su "Il viandante e il divoratore di falene"
C’è Itaca, al centro della poetica di Giuseppe Marino. Itaca come ricerca, come fuoco interiore da perseguire: un traguardo che si sposta sempre più in là, per dirla con i versi di memoria montaliana. I versi di Marino racchiusi ne “Il viandante e il divoratore di falene” (edizioni Del Faro, 2014) riflettono l’ambizione nascosta, la non confessata aspirazione di raggiungere un punto di riferimento talmente bello e vero, unico, intero, “salda meta”, da quasi spaventare: il viandante diventa una falena, che si perde – desiderando di perdersi – nella stessa luce che l’ha sedotta.
La poesia di Marino si fa in questo modo catartica: il suo viaggio esprime un collegamento profondo con il Creato, si lascia accarezzare dal vento, offuscare dalle ceneri e dalle “piccole miserie immature e vaghe”, ma contemporaneamente incoraggiare dalle stelle. Il viandante si trova pronto a riprendere la sua battaglia “ad ali spiegate”, ma armato di “elmo e corazza”, con ellenico eroismo, e tutta umana speranza. È tenace nel proseguire la sua strada, come un innamorato che insegue l’eco dell’anima amata. Non è un caso se Maddalena Corigliano, nella prefazione, definisce il poeta pugliese “cantore della spiritualità”.
Il viaggio verso Itaca, nella silloge "Il viandante e il divoratore di falene", si compie attraverso gli elementi della natura, dai colori dei tramonti alle fiamme d'amore, avanzando in versi liberi e sciolti, cullati dalle braccia della Bellezza. Il viaggio avanza a passo classico, tra le onde del mare, in allusione costante ad un Ulisse interiore che cerca la sua verità... Un fuoco che arde in rigenerazione costante e da dove la fenice nasce una, due, tre volte per ricominciare da capo la sua tensione verso l'altrove.
“(…) la vita è alchimia,
complesso intreccio di errori e perdoni”
Il viandante e il divoratore di falene
Edizioni del Faro
49 pagine