Tartaruga...

‐ La mia vita, ormai, aveva la particolare andatura della tartaruga. Dire lenta è dir poco, meglio sarebbe dire al rallentatore o, usando un’espressione presa in prestito dal gergo sportivo, alla moviola. Ogni spostamento mi costava, non solo fatica ma soprattutto tempo. Chi ha vissuto come me, malata di Parkinson, avrebbe diritto a un’altra vita con un recupero di anni... − e, pronunciate le ultime parole, Giulia si rilassò, cercò un appoggio... qualcosa dove sedersi, ma non trovò nulla che potesse servire a quel fine.
Era avvolta da una specie di nebbia, non le giungevano né suoni né rumori; si trovava in un luogo di cui non vedeva né inizio né fine. Intorno a lei né pareti né alcun elemento di arredamento. 
Fermò lo sguardo sulle mani bianche e curate del funzionario, sorprendentemente giovane, a cui si era rivolta e la cui tunica rosa dichiarava il sesso che le era stato assegnato nella prima vita. Il funzionario, il supervisore colui che vagliava le richieste dei nuovi arrivati e decideva quali inoltrare all’Altissimo, rimase per alcuni lunghi secondi, in silenzio.
Il suo sguardo era sereno, non lasciava trapelare emozioni di sorta, osservava Giulia un po’ affaticata anche se avevano comunicato telepaticamente. Quando comunicò alla donna che avrebbe mandato avanti la sua richiesta, le sorrise e la invitò a seguire l’angelo che aveva accanto:
− Vai con lui, ti guiderà nel luogo dove aspetterai fino a che non sarà deciso se dovrai indossare la tunica di anima o tornerai sulla terra dove vivrai un'altra vita.
Giulia seguì l’angelo e giunse in un luogo apparentemente più aperto: non capiva se le dimensioni fossero una conseguenza del numero dei presenti o per altro motivo... 
Comunque non c’erano alberi, animali, fiumi o prati e, in alto e in basso, né cielo né terra, ma una coltre di nuvole tra il grigio perla e il celeste polvere. Non somigliava nemmeno lontanamente a un interno, non poteva essere un luogo chiuso come una stanza o una casa. Dove si trovasse, però, continuava a ignorarlo.
Man mano che si addentrava in quello spazio, incontrava varie persone, di etnie e lingue diverse.
Cominciò a comprendere: doveva essere una specie di anticamera, un limbo rivisitato per altri scopi.
Erano proprio persone perché non avevano tuniche rosa o celesti; anime dentro gli involucri dei corpi, non ancora private della parte mortale degli esseri viventi. Apparentemente camminavano senza degnarsi di una parola, e invece stavano tutti scambiando due chiacchiere. Ognuno aveva il proprio problema, tutti aspettavano una risposta.
Passando sentì un tizio che diceva al suo vicino:
− Io ho lavorato tanto, ho corso in lungo e in largo per il mondo, ho avuto una famiglia numerosa... pensa avevo otto figli! Mi sono stancato da morire... letteralmente! Ho chiesto di poter vivere una vita più tranquilla con un lavoro meno faticoso. Mi piacerebbe avere una moglie sola, anche se non mi dispiacerebbe poterla alternare con altre sempre, si intende, una alla volta; di figli basterebbe un maschio o una femmina, o l’uno o l’altro. Niente suoceri da accudire, niente cognati da accontentare... magari un amico... me ne basterebbe uno.
La risposta del vicino lo sorprese:
− Non condivido la tua richiesta, ma ognuno conosce i propri limiti e, avendole vissute, le difficoltà di certe situazioni... perciò tu non vorresti ritrovarti in una famiglia numerosa mentre io chiedo proprio questo che tu non vuoi. Sai, sono stato figlio unico...
− Ma tu, qui, non conosci nessuno? Un mio amico si è fatto presentare un Santo che sa come arrivare all’Altissimo! − lo interruppe l’altro.
− No! Non è possibile! Non può essere, anche qui per sbrigare una pratica ci vuole un santo in Paradiso! − sbottò Giulia che si infervorò talmente che sentì per un attimo il cuore battere precipitosamente come non l’aveva più sentito da quando era arrivata in quel sito che non osava definire con un termine preciso. 
− Sono viva o meno o almeno ho ancora l’opportunità di esserlo? – si domandò ma non riuscì a rispondersi e neppure a formulare la domanda a qualcuno del luogo.
Altre domande cominciarono ad affollare la sua mente.
− Se vivrò ancora o ne avrò l’opportunità come imposterò la mia vita, cosa cambierei, quali errori dovrei evitare?
Le domande si moltiplicavano e Giulia si sentiva sempre più confusa.
Tornò al pensiero che l’aveva turbata: “Un Santo in Paradiso” e si disse che un paradiso di quel tipo non lo avrebbe voluto e altrettanto non gradita sarebbe stata una condanna all’inferno dove favoritismi e corruzione sono il pane quotidiano del diavolo...
− Forse non sarà proprio così ma per saperlo bisogna passarci− pensò e a questo pensiero le vennero i brividi.
Riprese ad argomentare intorno alla tesi iniziale e parlò, o almeno le sembrò, di parlare ad alta voce a qualcuno che l’ascoltava o forse stava solo riflettendo.
− Per giustizia dovrei avere un’altra vita col recupero del tempo perduto. 
Quale vita, però, è priva di difficoltà? E quali difficoltà sconosciute sono migliori, più sopportabili delle nostre? Chi è sfortunato una volta potrebbe esserlo sempre e una vita da tartaruga avrà i suoi limiti ma...
Avrebbe voluto uscire da quel sito, o sogno o incubo che fosse, perché aveva sentito il suo cuore battere e con quel battito in lei era nata un’ultima speranza.
Campare ancora qualche anno sarebbe stato bello!
Così, come se volesse inviare un messaggio o una richiesta in alto, proclamò con voce alta e chiara, sperando di essere ascoltata:
− Se sono viva o meno non lo so. Quel che c’è dopo la morte non lo so… so solo che vorrei  scoprirlo il più tardi possibile.