Una notte con Ginger di Positano

Mi ha sempre suscitato meraviglia quel legame improvviso, che si instaura tra te ed un essere, sia animato che non. In meno di una frazione di secondo, la tua attenzione scarta, dal panorama immenso del tuo sguardo, una miriade di superflui per focalizzarsi sull’uno, che ti prende, come se lo riconoscessi o l’attendessi da sempre.
L’avevo incontrata forse due o tre volte, in maniera casuale, forse in piazza o in un vicolo. Giruzzo o’ scartellato, per quel suo gibbo, nato da una caduta infantile, mal curata, quella mattina che si evidenziò ai miei occhi, la seguiva a pochi passi, per non turbare l’immagine della sua bellezza. La natura disegna linee e forme, a volte in maniera lontana dalla nostra estetica, o ci viene incontro, ci aiuta, ci fa tremare, godere per le sue creazioni: un fiore, un tramonto, un essere.
La Ginger di Positano era tra queste meraviglie. Oltre al gioco delle masse e delle linee, lo stupore dell’eleganza del procedere, che dal movimento di queste, si generava. Giruzzo ne era pienamente cosciente e sembrava che volesse trarre beneficio alla sua bruttezza da quella contiguità incessante.  Si era accorto del mio interesse e salutandomi da lontano con “Salve, dottò” si avvicinava a me, lentamente, come se mi desse tempo per ammirare la sua Ginger. Mi sentivo gli occhi addosso, mentre io la guardavo attentamente. Fu un attimo, e fu allora che si instaurò quel legame di cui vi parlavo.
Il giorno seguente, entrò, da solo, in ambulatorio, tra una visita e l’altra, creando lo scompiglio nella sala d’attesa. “ Ho capito che vi piace la Ginger.  Se la volete, ve la do per un milione e mezzo, ne vale molto di più, ma per voi…..” Un sorrisetto, accattivante era presente sul suo volto.
Non mi aspettavo quest’offerta che sconvolgeva tutta la mia vita e l’immediatezza del fatto fu un anestetico agli infiniti problemi che avrebbe comportato questa scelta.
“Giruzzo, quando?”‐ sentivo che queste parole di assenso uscivano da sole dalla mia bocca.
“ Domani mattina, a fine ambulatorio, la porto qua”
“ Non ho liquido, ti faccio un assegno” volavo in piena ipnosi.
“ Senz’altro, domani, domani” ed uscì di scena, lasciandomi con il cuore in gola e con uno strano tremore.
Sentii la porta riaprirsi e il suo volto scuro, inespressivo: ”‐ Ci sta una cosa. Vi dovete prima procurare, per portarvela a casa….”.
“Cosa, Giruzzo?  Che devo fare?”, chiesi incerto e incalzante.
“ Una gabbia, una gabbia delle sue dimensioni che stia nella vostra Citroen AX. Trasportarla non sarà cosa facile, vedrete. Andate, adesso, a Secondigliano, da Mimmo ‘Cani e Gatti’ ‐, è un mio amico, lui vi saprà indicare.”
A fine studio, mi precipitai da Mimmo, che mi fornì di una cuccia‐gabbia, che occupava quasi interamente il vano posteriore della AX, ciotole per alimenti e altro.  La mattina dopo, l’ambulatorio trascorse veloce sino al momento in cui la collaboratrice mi comunicò: “Ci sta Giruzzo c’o’cane lupo, dice che ve lo vulite accattà‐” Il tono era di per se stesso già un rimprovero, ma l’entrata di Ginger sciolse ogni dubbio e timore. Era lei, la desiderata, la stupenda Ginger dell’allevamento di Positano, dal pedigree aulico e dalle miriadi di coppe vinte alle più importanti mostre canine. 
Ginger annusò in lungo e in largo la scrivania, perdendo saliva. Tutti gli oggetti volarono a terra. “Vedete, mi sono distratto un attimo ‐ disse Giruzzo accorciando il lunghissimo guinzaglio di pelle scura ‐ Dovete stare accorto, è come possedere una cavallina di razza.”
Ricevuto l’assegno, Giruzzo sparì senza voltarsi un attimo verso la sua ex compagna.
Restammo soli, io e Ginger, per la prima volta. Nella camera, il ritmo veloce della sua respirazione, le pupille che mi seguivano, l’odore forte, acre del pelo. Ci scrutammo per alcuni istanti consapevoli entrambi che la nostra vita stava mutando. La conoscenza reciproca è pur sempre un
atto imbarazzante anche tra due esseri di razza diversa. “Chi sei?” è un legame muto che sembra restare sospeso nella camera.
Ricordo perfettamente le ore successive: Prendere Ginger e scendere per le scale,  l’inizio della mia odissea.: il guinzaglio è da concorso, quasi una gomena pesante e lunghissima. Arrivo in Piazza, così con la Ginger a sei, sette metri che mi tira come se dovessi fare dello sci acquatico. Ora sento gli occhi della gente su di me. Visione insolita, il dottore con un cane. Ma è la Ginger ad attirare la maggioranza dei commenti.  Recupero tutta la lunghezza del guinzaglio. Ho la Ginger che mi cammina a destra. La mia immagine ora deve essere molto vicina a quella di Darix Togni con la tigre, di quando andavo al Circo. Ginger dà frattanto strattoni tremendi e riesco con fatica ad arrivare alla macchina. La gabbia ci attende.‐”Forza Ginger, dentro!”‐.
Al mio comando Ginger si pianta sulle quattro zampe, immobile e mi guarda. Cerco di indicarle il percorso, ma invano. Provo a tirarla, facendo forza sul collare, ma la sento ringhiare. Si è fatta una piccola folla. Volano i consigli: Ginger balza sul sedile anteriore del passeggero. E’ il caso di rinunziare alla gabbia e di partire. Si procede per un traffico denso di mezzodì, mentre la Ginger si agita, smania, lecca il parabrezza, mi contende la leva del cambio, di cui rode il pomo e per ultimo s’impossessa della mia guancia su cui riversa linguate umide e odorose. Mi compiaccio: possedere un cane è anche questo!
L’arrivo a casa è sotto gli occhi accorti del padrone di casa, contadino: ” I cani, noi li teniamo all’aperto, a guardia del pollaio, in casa sporcano”  E’ un consiglio, un ordine? Gli spiego che questa non è un cane comune ma una specie di soubrette della sua razza. Sa come comportarsi. Infatti, appena entro in casa con un emozionato pipì mi allaga l’ingresso;  poi inizia a percorrere tutta l’appartamento, ansimando e sbavando. Sembra non vedere i vetri delle imposte, in quanto vi ci sbatte contro con violenza e emettendo poi  un guaito di dolore.
Non mi degna di uno sguardo. Forse avrà sete, cosicché le riempio una ciotola d’acqua. Beve rumorosamente, spruzzando due terzi del liquido tutto intorno. Riprende la sua corsa disperata tra un estremo e l’altro dell’appartamento. Mi mette un’agitazione tremenda. Altro che la vita col cane dei romanzi. Provo a telefonare a Giruzzo. C’è la segreteria telefonica. Sento un rumore di vetri: ha preso in pieno la vetrinetta delle ceramiche nel corridoio. Provo a soddisfare il suo appetito, ma sparge dappertutto le cento palline del cibo.
Comincio a pensare che mi attende una vita movimentata. Il suo ritmo non cede alla stanchezza. Mi ricorda i leoni in gabbia. Avanti ed indietro con disperazione. Solo allora comprendo che deve essere vissuta all’aperto e la casa non le sta addosso. La porto nel cortile per i bisogni. Fa di tutto: si avventa sulle tartarughe della vasca che stanno prendendo il sole, identifica i cavalli nel recinto e si avventa pure contro di loro.  Quando la riporto a casa si libera dei suoi biisogni sul tappeto persiano. Povera casa mia, tra palline di cibo sintetico, orina, feci e frammenti di vetro, in poche ore è irriconoscibile. Il sentore, aspro, selvaggio di Ginger si posa su tutto.
A sera non tocco cibo. Sono estenuato, fisicamente e psichicamente.”Si stancherà bene, ad una certa ora?” mi chiedo. Vado a letto alle 9, confidando nel buio. Ma il ritmo è sempre quello. Il suo ansimare è il solo rumore della notte. Le sue pupille s’intravedono nel buio. Provo a riposare. Non ci riesco. Alle 11 sento che si viene a stendere sul mio scendiletto. Finalmente ! Ecco adesso, l’immagine del cane accucciato vicino a me, che dormo, soddisfa i miei desideri. Mi sporgo per guardarla, ma si alza con le due zampe anteriori sul mio corpo e inizia a leccarmi la faccia. Trovo la cosa affatto piacevole, anche perché non sembra arrestarsi. Ho la sensazione che mi voglia soffocare. Subito dopo, Ginger riprende il monotono ansimare, facendo un rumore metallico con le unghie sul pavimento. Nel dormiveglia, ho la sensazione dell’incubo. A tratti ritorna vicino a me e se si accorge che la guardo mi soffoca di leccate, viscide, salivose. Raggiungo la cucina per prendere un bicchiere d’acqua dal frigo, ma scivolo su pipì ed altro. Capisco che non potrò continuare così.
La delusione mi coglie all’alba e mi fa arrivare ad una decisione estrema ma vitale. Restituire Ginger a Giruzzo! Alle 6 di mattina sono fuori del suo basso, senza essermi fatto la barba e con una camicia del giorno passato. Devo avere un aspetto consono, se Giruzzo mi chiede: “Che è successo Dottò?”
“Giruzzo, non è cosa per me, tenetevi Ginger….”
“Dotto, mi dispiace tanto per voi, ma l’assegno l’ho cambiato.”