Una persona che non dimenticherò mai

Dopoguerra in Italia, la nostra nazione era in ginocchio per usare un eufemismo, c’erano non solo macerie, edifici distrutti, famiglie smembrate per la perdita di cari sia sotto i bombardamenti che morti in guerra, le malattie come la tubercolosi erano molto comuni, di mangiare andava bene se c’era un pasto al giorno, si arrangiavano le famiglie di chi abitavano in campagna; le poche industrie, perlopiù belliche erano state distrutte dai tedeschi in ritirata che ancora non volevano rendersi conto che avevano perso la guerra. I teutonici facevano saltare i ponti sperando di fermare i nemici che poi erano altro che i vecchi alleati. Mussolini era fuggito al nord insieme ai pochi fascisti rimastigli fedeli, i repubblichini che per uno sciocco ideale di fedeltà al regime avevano lasciato nei guai i propri familiari. Nelle grandi città come Roma c’erano in giro tanti clochards come non se ne vedevano Fascismo imperante, avrebbero tolto lustro ai fanatici del regime! Per meri motivi politici gli americani avevano inviato in Italia le navi E.R.P. cariche di grano, la preoccupazione degli yankees era che gli abitanti della terra italica potessero entrare nell’orbita dei paesi comunisti come accaduto per la Polonia, per la Cecoslovacchia, per i paesi baltici e per metà della Germania altro che il vantato altruismo! I signori d’oltre oceano avevano anche ‘inondato’ l’Italia di loro scritti non ultima una loro pubblicazione ‘Selezione di Reader’s Digest’ che riportava articoli caramellosi dei migliori loro attuali scribacchini, una rubrica in particolare brillava per la sua ingenuità mista a malizia. La rubrica ‘Una persona che non dimenticherò mai.’ nulla a che fare con i romanzi di Steinbeck, di Hemingway o di Scott Fitzgerald. I cow boys venivano descritti come puritani ed anche come ingenui, in seguito risultò che durante la guerra erano stati salvati perlopiù dai cervelloni immigrati da altre nazioni italiani in testa. Questo il pensiero di alcuni critici maligni secondo i quali a pensare male si fa peccato ma ci si azzecca, Andreotti docet! Alberto a venticinque anni era iscritto all’Università Tor Vergata di Roma, facoltà medicina, ramo psicologia, era stata una sua decisione di scegliere quella specializzazione, un ricordo passato. Erano gli anni della seconda guerra mondiale, potendo tutti gli abitanti delle città italiane cercavano di sfollare nelle campagne o in piccoli paesi, c’era minori possibilità di essere bombardati dagli non ancora alleati. Alberto con al seguito nonni e due zie si era trasferito da Roma a Santa Anastasia, una frazione di Cingoli in quel di Macerata. Aveva quindici anni, lui e tutti i suoi parenti erano ospiti in una villa dello zio Fefè marito di zia Lilli sorella del padre di Alberto. Il giovane era ancora un ingenuo in campo sessuale, ancora non c’era stata la famosa rivoluzione sessuale. Ai tempi del Fascismo le donne erano sante e madri di famiglia che sfornavano figli per donarli alla Patria oppure mignotte confinate nelle case di tolleranza dove i veri fascisti andavano per dimostrare la loro mascolinità latina. Accanto alla villa di zio Fefè c’era quella dello zio Camillo, alto, magro un solo dente visibile che abitava a Cingoli, il suo immobile era stato sequestrato dall’autorità fascista e dato in alloggio gratuito agli sfollati di Ancona e dintorni. Alberto frequentava la quinta elementare dove insegnava la zia Lilli, fu lì che conobbe Alda di undici anni: piuttosto alta per la sua età, bella come la madre bruna, dagli occhi verdi ma ancora ‘implume’. Alberto a scuola si annoiava in compagnia dei figli dei villici che, poveracci parlavano solo il dialetto locale, per esempio non si rendevano conto del motivo per cui una ‘cerqua’ in italiano si chiamasse quercia! Alberto convinse Alda a saltare le lezioni (a Roma si diceva e si dice fare sega) e ad andare in giro per i campi, un piacevole silenzio interrotto solo da folate di vento fra i rami del le piante. I due avevano preso l’abitudine di camminare tenendosi per mano, sembravano i fidanzatini di Peynet. Mentre gli ospiti dello zio Fefè non avevano l’assillo del denaro, quelli dello zio Camillo erano ex pescatori che di agricoltura non ne mangiavano proprio o per meglio dire non avevano nessuna voglia di ‘spaccarsi’ la schiena e così erano le femminucce a portare a casa il pane (ed anche il companatico). La più richiesta sul ‘mercato’ era Emma la madre di Alda, riusciva a racimolare anche del contante molto ricercato ma che in giro se ne vedeva ben poco. Una mattina piovigginava, Alberto ed Alda si rifugiarono nella cameretta di quest’ultima, era al quarto piano del palazzo, era proprio minuscola, c’era solo un lettino dove passava la notte la ragazza. E gli uomini di casa? Dormivano della grossa, passavano le serate e parte della notte a giocare a carte (ed a bere) in una bettola di San Valentino, una frazione vicino casa. Alda prese per mano Alberto ed ambedue si sdraiarono sul lettino. La ragazza molto disinvoltamente si tolse la gonna, le mutante ed anche la camicetta, nuda…”Mai vista una donna nuda?” “Veramente…” “Guardami qui, questo è il mio fiorellino, volgarmente detto fica, il posto dove i maschietti mettono il pisello…non fare quella faccia o prima o poi dovrai fare il maschietto anzi vedo che ti è diventato duro, prova a mettermelo dentro, piano non devi farmi male.”In pochi istanti l’ingenuità di Alberto era sparita, un nuovo mondo gli si era presentato dinanzi, era completamente frastornato, riuscì nell’intento di entrare nel fiorellino di Alda, si mosse sino a quando provò una sensazione piacevolissima. “Resta dentro, non ho ancora avuto le mestruazioni.” L’ultima parola era per lui sconosciuta, rimase dentro sino a quando ciccio si ammosciò. “Caro devi sapere che la prima volta l’ho fatto con Aurelio un mio compagno di classe ad Ancona, mi ha fatto un male cane, tu sei stato più dolce, mi rimarrà sempre un buon ricordo, non ti dimenticherò mai!” La liaison durò una settimana sin quando arrivò papà Armando che con la sua Lancia Ardea lo riportò a Roma, appena un saluto con Alda…qualcosa si era rotto dentro di lui, la parola amore gli era ancora sconosciuta. I ricordi sono presenti a livello inconsapevole nel comportamento degli adulti, quando Alberto pensava a quella situazione vissuta con gioia gli veniva una tristezza infinita,una melanconia incredibile per il passato che non poteva più ritornare. Il giovane si recava all’Università d Tor Vergata con l’Alfa Romeo Stelvio acquistata con i lasciti di nonna Maria e della zia Armida vedova del suo omonimo zio. Spesso ragazze dell’Università gli chiedevano un passaggio per evitare gli autobus affollati, qualche volta ne rimorchiava qualcuna facendola alloggiare a casa sua sino al mattino successivo ma la storia finiva lì, niente legami fissi. Gigetto il portiere di via Conegliano, un vecchio puttaniere: “Beato te che sei ancora giovane, se te ne resta qualcuna potrei ospitarla a casa mia…” “A Gigé quelle cercano un pollo da spennare tu sei diventato un cappone spelacchiato…sto scherzando sei sempre un simpaticone, vedrò quello che posso fare…” Alberto negli ultimi tempi non aveva più la voglia di studiare, andava all’Università malvolentieri, talvolta solo per rimorchiare. Un giorno alle quattordici pioveva a dirotto, Alberto da buon vergine di oroscopo, prudentemente aveva con sé un piccolo ombrello ripiegabile, raggiunse la Stelvio, passando dinanzi alla fermata dell’autobus scorse una ragazza che si stava bagnando sotto la pioggia. “Aprì lo sportello lato passeggero: “Monta su, diventerai un pulcino.” La baby non si dette per inteso, si girò dall’altra parte. Alberto scese dall’auto e:”Almeno prendi questo ombrello meglio di niente, resta fermo l’invito di entrare in auto, scusa l’immodestia ma sono una persona per bene.” La baby guardando in viso Alberto si decise, accolse l’invito. “Asciugati con della carta, il rotolo lo trovi nello sportello, cavolo sei tutta bagnata…”Alberto stranamente era entrato in crisi, quel viso….quel viso gli ricordava molto da vicino Alda non come sarebbe stata ora ma quando l’aveva conosciuta durante la guerra. Finalmente la baby tirò fuori la voce: “Lei ha assunto un’espressione strana come se mi avesse già conosciuta, sono Beatrice, una matricola.” Alberto era rimasto in silenzio gli tremavano un po’ le mani, la macchina in seconda marcia, dietro automobilisti inferociti suonavano i clacson. “Mi sembra di andare ad un funerale!” Beatrice si era ‘svegliata’, aveva preso coraggio e: “Per favore lasciami ad una fermata dell’autobus 217, abito a Frascati, mi basta l’ombrellino.“Sono Alberto, niente ombrellino, scrivi sul navigatore satellitare la via di Frascati dove risiedi.” È la prima volta che vedo questo strumento, ce l’hanno in pochi, costa molto?” “È un accessorio, non saprei.” La casa di Beatrice era un modesto due piani, un cane da dentro la cuccia guardava i nuovi arrivati, aveva riconosciuto la padrona. “Ora che sei qui ti invito a casa mia, mio padre è in camera ammalato, mia madre al lavoro, dovrò io preparare qualcosa da mangiare, tu che preferisci?” “Mi va bene qualsiasi cosa, posso far entrare in casa il tuo cane, mi sembra un Setter.” “Ti intendi di cani, si chiama Thor con l’acca, aspetta che lo chiamo: “Thor…Thor.” Come colomba da desio chiamato….in quella occasione Dante non c’entrava per nulla ma il cervello di Alberto andava per conto suo o meglio era il ricordo di Alda che lo aveva fatto andare fuori misura. Alberto quasi non si accorse di quello che Beatrice aveva preparato, seguitava a mangiare guardarla in viso…”Mi metti in soggezione, che ne dici di una spiegazione?” “Sei la copia di una ragazza che ho conosciuto durante la guerra, il mio primo amore…” “Di anni ne sono passati da allora, non penso che il tuo primo amore ora possa assomigliarmi, sarà cresciuta!” ”Hai ragione ma io mi ero innamorato di Alda come tu sei adesso.” Thor non ricevendo attenzione da parte dei due prese ad abbaiare, aveva fame. Beatrice mise in una ciotola del cibo su cui Thor si avventò, in poco tempo lo finì, comprese che ‘non c’era più trippa pé gatti’ o meglio pé cani ed allora salì le scale e si posizionò dinanzi alla porta della camera da letto.“Il cane era abituato ad andare a caccia con mio padre, gli manca molto, se aprissi la porta si posizionerebbe sul letto vicino a lui, meglio evitare.” Nel frattempo era rientrata in casa Emma la mamma di Beatrice.“Mammina cara, pioveva a dirotto, dinanzi all’Università ho incontrato il qui presente Alberto, ha voluto accompagnarmi sino a casa. La signora Emma appena un cenno di saluto col capo, la presenza di Alberto con fuori casa posteggiata un’auto di lusso non l’aveva convinta. Anche lei senza mai parlare usufruì del pranzo preparato dalla figlia. “Cavolo siete due funerali…mamma
stasera andrò al night in buona compagnia e con una bella macchina, ti piace come sono vestita?” Mammina non rispose, non era d’accordo con la minigonna , con la camicetta scollata e con i tacchi della figlia ma quello era l’abbigliamento preferito da Bea nel dancing anche se contrastava un po’ con l’età che lei dimostrava. La ragazza era stata presa a ben volere dal Alfonso padrone del ‘Gold Door’, la sua unica figlia era morta in un incidente col suo motorino, assomigliava molto a Bea. Conoscendo le condizioni finanziarie della sua famiglia la faceva lavorare al bar, un modo per non farle pesare qualche sua regalia in denaro. All’interno del Alberto aveva adocchiato della ‘selvaggina’ con cui volentieri avrebbe…ma restò al suo tavolo sino alle due sin quando chiuse la ‘Porta d’Oro’. “Caro ti è piaciuto il locale, ho notato che sbirciavi le belle ragazze!” “Torniamo a casa tua, penso di dover rientrare a Roma.” Emma era ancora sveglia ad aspettare la figlia che la meravigliò con un bacio in bocca ad Alberto. Silenzio generale: “Mammina dato che non sappiamo dove far dormire Alberto che ne dici se vado a passar la nottata a casa sua, domattina devo andare all’Università. Emma trasecolò, una novità che non apprezzò ma dinanzi a Beatrice presentatasi vestita di tutto punto con i libri sotto braccio non fece commenti, si limitò a guadare Alberto a lungo negli occhi senza profferir parola, uno sguardo penetrante e significativo, gli aveva detto tutto senza parlare. La pioggia era incessante, Alberto arrivato sotto casa dovette suonare al portone principale che, data l‘ora era chiuso. Venne ad aprire un Gigi assonnato. “Ca …cacchio non si può dormire nemmeno di notte, sei il solito rompi balle, dove hai trovato stà ragazzina all’orfanotrofio?” “È una mia nipote, per favore domattina svegliami alle sette, non mi fido della sveglia!” “Dilla tutta forse…bè lasciamo perdere.” Beatrice pensò bene di prendere per i fondelli il portiere: “Grazie signore della sua cortesia, ci dispiace averla svegliata, ho detto a mio zio…” “Lascia stare…buona notte!” Bea girò tutta casa ammirandone la bellezza.” “L’ha arredata una tua ex moglie o qualche fidanzata? Ho visto una gran bella toilette, che ne dici se mi faccio una doccia…” “Fa quello che vuoi io m’infilo sotto le lenzuola, non lasciare i rubinetti aperti!” Alberto prese subito sonno, sonno che fu interrotto da piccoli baci sul suo viso e pian piano sino a ciccio che, sempre all’erta si alzò orgogliosamente in tutta la sua potenza. Alberto sbarrò gli occhi, si trovò dinanzi la figura nuda di…Alda, ci volle un po’ di tempo prima che riuscisse a rendersi conto della realtà. Una risata argentina: “Non mi idre che ti ho spaventato, tu mi hai spaventato non avevo mai visto il coso di un uomo, il tuo è grossissimo non so se…” “E non lo saprai certo da me, sei vergine?” “Hai indovinato, te lo mollerò solo se sarai delicato!” Alberto si girò di spalle, forse stava prendendo una via sbagliata, capì che da era un ricordo di gioventù, niente a che fare con la realtà attuale poi ricordò anche lo sguardo di Emma…maledizione! Dopo qualche minuto: “Dì la verità, stai pensando a mia madre…” “Cacchio una cleromante!” “Mai sentita stà parola, insomma che vuoi fare?” “Non ti offendere, saresti per me un solo un ricordo unico, particolare che mi rimanda alla giovinezza, non avrei avuto un rapporto con Beatrice ma con Alda!” Bea era rimasta pensierosa, stava esaminando con la mente il pensiero di Alberto, forse aveva ragione lui…La mattina lungo il viaggio in macchina verso l’Università: “Mi sembra di colpo di essere diventata più matura, una sensazione strana ma consapevole, in fondo sono contenta di averti conosciuto e della tua decisione, è vero quello che mi hai detto la prima volta, sei una persona per bene.” Nel frattempo Beatrice aveva ripreso dormire a casa sua a Frascati. Dopo una decina di giorni Alberto si alzò alle sei, il portone d’ingresso era ancora chiuso, lo aprì’ e nel richiuderlo fece del rumore. Gigi: “Non basta la notte, pure la mattina….” Alberto dato lo scarso traffico arrivò presto a Frascati, posteggiò più avanti della casetta di Emma e di Bea sin quando quest’ultima uscì di casa per andare a prendere l’autobus. Si avvicinò all’ingresso di casa e suonò due colpi di clacson. “Non ti è bastato dar fastidio a mia figlia!” “Hai ragione, a me interessa solo la madre, Bea non l’ho toccata…”Il viso di Emma, un caleidoscopio di sbalordimento, di sorpresa e di stupore…”Dici davvero?” Alberto diceva davvero!