su "L'insegnante"

Perché ho letto questo libro? Sicuramente è stato un richiamo sincero, necessario, un’attrazione improvvisa che ho scelto di seguire senza sapere a cosa andavo incontro. Totalmente al buio, senza sapere nulla della trama.
Il libro è scritto dalla scrittrice/filosofa, ma anche traduttrice di Tel Aviv, Michal Ben-Naftali, è edito in Italia da Mondadori nella traduzione di Alessandra Shomroni. Col titolo L’insegnante, che porta con sé un’aura di mistero e interesse su cosa è basato il libro, è una ricostruzione accorata e lucida dell'autrice nei confronti di quella che è stata la sua insegnante di inglese, Elsa Weiss, ai tempi della Seconda guerra mondiale.
Ma come mai la pulsione e l’esigenza di una narrazione/ricostruzione personale verso una propria insegnante? "Nessuno conosceva la storia di Elsa Weiss. Pochi la chiamavano per nome. Ci rivolgevamo a lei come ci si rivolge a un generale, a uno sceriffo, o a un dignitario del quale occorre preannunciare l’arrivo".
Elsa Weiss è una persona schiva, riservata, all’apparenza quasi anafettiva, sempre attenta a ogni suo gesto o parola, lucidamente attenta a mantenere quel rapporto di distacco tra sé e i propri alunni. Lei figlia di genitori ungheresi, Samuel e Leah, che sembra nascondere, offuscare. Cancellarli dalla propria narrazione personale.
Ma cosa nasconde l’insegnante? Qual è il suo passato, e come mai è solita creare una barriera – forse di protezione (?) – tra lei e il mondo esterno?L’autrice riesce a raccontarci la storia di questa donna, ponendo in ballo anche riflessioni interessanti: "In un’epoca in cui c’erano ancora forti distinzioni tra i sessi e i ruoli, imparammo che si poteva avere una vita piena anche senza crearsi una famiglia nel senso tradizionale del termine, che si poteva passare del tempo con dei ragazzi senza assumere il ruolo di madre, che si poteva essere materni senza avere figli. E che si poteva anche non essere materni, essere estranei a tutto questo, essere qualcos’altro, qualcosa di diverso, mantenere un comportamento che noi non volevamo emulare (forse perché ci sembrava troppo tetro o pericoloso, nonostante non lo percepissimo come qualcosa di disprezzabile o come “tipico della diaspora”). A un tratto capimmo che tutto questo era fattibile e racchiudeva una forza di tipo diverso. Nuove possibilità aleggiavano nell’aria, semplici modi di essere che provenivano da “lassù”, dall’Europa di prima della Shoah, ma anche da chi era nato in Israele. Sebbene la scuola si proponesse di essere un luogo che garantiva sicurezza all’istituto della famiglia, suo malgrado volgeva lo sguardo verso altri orizzonti. Eravamo fuori casa, in un luogo che, grazie alla presenza di un gruppetto di insegnanti, si era trasformato in una zona extraterritoriale".
Raccontando il suo viaggio – di fuga/speranza (?) – dall’Ungheria, Kolosvàr, passando per Parigi, la Svizzera, per poi approdare in Israele si riflette insieme a questa figura oscura, che sta nell’ombra, ai margini, che sembra scappare dai palcoscenici e dalle celebrazioni personali.
La storia intima e delicata portata all’attenzione da Michal Ben-Naftali è una storia necessaria, è una storia di riabilitazione personale, e di memoria, anche quando la memoria sembra essere un drappello da cui scappare, per fuggire non solo da se stessi, ma anche da una colpa/ingiustizia/privilegio che non si è scelto, di cui non si hanno meriti, anche a distanza di anni, e a cui si risponde prendendo un volo. Il volo fatale.

L'insegnante

di Michal Ben-Naftali

Libro "L'insegnante" di Michal  Ben-Naftali
  • Casa Editrice
    Mondadori
  • Dettagli
    183 pagine
  • ISBN
    8804685611