Storie di strada - Una vecchia notizia di cronaca

 Pur vivendo nella cosiddetta era "digitale", quella cioé in cui nulla, a rigor di logica e consuetudinariamente, mai e poi mai dovrebbe passare inosservato né ‐ tanto meno ‐ possa (e debba) capitare che qualche notizia (per grande o piccola che sia, che riguardi un potente oppure il becchino di Vattelappésca) venga in silenzio archiviata o cestinata a "quattro mani" nel dimenticatoio eppoi anneghi nell'immenso oceano dell'oblio, prima d'esser esposta ‐ magari ‐ al pubblico scherno e data in pasto, all'unisono, al giudizio mediatico massificato, tutti siamo ancora (volenti o meno ed indistantamente) succubi ancorché vittime (forse non del tutto ignare!) d'un gigantesco quanto assurdo paradosso, tale da far drizzare i capelli anche alla buona anima di Telly Savalas (attore americano, noto per esser stato il protagonista di una serie televisiva poliziesca di molti anni orsono, intitolata "Kojak") o far rivoltare nella tomba ‐ forse ‐ scrittori e drammaturghi del rango di Samuel Beckett e Luigi Pirandello (cito a casaccio due tra i più grandi del'900 ma credo che anche quelli meno noti lo farebbero se potessero!): da un lato vi è il "grande fratello" di orwelliana memoria (nella fattispecie trattasi del carrozzone mediatico contenente stampa, reti televisive e network, del web intero con social, blog, chat e quant'altro al seguito; della tecnologia corrente con smartphone, i‐pod e i‐pad di ultima generazione, sui quali è possibile installare applicazioni ipercomunicative ed istantanee) che tutto va scrutando, spia ed osserva, alla stregua stessa  del più raffinato dei voyeur (ma non sarebbe meglio etichettarlo col suo vero nome? Squalo bambù maculato, il quale nella toponomàstica linneiana, nota a pochi e forse invisa pure a quelli, suona così: Chyloscyllium plagosium), eppoi lo fagocita (appunto), non prima tuttavia di aver mandato a puttane ciocché un tempo era chiamata privacy; dall'altro una sorta di censura legalizzata delle notizie (mi sovviene il famoso Minculpop, Ministero della Cultura Popolare operante in certo "ventennio", che le filtrava a scopo propagandistico) che sta a capo delle lobbies editoriali della terra (in maniera altrettanto consuetudinaria della stessa diffusione delle notizie, oltre ad essersi stratificata nella società attuale in modo furbescamente e squallidamente velato) e fa in  modo che alla gente (o massa fruitrice che voglia dirsi) ne giungano talune piuttosto che altre: ovvero quelle che possano far "cassetta" o far crescere la tiratura di un giornale; far salire in maniera esponenzialmente vertiginosa lo share di una emittente televisiva o radiofonica e quindi...parlasi, sovente, d'introiti dell'ordine di bilioni (se no addirittura trilioni) di dollari piuttosto che di qualche nichelino (moneta di nichel oramai in disuso)  oppure della misera "paghetta" settimanale distribuita ad adolescenti. La manipolazione delle notizie: queste ‐ evidentemente ‐ dovrebbero essere le parole giuste da usare ma, soprattutto, è ciocché rappresenti il nocciolo del problema (o della questione che voglia dirsi). Un attivista americano filo‐palestinese, il quale si chiama Eddie Di Fruscia ed il quale seguo su un social da diversi mesi, ha colto pienamente nel segno visto che manda sul social, ininterrottamente, post con news e video (quando ciò sia possibile) riguardanti la Palestina sotto occupazione israeliana. Dopo di che, a corredo dello stesso materiale (recepito da agenzie di stampa, emittenti, giornalisti e semplici abitanti del posto) scrive ogni volta le seguenti parole: "Non ne vedrete né sentirete mai parlare su CNN, FoxNews, BBC, MSNC e sui maggiori network e media occidentali". Tutto ciò è vero, a mio modesto avviso (e non sono il solo, per fortuna, a vederla a questo modo!) e credo si possa racchiudere nelle seguenti domande: Interessa più il nuovo amante della pop star o del divo cinematografico di turno oppure gli alberi d'ulivo sradicati dai coloni israeliani nel campo di un agricoltore palestinese, spesso con l'accondiscendenza o l'aiuto (addirittura) dell'esercito? Interessa più quando muore il cane del maggiordomo della Casa Bianca o del Primo Ministro di un qualsiasi Paese della terra oppure quando le ruspe dell'esercito israeliano abbattono le abitazioni di famiglie palestinesi a Gerusalemme est, lasciandole senza un tetto sotto cui vivere? Le risposte sono ovvie, evidentemente! Queste sono le proporzioni e i raffronti con cui abbiamo a che fare, oggidì; tutto ciò è emblematico: l'argomento "Palestina", tuttavia, rappresenta la metafora di quello che accade oramai ad ogni latitudine ed in maniera consolidata, purtroppo. E non mi sembra vi sia più la giusta misura di nulla: la stampa, i media, i network ed il web sanno; tutti sanno ma fingono di non saperlo e...nèsci è il vocabolo giusto, in questo caso, il quale nella locuzione "fare il nèsci", sta (appunto) per fingere di non sapere; quando sappiamo che un vecchio filosofo greco, invece, soleva affermare (non so se a proposito o meno) che la conoscenza delle cose e la sapienza stessa derivino proprio "dal sapere di non sapere", ossia dall'essere consapevoli di non sapere, pur sapendo, e quindi predisporsi meglio ‐ ed appieno ‐ a sapere. Alcuni giorni orsono mi è capitato di leggere, scartabellando vecchi ritagli di quotidiani in mio possesso, una altrettanto vecchia notizia di cronaca, di quelle che il cronista (appunto) una volta andava a cercare di persona, negli obitori degli ospedali, nelle camere delle questure, nelle aule dei tribunali, ovunque ritenesse opportuno farlo (era il capo‐redattore che lo imponeva, a dire il vero, sovente, per far fare al suddetto le "ossa sul campo", come si dice, evidentemente, !), o meglio, le riferiva tal quali ‐ una volta trovate ‐ dopo che quelle erano avvenute. Non so se esista ancora tale figura di cronista o di fotoreporter oggigiorno e nel mondo che ci circonda tutti quanti; e se esista, tuttavia, non mi è dato sapere ‐ in completa sincerità ‐ se il cronista o il fotoreporter operino ed agiscano come prima nei confronti della attualità, della cronaca (quando, e se, ovviamente, sia possibile escludere a priori ogni tipo di manipolazione e/o di mancato rispetto della privacy, ed essendo essi in totale buona fede nei confronti della notizia stessa). Riporto, ad ogni modo, quella notizia integralmente (e fedelmente), così come l'ho trovata (o ritrovata) e letta (o riletta) sui ritagli di cui detto. Lo faccio per i seguenti motivi: come pura curiosità e come testimonianza di un fatto di cronaca datato, all'interno delle mie storie di strada; perché, a mio avviso, ritengo sarebbe potuta essere notizia da prima pagina su qualsiasi quotidiano ed all'interno di un qualsiasi notiziario, a prescindere dagli stessi ed indistintamente, anche oggi, a distanza di trent'anni esatti; perché simboleggia, infine, uno stato di malessere "umano", di fragilità interiore e ‐ in certo qual modo ‐ di solitudine che non credo abbiano tempo, luogo e data e che possono annidarsi (a dire il vero) in qualsiasi strato della popolazione e in ogni ceto sociale. L'articolo che reca la notizia è scritto da Lorenza Pleuteri ed apparve a pagina diciassette (sezione Cronaca) del quotidiano La Repubblica il 16 gennaio 1992 (era un giovedì). Il titolo (in taglio basso, centrato, a cinque colonne) è il seguente: Madre uccide la figlia: "tossiva". Sopra il titolo, l'occhiello reca scritto: Milano, "stava male, l'ho aiutata a morire". Aveva un anno e mezzo. Milano ‐ "Carmen era seduta sul letto, con Carole in braccio. Non la voleva lasciare. Ho dovuto prenderle la bimba con la forza, strappargliela. Ho tentato di farle la respirazione bocca a bocca ma non è servito. Abbiamo chiamato subito l'ambulanza. Mi hanno detto che non ce l'ha fatta". Giancarlo Castellazzi non riesce a darsi pace. Nell'appartamento vicino al suo, all'ottavo piano di una palazzina all'inizio di via Veneziano, ieri sera la piccola Carole, un anno e mezzo tra meno di un mese, è morta. Tutto lascia pensare che a soffocarla sia stata la madre, Carmen Ferigo, una donna di ventinove anni che da mesi soffriva di disturbi psichici e che, in agosto, aveva rotto col marito, sposato pochi mesi prima. "Al padre, l'avvocato Giampaolo Ferigo ‐ spiega la signora Castellazzi ‐ la ragazza ha ripetuto "l'ho uccisa io, l'ho uccisa io". E a chi è arrivato nell'abitazione all'ultimo piano, alle sei e mezzo di ieri sera, la donna avrebbe detto che la bambina stava male, tossiva, e lei l'aveva aiutata a morire. Poi si è sentita male, l'hanno portata al Policlinico dove la piccola era giunta poco prima senza vita e dove si è precipitato anche il padre. Carmen è stata visitata da un medico della divisione psichiatrica, è in stato di fermo e il magistrato di turno ha annunciato "provvedimenti imminenti" prima dell'autopsia che accerti definitivamente le cause della morte della bimba, molto probabilmente soffocata. Il padre è arrivato subito all'ospedale di via Francesco Sforza, sconvolto, distrutto dal dolore. Ha spiegato che la moglie da tempo si comportava in modo strano e che si erano lasciati in attesa di avviare le pratiche legali per la separazione. "Ci siamo divisi in agosto ‐ fatica a raccontare Raimondo Palermo, 29 anni come la moglie e un lavoro come guardia in un'agenzia di investigazioni ‐ lei non stava molto bene, aveva dei disturbi". Così, il 5 dicembre dell'anno scorso, si è deciso a presentarsi a un giudice del Tribunale dei minorenni per raccontare tutta la storia e confessare le proprie preoccupazioni per la figlia chiedendo che fosse tolta alla moglie e venisse affidata a lui. Nell'appartamento di via Veneziano è rimasto il padre, un legale di 66 anni che si occupa da tempo di problemi e cause di zingari, incapace di spiegarsi la tragedia e a cui manca ormai la forza di aggiungere parole che aiutino a capire cosa sia potuto accadere. La figlia si era fatta rivedere a casa, con la nipotina, martedì mattina. Lui e la moglie erano usciti, ieri, dopo pranzo. Quando sono tornati per Carole non c'era più nulla da fare. "Ci hanno chiamato ‐ racconta la vicina del pianerottolo ‐ Mio marito ha cercato di fare il possibile per far respirare la bambina ma non c'è riuscito. Io ho chiesto a Carmen "Cosa hai fatto? Perchè? Ma lei aveva lo sguardo fisso, assente. Credo che nemmeno adesso si renda conto di quello che ha combinato". La signora, come molte altre inquiline dello stabile, la ragazza cresciuta al Corvetto con i suoi coetanei la conosce da sempre. "E'laureata in giurisprudenza, come il padre ‐ dice la signora Castellazzi ‐ Si era sposata a marzo, due anni fa, e aspettava già Carole che è nata dopo pochi mesi. Poi ha avuto dei problemi con il marito. E ieri è tornata dai genitori. Per un po' di tempo ha lavorato, credo, però non so cosa facesse adesso". Di certo non stava bene, era dimagrita. "Trasparente, quasi denutrita, probabilmente mangiava pochissimo o aveva dei problemi di salute", ripetono in via Veneziano. "Sembrava a digiuno da giorni ‐ continua la signora Castellazzi ‐ la crisi più grave è cominciata ad agosto. Carmen è stata ricoverata in ospedale, mi hanno detto. Quando gli parlavo sembrava che lei non capisse. Le ho chiesto "da quanti giorni non mangi?" e lei ha risposto "non lo so!". Lei ha pochi dubbi, pensa a un gesto di follia. Gli altri vicini di casa hanno poco da aggiungere. Una studentessa che abita con delle compagne di corso ha sentito solo le sirene. E si è ricordata che poche ore prima, l'altra mattina, per le scale si erano sentite delle urla.