su "L'anidride e pochi spettri"
Franco Maffiodo continua a vivere in quell’elastico che rimbalza tra l’essenza dell’uomo e quella intrinseca della natura. Pronto a dare un’altra forma al suo essere attraverso una simbiosi atavica con le forze che muovono l’universo.
[…] Quel giorno se bevo
Sono io a prendere la forma dell’acqua,
se mangio mi nutro di me stesso,
quel giorno non dormo
ma affioro dai sogni degli altri,
non vivo ma coltivo la mia esistenza. (da "La forma dell’acqua")
Sempre ondeggiante nel connubio spazio-tempo, pronto a rivivere paesaggi, tempi mai cancellati, impressioni ed emozioni indelebili.
La terra è la nostra rappresentazione, la nostra storia. La sua poesia, le sue creazioni nascono forse da una citazione di Navarre Scott Momaday, che Maffiodo ha posto nell’altro suo libro intitolato “Quaderno del borgo”: “Una volta nella propria vita – così io penso – un essere umano dovrebbe concentrarsi con tutto il suo essere su un pezzo di terra a lui familiare”.
La dimensione spazio-temporale è quella che preferisce, per danzar leggero con una lingua colta, ma mai troppo artificiosa, originale ma diretta. Ricrea dolci atmosfere sospese, come nella poesia “È forse estate”, che a nostro giudizio merita di essere proposta integralmente.
Le seggiole fuori dal bar scottano vuote.
I balconi hanno sagome di bambini
da mostrare fra i tortiglioni di ferro.
Nell’ora nuova stecca il pendolo e
voci straniere si dileguano.
Non passano treni e cani e gatti
tutti dormono o a chi dorme somigliano.
Il sole preme l’aria nei suoi antri.
È forse estate. Chi può dirlo?
L'anidride e pochi spettri
Boopen
92 pagine