Tarocchi

Ce ne sono di solitudini, ma quelle più esatte, quelle davvero senza riscatto, sono anche sempre, va da sé, le più segrete. Coltivano l’invisibilità questi eroi, si confondono attorno alle bancarelle, fra le cianfrusaglie, a Roma, Parigi, Baires… ovunque l’uomo! A volte ci capita d’incontrarli per caso, davanti ad uno specchio, ed è allora che fanno davvero paura questi fantasmi di carne ancora in piedi; altre volte invece ci passano a fianco senza lasciare traccia, appena il rumore della catena che si trascinano appresso ci fa sobbalzare per un attimo, ma senza capire, come un dubbio, che ci fa venir voglia di andare subito, di volata, a fare ancora l’amore… Mario Perrotta, io l’ho conosciuto senza volerlo, come mi succede quasi sempre del resto. E’ venuto da me a farsi fare le carte. M’ha raccontato in quell’occasione un bel po’ di cose di lui, è per questo che ora posso riferirne.  Per quanto mi guadagni il pane intravedendo il futuro, il passato resta per me il gran mistero degli uomini. Un foglio fitto di cancellature e correzioni, aggiornato come un’enciclopedia sovietica in cui la verità muore un giorno dopo l’altro, e l’innocenza perduta ancora vive, protetta da un sogno. Lui, Perrotta, voleva sapere da me se sarebbe stato felice. Una domanda per niente difficile. Prima che potessi rispondere però, lui s’era già lanciato a raccontarmi, ad informarmi attraverso lastre cadute di passato, di come si era organizzato per rispondere, lui, di no alla sua stessa domanda. Un pervertito, insomma, nel suo genere, una persona come me e voi, il mio cliente. Lavorava per una finanziaria, nel girone più basso, il recupero dei sospesi. Andava a scovare i protestati, di norma, in un triangolo sghembo che ha per vertice piazza Preneste e per base la linea che da Campino arriva a Tor Sapienza. Era quella la sua zona di caccia. Prima si spingeva anche fuori città, Veroli, Sora, fino Frosinone, ma aveva dovuto lasciar perdere da quando i crediti lì avevano iniziato ad esigerli le camorre L’abilità, m’ha spiegato, sta proprio nel saper scegliere le porte dove bussare senza rischiare le botte o addirittura la pelle. Lui li sapeva riconoscere a colpo d’occhio, gli agnelli. Aprono la porta già rei confessi, le facce lunghe di vergogna e preoccupazione, impiastricciano scuse mentre lo fanno accomodare, si dilungano nella conversazione e, per decoro, non hanno neppure fatto sparire il divano, il televisore nuovo, lo stereo regalato al figlio… Insieme al caffè, offrono loro stessi l’elenco per il pignoramento prossimo venturo!... E’ su questi che fatalmente cala la mannaia, non è colpa di nessuno. Lui, Mario, è un semplice incaricato, ci ricava una percentuale, oltre ad un piccolo stipendio base. Fra una cosa e l’altra alza sul milione e mezzo, due quando gira bene. Non è molto per stare a sentire tutti i giorni le stesse storie, mi dicevo io, che pure col mestiere che faccio una certa pratica ce l’ho. La gente piange la miseria come i malati parlano della loro malattia, con una sorta d’affezione, le considerano cose speciali e rare la loro miseria e i loro malanni, qualcosa che non può che interessare l’ospite. Perrotta in quei casi li lascia parlare, ascolta e capisce tutto: l’operazione urgente della moglie, il matrimonio della figlia grande… Ad un certo punto, per troncare, dice che quella sventura “è la vita”. Poi, nel silenzio che segue mette su il suo di disco, una canzoncina a tono: qui risultano dieci rate non pagate, da 875.000 lire l’una… se lei ne pagasse, diciamo… un paio; così, giusto per tenere tranquilla la banca, sarebbe facile per me farle ottenere una proroga, di un mese… forse due… certo, sarebbe meglio pagare l’intera somma, per gli interessi, sa: quelli corrono!… “. Lui è lì per facilitarlo. Lo conforta al debitore, sapere che qualcuno è dalla sua parte. Al secondo incontro, comincia però a suggerire scenari meno tranquillizzanti, gliela inizia a sbattere in faccia la realtà. E’ matura. “Le banche, spiega, non vanno per il sottile con i piccoli debiti, se lei dovesse qualche miliardo il problema non si porrebbe neppure, ma così… E’ una bella macchina, la sua, sarebbe proprio un peccato farsela portar via, specie qui, nel quartiere, dove certe notizie fanno in un baleno il giro… E per che cosa, poi? ‐ aggiunge ‐Tanto non si scappa! Possono chiedere il sequestro del quinto, il giudice la considererebbe routine… E tutti verrebbero a saperlo, anche i superiori di suo marito, signora, non c’è da ridere di queste cose… Si fa presto a sporcarsi il nome…”. La famiglia in genere ascolta a bocca aperta. Si tratta di gente che spesso vive di quelle piccole dignità, impiegati comunali con due, tre figli, vittime, loro e i figli, del mito moderno, del pozzo senza fondo dei desideri a rate, la genialata dei mercanti. Lui molla la stoccata a quel punto: pagare o morire. Socialmente, s’intende. “Capiterà pure che proprio non hanno soldi…”, gli faccio io per giocare all’avvocato del diavolo. Si, mi risponde, e son dolori. Magari, con tutta la buona volontà, papà aveva proprio fatto il passo più lungo della gamba, poco da dire. Allora, ecco le scene, i rinfacci… Tutta la famiglia ne trema dalle fondamenta. La piccola Rosa non sarebbe andata all’Università! E quel viaggio in Inghilterra? per l’inglese… La mamma se ne fa una malattia, intanto che intravedono l’inferno. Il maschio di casa fa vedere che se ne frega, lui, ha la gioventù dalla sua, ma arriverà… La sconterà con gli amichetti, lui, appoggiato al muro di un baretto. E’ allora, mi dice il mio cliente, che bisogna tirar fuori le maniere più soavi, trasudare tatto. Gli serve mica, il terrore! La resa dei debitori alla disgrazia, in fondo, non porta una lira. Se la casa è di proprietà o esiste un’entrata fissa, anche miserella miserella, la banca ha sempre qualcosa cui attaccarsi, ma lui? Si toglieva la giacca quindi, e invitava tutti alla calma. “Ragionare bisogna, niente panico! Solo alla morte non c’è rimedio! ‐ s’incoraggia così, il pater familias ‐ Qual è il debito complessivo? Tot? Bene!” Gli fa il conto su un pezzo di carta con tutta la famiglia intorno. “Vedete? – gli dice ‐ la cifra alla fine non è spaventosa. Si tratta solo di fare un piccolo sacrificio…” A sentirsi così sputtanata, mi fa notare, la gente diventa malleabile, s’apre come un bocciolo, fa si con la testa ad ogni parola, impalata alla bovina. Avevano qualcosa di valore cui si poteva rinunciare? Orecchini, brillocchi, pellicce… Be’, ricettava tutto a condizioni vantaggiose, lui. Col tempo, s’era costruito un certo gruzzolo, una sommetta. Contava su quegli affarucci estemporanei per comprarsi finalmente casa. Bene, gli ho detto allora io, tutto contento che ne avesse anche per lo scrivano medesimo, però ecco che lui mi ha freddato subito, perché mica bastava quello, nossignore! Gli era toccato pure a lui accendere un mutuo alla fine. S’era indebitato per l’appartamento! Certe notti che non riusciva a chiudere occhio gli veniva da ridere fino alle lacrime per quel contrappasso. Si faceva un pianto, allora, al buio, con la faccia stretta sul cuscino, stava sempre meglio dopo, mi confessò. Ora, mi disse, se soltanto avesse avuto una donna… Si, non avrebbe avuto più tanta paura del futuro, di quel conto che teneva aperto. Una c’era stata, una volta, si chiamava Sonia, la sua fidanzata, ma lei se n’era andata da tanto tempo, più lontana, mi disse così, della morte… “Ci si illude, Maestro, ci si illude di conservarne almeno il ricordo, ma questo è fatto d’acqua, prende la forma che vogliamo e ci scappa via attraverso i pori della nostra anima bucata…”. Perbacco, lei è un poeta, gli ho detto per fargli coraggio, ma lui ha scosso la testa. “Non è la poesia che mi manca, ha precisato sobrio, ma i soldi e una donna…”. Raccontato che mi ha tutto questo, ancora è tornato a parlarmi della sua ventura felicità. Voleva che io gliela controfirmassi a garanzia, e per un prezzo ragionevole. Naturalmente questo lui lo chiamava dire tutta la verità, bella o brutta che fosse, e m’è toccato far l’offeso che potesse anche solo dubitarne intanto che m’implorava con gli occhi di mentirgli. Ho cominciato così a tirar giù le carte. Ha sussultato quando è uscito l’Impiccato, e poi anche quando ha riconosciuto la Morte… Lì gli ho sorriso io, scoprendone svelto un’altra. Era la Papessa… Gli ho imbastito una storia allora, così a fantasia: c’era una donna che lo teneva legato a un laccio da troppo tempo, ma ecco che già un’altra era pronta, disponibile a prenderne il posto, una donna molto ricca, invero, di personalità, un nuovo inizio… Man mano che parlavo, lo vedevo io, riprendere il colore. Sono andato avanti a braccio. “Il Bagatto”, “la Torre”, infine, pure la “Giustizia”… “E’ chiaro, gli ho detto, che grandi novità sono in arrivo e non soltanto per l’amore, ma anche sul fronte finanziario. Vede? Questa carta significa che presto tutto sarà ristabilito secondo i suoi meriti…” Aveva lui, come tutti, una grande opinione dei suoi meriti, fortuna a parte, e questo ha finito di rasserenarlo. Ha preso però a farmi domande mirate. Sarà bionda o bruna? Sarà giovane?… Quello gli interessava più di ogni altra cosa. Era facile allora, era come un bambino. Gliel’ho descritta per sommi capi, come meglio potevo, e vedevo i suoi occhi spalancarsi mentre ne illustravo le caratteristiche, la dolcezza, per dirne una. Solo che le carte non lo rivelavano bene se era mora o bionda. “Non fa niente quello”, ecco che m’ha detto lui a quel punto. Alla fine m’ha chiesto quando tempo avrebbe ancora dovuto aspettare. Per tutta risposta, l’ho buttato fuori dal mio baraccone. Ne sapeva abbastanza, gli ho detto, a quel punto, e non aveva da fare altro che andare per il mondo, che l’avrebbe incontrata là, dietro un angolo, la sua felicità, non doveva che tenere gli occhi aperti, ed anche il cuore, ho aggiunto a mò di consiglio, mio personale. Perrotta allora mi ha preso le mani per ringraziarmi, dicendomi di non stare a preoccuparmi per quelle rate, che se non le pagavo non sarebbe successo in fondo niente, che son solo per la povera gente i protesti, gli ufficiali giudiziari, per quelli davvero sfortunati… E soprattutto che ci avrebbe pensato lui a far sparire la mia pratica sotto una bella pila di quelle scalogne documentate. Ebbi l’impressione, per un attimo, mentre ci salutavamo, che ancora avesse da dirmi qualcosa, qualche altra domanda che gli era rimasta appiccicata alle labbra, come una screpolatura nel suo essere un uomo davvero nuovo, ma non disse niente, mi voltò le spalle e se ne andò con un passo leggero. Non tornò mai più. Venni a sapere, circa sei mesi dopo, che era morto di cancro. Gliela avevano diagnosticato già da un anno, mi disse il tipo venuto in sua vece ad incassare gli arretrati del mercedes, ma lui aveva interrotto le cure, mi confidò quel suo collega con aria grave, per “provare per una volta ad essere felice”. Una scelta da pazzo ha commentato l’uomo, ma del resto, ha pure riconosciuto, “ognuno è libero…”. E lei? gli ho chiesto io, lei ci si trova bene in questo mondo? Non ha niente da chiedere? L’uomo ha fatto una smorfia alzando le spalle. Non ci credeva mica, m’ha detto, lui alle carte, son cattolico praticante io, m’ha detto. Poi s’è preso le chiavi del mercedes e se n’è andato via con quello lasciandomi in cambio un biglietto da visita. Se entro un mese rimediavo i soldi potevo chiamarlo e riaverlo indietro. Vado a piedi adesso. Che nessuno protesti, quindi, se ho ritoccato un po’ le tariffe…