Tredicina

Già da alcuni anni avevamo una tartaruga. L’avevamo chiamata Tredicina perché mio fratello Celestino aveva contato fin dall’inizio, sulla sua corazza, giusto tredici piastre.
Era una tartaruga come le altre, di media grandezza. D’inverno cadeva in letargo, ma solo per un breve periodo. Quando mancava ancora tanto all’inizio della primavera, infatti, lei era già bella e sveglia, con un’enorme energia e un notevole appetito. Allora cominciava a girare per tutta la casa ed era voracissima. Se non le mettevamo a disposizione una bella foglia di lattuga fresca, lei se ne andava sul balcone e s’accontentava di mangiare tutte le parti delle piante che, con una buona dose di pazienza e tanta fatica, riusciva a raggiungere sollevandosi, un vaso dopo l’altro, in punta di zampe e allungando al massimo il collo all’insù. O… peggio, se proprio non trovava nulla e i tuoi piedi non erano protetti completamente da calzature, ti sentivi arrivare all’improvviso un morsetto sull’alluce o sul calcagno per cui non potevi fare a meno di accorgerti della sua presenza!
E capitava anche che, nella ricerca di cibo, andasse a passare involontariamente sul manto del gatto che prendeva il sole disteso sul pavimento del terrazzo. Perciò Tredicina veniva buttata via senza nessun riguardo con una brusca zampata.
Qualche volta, poi, capitava per sbaglio addirittura davanti al muso di Ricky, il cane, che le mostrava subito le terribili zanne e tentava di morderla. Allora lei prendeva la fuga.
E c’è chi dice che la tartaruga è un animale lento! Bisognava vederla: andava come un razzo.
Durante le vacanze estive Tredicina naturalmente veniva con noi in villeggiatura e se ne stava a casa con la nonna, il cane e il gatto, mentre noi tre bambini con la mamma ce ne andavamo al mare o a passeggio per le campagne.
Ebbene, un giorno, al nostro ritorno, ci accorgemmo che la tartaruga era sparita. La cercammo sotto i mobili e in tutti gli angolini della casa che non era poi affatto grande: una bella stanza, una spaziosa cucina, il bagno e un terrazzino con una scalinata esterna che portava fin giù alla strada.
Controllammo anche la scala. Tredicina infatti era perfino capace di scendere con grande coraggio sebbene il più delle volte, tra un gradino e l’altro, finisse col capovolgersi. Se nessuno se ne accorgeva, se un’anima buona non andava a soccorrerla, la tartaruga rischiava di restare per ore rovesciata sul dorso. Allora doveva contare solo sulle sue forze. Con un po’ di bravura e un po’ di fortuna riusciva, prima o poi, a trovare un appiglio, così si rigirava e tornava in posizione normale per riprendere, testarda, l’avventura della discesa.
Quel giorno, nel giardinetto intorno, nessuna traccia. E neppure sulla strada che, solitamente, era frequentata solo da pochi passanti e da qualche raro carretto carico di verdura o di frutta di stagione.
Apparve la signora Assunta, la vecchietta che d’estate ci affittava la sua casa ritirandosi per quel periodo in un localino sottostante. Lì, diceva, si stava ancora più freschi e poi… a lei bastava semplicemente un letto per riposare.
Donna Assunta era sempre presente, come una vecchia fata benefica: se qualcuno di noi bambini piangeva, lei saliva su per consolarlo; se aveva la febbre, conosceva tutti i rimedi per rimetterlo in piedi senza bisogno di chiamare il medico; se, in nostra assenza, alla nonna mancava il prezzemolo o altro elemento per preparare il pranzo, non doveva che chiamarla dal terrazzino e lei, dopo un attimo, glielo mandava su freschissimo, appena raccolto, tramite qualche ragazzetto di passaggio; se io cantavo, poi, e a quei tempi lo facevo spesso, mi accorgevo di avere un’ammiratrice segreta perché, appena smettevo, Assunta usciva in strada e non la finiva più di esclamare “brava, brava, brava!” facendomi arrossire.
Dunque, la nostra padrona di casa non poteva mancare in quel frangente!
La notizia le giunse come un fulmine a ciel sereno e la mise in uno stato di grande ansietà.
‐ Oh, mamma mia! E com’è successo?… ‐ cominciò a dire ‐ Non è mai capitato in tutti gli altri anni! Ma da quanto tempo non ve la vedete davanti agli occhi? Da quando è scomparsa?… Voi lo sapete, conoscete benissimo il posto. Qua nessuno tocca niente, eh! E io non mi allontano mai da casa… Oh, Madonna mia, come mi dispiace questo fatto!
Era diventata paonazza. La mamma e la nonna cercavano di tranquillizzarla: per una donna della sua età poteva essere pericoloso quello stato di forte agitazione. Non era colpa sua, in fondo! Non si doveva preoccupare, doveva pensare alla salute, le dicevano, sono cose che possono succedere! E poi… forse meglio così, un animale in meno da curare!
Ma lei riprendeva subito: ‐ Oh, come mi dispiace! Quella bella tartaruga… Ci ero affezionata anch’io che la vedo solo un mese all’anno, figuratevi queste povere creature! ‐ e ci guardava con aria di commiserazione ‐ Eppure, non mi era mai successo in tutta la vita… ‐ continuava ‐ Sapete, io sto in questa casa da quando ero piccolina… Qua non c’è mai stato ‘o munaciello*. Ah, da certa gente sì che ne fa scomparire di cose, e ne fa di dispetti! E quando si stabilisce in una casa non se ne va più, cerca di cacciare i proprietari, piuttosto! Certi munacielli, lo sapete? di notte, si rubano perfino lo zucchero e poi, al momento che vi serve, addio! vi accorgete che non ce n’è più.
‐ Sciocchezze. Sono solo sciocchezze. ‐ disse seccamente la nonna che era una persona di chiesa.
Ma Donna Assunta sembrava voler riversare a tutti i costi la sua rabbia su quel povero “munaciello”. Perciò riprese:
‐ Beh, ci sta chi ci crede e chi non ci crede a queste cose, si sa, eppure… Ma qua, vi assicuro… non c’è mai stato ‘o munaciello. Ve lo giuro sulla buonanima di…
Si fermò all’improvviso portando una mano alla fronte: ‐ Adesso ci penso io! – disse risoluta – Qua ci vuole solo una preghiera a Sant’ Elena e vedrete come uscirà la vostra tartaruga. E prima di notte, vi assicuro! Venite appresso a me. Chi me vo bbene appriesso me vene, chi me vo male arrete rummane… ** ‐ concluse col suo simpatico dialetto tra il napoletano e il salernitano.
La signora Assunta entrò un attimo in casa sua, rovistò in un cassetto, poi baciò un’immaginetta sacra e ce la mostrò dicendoci: ‐ Ecco quella giusta. Recitate insieme a me “Santa Elena, tu sei una grande santa, tu trovasti in Palestina la vera croce di Gesù, e adesso non ci aiuti a trovare la tartaruga di questi signori?”
Così dicendo si avviò verso l’orto. Attraversammo con lei la strada polverosa. Ispezionò tutta la zona intorno al pozzo e così fece lungo il perimetro di un covone, aprì la porticina di un piccolo locale dove teneva alcuni attrezzi per lavorare il campo e guardò all’interno in tutti gli angoli. Niente.
Riprese la preghiera e ci fece di nuovo cenno di recitarla con lei. Frugò sotto il fico d’India col rischio di riempirsi di quelle fastidiose spine, spostò alcune cassette cariche di pomodori maturi, cercò dietro un cumulo di bottiglie vuote, ma di Tredicina non c’era traccia.
La povera Assunta aveva il volto sempre più congestionato.
Tornammo in strada. Si sentiva già il chierichetto che suonava la campanella. Ogni sera, infatti, a quell’ora, c’era l’abitudine di riunirsi dietro l’angolo del tabaccaio dove era stato allestito un piccolo altarino tutto luci e merletti con la Madonna di Pompei. C’era mezzo paese a dire il rosario. Ci andavamo anche noi con la nonna e con Donna Assunta.
Chi poteva, si portava una sedia da casa per stare più comodo, gli altri si sedevano sui muretti lì intorno, e c’era anche chi restava tutto il tempo in piedi. Spesso i ragazzini preferivano non sedersi perché dopo un po’ si annoiavano e così se la potevano svignare più facilmente. Mio fratello era uno di questi.
‐ Dove vai? – gli domandò la mamma anche quella sera – Non ti allontanare, ti raccomando, non farmi stare in pensiero… 
Ma, mentre pronunziava più silenziosamente possibile queste parole, si accorse che era stato un bambino dalla strada principale a chiamarlo, e anzi continuava a fargli cenno con la mano.
Era Marcuccio, lo riconobbe, un amico di Celestino, più piccolo di lui di un paio d’anni.
Mio fratello lo raggiunse di corsa. Tutti e due si misero a gesticolare. Il pubblico iniziò a guardarli e a distrarsi, qualche fedele sbuffò; una vecchietta disse “E’ meglio non venire se si deve disturbare la funzione”; due ragazzine scoppiarono a ridere e dovettero allontanarsi in fretta prima di essere rimproverate o scacciate.
Per fortuna quel movimentato rosario finì.
Celestino, allora, corse trionfante verso di noi. Marcuccio lo seguiva a pochi passi e aveva in mano… la nostra tartaruga.
‐ Visto? Che vi dicevo? – gridò Donna Assunta che, pure se in silenzio, non si era perso neppure un particolare della scena – Ci ha ascoltati! Prima di sera… Sant’ Elena ce l’ha fatta trovare, l’ha fatta uscire! E, come vedete, ce l’ha mandata attraverso una creatura innocente!... – e, così dicendo, passò una mano benevola sui neri capelli di Marcuccio.
Quindi, stanchissima, rientrò a casa. Per fortuna però ora si sentiva tranquilla e soprattutto soddisfatta per il successo.
Fu mia madre, strada facendo, ad acquisire, tramite “la creatura innocente”, una spiegazione più realistica di quell’avvenimento.
‐ Come mai, Marcuccio, avevi tu la nostra Tredicina?
Con la massima semplicità e senza neppure immaginare il trambusto che aveva causato, il bambino raccontò di essere passato da casa nostra e di aver notato la tartaruga. Era la prima volta, in vita sua, che vedeva una bestia tanto strana. Se ne stava ferma su uno scalino, disse, non faceva paura e perciò aveva pensato di accarezzarla, ma la sua testa era sparita. Ci aveva riprovato, ma erano scomparse anche le quattro zampe! Allora, un po’ preoccupato, Marcuccio aveva portato Tredicina a casa sua. Lì, insieme al fratello gemello, aveva tentato inutilmente di farla tornare come prima.
– Eppure, signora, si vede così bene che la testa e le zampe le tiene nascoste nella casetta! – concluse.
La mamma rise, poggiò Tredicina in terrazza e disse a quel simpatico scugnizzo:
‐ Ora ti faccio vedere io come torna subito normale!
Ma la povera tartaruga doveva essere stata talmente strapazzata, quel giorno, che impiegò molto più del solito a tirar fuori le zampe e a mostrare la sua strana testolina.
Per incoraggiarla le offrimmo una bella foglia di lattuga fresca.

  • “munaciello”, personaggio immaginario della tradizione napoletana, piccolo gnomo vestito da monaco con uno zucchetto rosso in testa, che si divertirebbe a fare vari dispetti in casa.

** Chi mi vuole bene mi segua, chi mi vuole male resti dietro.