pagine che si voltano.
Un giorno, però, accadde qualcosa di diverso.
Era un lunedì pomeriggio quando entrò una ragazza. Non era del paese, Claudia ne era certa. Indossava un cappotto troppo grande e portava con sé uno zaino logoro. Sembrava spaesata, ma non impaurita.
«Scusa… cercavo un posto tranquillo dove leggere», disse, con voce bassa ma chiara.
Claudia annuì, indicando una delle poltrone vicino alla finestra. «Qui va benissimo.»
La ragazza sorrise. Non aggiunse altro. Si sedette, tirò fuori un libro e cominciò a leggere. Non scelsero di parlare. Ma nei giorni seguenti, la ragazza tornò. Sempre alla stessa ora, sempre con lo stesso silenzio gentile. Aveva qualcosa negli occhi che Claudia riconosceva. Quel peso invisibile che portano solo quelli che sentono troppo.
Fu allora che Claudia capì.
Non era sola. Non era l’unica a lottare nel silenzio. Non era debole perché taceva. Era forte perché resisteva. E forse, bastava solo un altro sguardo sincero per ricordarselo.
Quel pomeriggio, per la prima volta da mesi, uscì dalla biblioteca e decise di camminare senza meta. Respirava l’aria fredda, osservando il cielo ancora cupo, ma qualcosa dentro di lei si era spostato. Una crepa nella tristezza, un filo di luce che faceva capolino.
Non era sola. Lo capì senza bisogno di parole.