su "L'affanno dei verbi servili"

Quella di Cettina Caliò è la poesia del silenzio. Una poesia che spesso vuol smettere di parlare, di ragionare. Per disperdersi in un nulla poetico, in un vuoto abissale che spesso è uno spazio vissuto dall'uomo.
C'è il rumore della sofferenza nelle sue parole. A volte dettata dal non ritrovare sé stessa riflessa in una società, che richiede modelli omologati, che giudica e punisce.
Tra le righe, si legge soprattutto quella fierezza morale e quel coraggio di rimanere sé stessi, nonostante tutto e tutti.
In versi fluidi e carichi di tensione poetica, la Caliò rievoca i passi di un dissidio, di situazioni vere, anche se spesso buie. Mette a fuoco "il nero e il nero" (è il titolo di una sua poesia), lo esamina, per poi combatterlo e esaminarlo con forza d'animo, ma soprattutto con le sue parole, sempre dettate da un istinto ai veri valori in cui credere e alla fede nell'uomo.
Tutto può accadere nelle emozioni e nei continui giri di sensazioni che la vita ci offre. Dalla sponda della felicità a quella oscura, da un discorso pieno di pensieri e parole  a parole che "sono finite/ in pezzi/ in quel bicchiere solo/ di gin".
Assenza, ombra, amarezza, solitudine: nomi e significati che ritroviamo nella poetica della giovane poetessa, mai doma nello sviscerare gli spicchi dell'uomo davanti a un sole sincero.

L'affanno dei verbi servili

di Cettina Caliò

Libro "L'affanno dei verbi servili" di Cettina Caliò
  • Casa Editrice
    Bastogi
  • Dettagli
    78 pagine