Tre motivi

“Ci sono solo tre motivi validi per vivere, figlio mio”.
Me lo disse mio padre Gennaro una mattina. Stava lucidando il suo fucile, il giorno prima che Gino, detto o’ Somaro, fosse ammazzato. Perché era così che, secondo lui, doveva essere.
“Te li ricordi?” Mi chiese.
Iniziai: “Il Primo è l’Onore”.

Sono arrivato in cima, ho fatto più in fretta di te. Ti guardo scavalcare le rocce sotto.
Sento i tuoi scarponi, quelli leggeri. Fanno un lieve rumore. Mi guardi fiducioso, t’ho portato qui perché potessimo stare da soli, lontani da occhi indiscreti.
Credi che il monte esista solo per noi.
Ti amo, Totore.
Ma tu, questo, lo sai già.

Mio padre mi guardava intensamente “Cerca di non infrangerlo mai, se qualcuno prova a  infangarlo, la tua vendetta dovrà essere spietata”. Me lo sento ancora addosso quello sguardo.
“Il secondo sono le Donne” proseguii.

Sei arrivato da me.
Cerco di nascondere la mia preoccupazione, penso a noi, alla prima volta che mi hai rimorchiato nei bagni pubblici della stazione. Avevo appena finito di ritirare il pizzo dal ferramenta all’angolo. Siamo stati subito insieme, lì.
Non li volevi i miei soldi.
Diventasti la mia ossessione, ti pagavo con l’anima, ogni volta che ci incontravamo. Ma siamo andati troppo oltre. Rischiamo di infangare il mio, il nostro onore.
“Ti amo Vincenzo” dici, prima di baciarmi. Hai voglia di tenerezze stasera.
Non vorrei doverlo fare.

“Loro sono la nostra casa calda, con loro ci fai i figli. Cercatene una che sappia stare al posto suo Vincè, una che non fa le domande. Non deve diventare una di quelle che non s’accontentano mai”. Si fece scuro in volto “Ma soprattutto non t’azzardare a diventare uno di quei froci, un femminiello insomma. Ti ammazzerei con le mie stesse mani.”
“Il terzo è la Famiglia”

“Ma che hai?” Dici.
Mi è scappata qualche lacrima.
“Scusami” sussurro, infilando la mano nella tasca per tirarla fuori.
Mi guardi quasi incredulo, mentre sparo due colpi.
Cadi giù, senza vita.
Penso ancora ai tre dannati motivi. Sono diventati come tre pugnalate.
Le sento qui, mi fracassano il cuore, una per una, come i rumori del tuo corpo senza vita che rotola tra le rocce.
“L’ho fatto per noi” dico ancora, mentre cerco di immaginare quale di quegli anfratti là sotto sarà la tua tomba.
T’ho amato Totore, ma noi siamo senza un  futuro.

“Non devi mai, figlio mio, offendere la tua famiglia. Amala. Proteggila. Vendicala.”. Ero ancora troppo piccolo quel giorno.
Ma lo ricordo ancora, adesso.

È così che si onora, così che si vendica. Prima che lo facciano loro, ci penso io.
Dovevo farlo.
Addio Totore, spero di avere il tuo perdono, quando ti rivedrò all’inferno che ci sta laggiù, per quelli come noi.
La canna è ancora calda, la sento sulla mia tempia.
Dietro al terzo sparo ci sarai tu.