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Sono un personaggio russo. Potrei fare tutti i personaggi russi che esistono: dalle "Anime morte" a quello che prende gli schiaffi. A me "Il cappotto" andava bene di taglia e di cervello.

Il pubblico è come un bambino. Se gli si lascia un bel giocattolo lo rompe subito. Bisogna aver pazienza, giocare assieme.

Ho cercato, innanzitutto, di crearmi una maschera, non tingendomi il volto, o annerendomi il naso; né volevo il successo puntando sulle gambe delle donnine. Volevo creare un personaggio concreto e nello stesso tempo sfasato nel linguaggio.

Avevo un tale bisogno di essere amata che facevo di tutto per farmi amare e credo d'esser diventata attrice per questo: per essere amata.

Se il teatro è il doppio della vita, la vita è il doppio del vero teatro.

Nessuno finora è riuscito a eguagliare la densità e la perfezione del monologo beckettiano. Affrontarlo, significa misurarsi con l’impossibile. Ciò vale per il drammaturgo, il regista e beninteso l’attore.

Il fatto che il teatro utilizzi spesso i racconti piuttosto che l’opera drammatica dimostra che il discrimine fra narrativa e drammaturgia è molto labile e si riduce a pura diversità tecnica.

Per me c’è la necessità di intendere il cinema come un mezzo di comunicazione di massa, così come il teatro, la televisione.