Un'estate troppo... arida

I bagagli erano pronti, la meta da raggiungere sconosciuta. La fuga da una scomoda realtà iniziava e la speranza in un domani migliore appariva all’orizzonte. Sarei riuscito a viverla, avrei avuto il coraggio o la presunzione necessari a bagnarmi nella folla dei normodotati? Sapevo di pretendere troppo: avrei dovuto prima confrontarmi con la diversità.

Ricordo l’azzurro intenso del mare di giugno che si riverberava sui pini, cresciuti ai bordi del sentiero che portava alla spiaggia. Il sole del mattino proiettava le nostre ombre allungate sull’inconsistente battigia, avvicinandole in un abbraccio privo di naturalezza, cancellato dalle onde, castigato dal vento. Eri consapevole di non amarmi, mentre il sale d’una lacrima ti bruciava le labbra, mescolandosi alla salsedine ed al sapore indefinito del fallimento dei sogni adolescenziali.
Un dolce risveglio fu quello che rese la vita degna d’essere vissuta. Un sorriso triste, lacrime di fiele, imperversarono sulla maschera del mio volto, rendendolo irriconoscibile, unico, allucinato, insolente. Su quel volto gli occhi faticavano a dischiudersi, consapevoli che avrebbero incontrato il buio costante d’una notte perenne.
La sensazione d’aver perduto qualcuno o qualcosa assumeva sfumature grottesche. Mi resi conto d’essere stato vittima d’impietose allucinazioni: la mente vagava nel passato, ritrovando brandelli d’una vita, immolata sull’altare della sconfitta, esaltata dalla perversa presunzione d’essere nel giusto. Nettare ed ambrosia, allora, furono rifiutati dagli Dei, mentre ad essi si sostituì il sapore discutibile della delusione. In quel mentre, la vera storia inventata venne risucchiata dall’incubo della realtà, lasciando poco spazio alle menzogne.
Il sole era sorto solo da poche ore e già riuscivo ad avvertirne la forza. La vegetazione bruciava, impotente, vittima della siccità. Le acque ristagnavano nei loro alvei, attendendo una pioggia che tardava ad arrivare. Il pensiero correva al futuro, a quando l’afa avrebbe reso l’esistenza ancora più problematica, a quando tu, fingendo insofferenza per la calura estiva, mi avresti allontanato, voltandomi le spalle nude e la schiena abbronzata. Non sarei rimasto a sperare di guardarti negli occhi, né avrei aspettato il giungere della sera a rinfrescare l’aria. In quel momento avvertivo un buio opprimente nel profondo dell’anima .
Il mare si riproponeva alla memoria, mentre rabbrividivo al gelo dei miei monti. Non riuscivo a dimenticare l’atmosfera coinvolgente ed irreale creata dal sole sui nostri cuori. Al loro battito le pulsioni nascoste vennero a riva travolgendoci. Il rifugio sicuro della banalità non sarebbestato violato, come non avrei potuto impedire al mio essere proiezioni sublimi verso la felicità.
Con un ghigno perverso la vita sorrideva malignamente ai tiri mancini del destino. Intanto, la risacca degli affetti corrodeval’arenile degli errori, lasciando in gola l’amaro gusto del rimpianto. Nulla era finito. Tutto doveva ancora iniziare, suggerendo agli eventi un’effimera sequenza e alle lacrime il valore dell’inutilità.

Trascorsi la notte a rincorrere le illusioni celate dalla luna, mentre sorgeva dal mare infuocato dal tramonto. Sentii qualcosa spegnersi dentro di me e pensai che sarebbe stato più dignitososparire nel buio d’un cielo stellato.