Amici di sventura

Notte nitida. Nick nascose il naso che, spesso, come un fanale lo guidava per le strade deserte. Le gambe spingevano il corpo come una bicicletta in salita. Ogni sera percorreva lo stesso itinerario in fotocopia. Camminava tranquillamente all’ombra delle case per evitare i raggi della luna ma non poteva evitare quelli dei lampioni. Uscì così in piena luce.
Il cielo, la luna e le scale che portavano ai quartieri alti, gli piombarono addosso. Cominciò a salire. Piano. I suoi pensieri seguivano in silenzio i gradini, la sua ombra seguiva lui contro il muro.
“Buonanotte Signori. Vi ho visto e vi ho salutato. Buonanotte… buonanotte… o buongiorno è lo stesso. Io non amo scendere quando voi salite, né salire quando voi scendete queste scale dell’oblio. No, non amo scendere quando voi salite e non amo salire quando voi scendete perché voi avete il volto del ricordo. Voi siete le ombre del passato e la realtà del presente ed io voglio dimenticare il passato e non vedere il presente. Voglio dimenticare e non vedere, ma… ma vi ho visto. Sì, vi ho visto e vi ho salutato. Parlo con voi. Parlo con voi Signori! Signori!"
Nick rimase impietrito. Non riuscì a spiccicare parola.
“Non rispondete Signori? Non rispondete? Eh già ! …già… già. Voi non siete Signori.
Voi siete dei fottuti cafoni. Siete dei… siete dei… siete…”
Una pausa. Una lunga pausa. Era lì, sullo spiazzo della scalinata. Zigzagava dietro le parole. Si fermò un istante sulle gambe barcollanti a pensare, ma per il troppo instabile centro di gravità cadde come una pera cotta. Il tonfo spaventò Nick che salì i gradini due a due, come un turbo.
“Santo cielo! Si è fatto male? Dove?”
“Eh no! No. Proprio no. Il cielo non è santo. No… no, non è santo. E cosa vuole che sia un’ammaccatura! La mia classe è la classe di ferro, ferro arrugginito che va cadendo a pezzi. Din… un pezzo. Din un altro pezzo. Din, din, din … puff! “
Nello stesso istante la campana della chiesa rintoccava lontano tra gli alberi. Coincidenza? Dopo vari tentativi, cercò di sedersi ed assumere una posizione eretta. Nick cercò di aiutarlo.
“Perché vuole aiutarmi? Ce la faccio da solo. Il suo amico se n’è andato? Lui non ama l’olezzo di Bacco? Bacco …è anche per Lei un miasma? Io invece amo Bacco e il tabacco ma… non amo Venere. No, no, no… non amo Venere”.
Un rutto ruppe il silenzio come un tuono a ciel sereno.
“Alla faccia di tre facce: quella della madre, la sua e di quello che la stringe fra le sue braccia. Lei sa di chi parlo, vero? Sa di chi parlo”.
Un altro rutto, uguale al primo, liberò una zaffata d’aria acida che fu avvertita dalle nari di
Nick prima che si spiaccicasse sul suo viso.
“Alla faccia sua sporca e fetente. Sì, alla faccia sua sporca e fetente. Lei sa di chi parlo,
vero? Ma certo che lo sa. Lo sanno tutti. Lo sanno anche le pietre delle strade”.
“Per essere fetente è proprio fetente… ma io veramente non so di chi parla”.
“Ma… ma… che fa l’indiano?”
“Al massimo, col naso che mi ritrovo, potrei fare Cyrano di Bergerac e non l’indiano”
“Ho capito! Lei è di Milano e beve cognac. Io, invece sono di qui e bevo vino. Si bevo…
bevo… mi ubriaco, insomma, per dimenticare Lei. Sa di chi parlo, vero?”
“Non so di chi parla ma posso immaginarmelo. Parla di sua moglie, vero? “
“Sì. (un sospiro e una lunga pausa) Sì, parlo di mia moglie”.
Riuscì a sedersi con le spalle appoggiate al parapetto delle scale. Piegò le gambe e si mise
la testa fra le ginocchia.
“Si sieda, se vuole tenermi compagnia ed andarsene poi a farsi “fottere” con le scatole rotte. Si sieda se vuole vedere l’acqua salata corrodere la pietra gialla che nascondo al sole e mostro al nero della notte. Si sieda e beva un “goccetto con me”.
Una bottiglia d’Inferno comparve magicamente nella mano destra. Le stringeva con fermezza il collo. La porse a Nick.
“Lasci entrare fra le sue labbra la calda lingua di Bacco. La trattenga in bocca per qualche
attimo e la lasci poi scivolare nello stomaco. Sentirà un benefico calore invadere tutte le sue membra. La sua disponibilità all’ascolto sarà maggiore”.
Nick rimase stupito dalle parole di quell’uomo che non sapeva se definire saggio o balzano.
Ottemperò a quanto richiesto.
“Dia a Bacco ancora un piccolo bacio e sarà O.K. Sì, sarà tutto O.K.”.
Nick baciò di nuovo Bacco e passò la bottiglia. Il bacio fu lungo. Il silenzio si attardò tra le labbra umide che erano continuamente strette verso l’interno della bocca. Le parole avevano difficoltà a rompere l’ovattato silenzio e ad uscire.
“Si può ancor voler bene ad un fantasma che è stato allontanato? Positivo per me. Purtroppo
è così. La mia è la solita storia dell’uomo che ama e che è fatto becco. Becco lo sono per davvero, anzi… ho più corna io che un cesto di lumache, ma cosa devo fare? La devo ammazzare? La devo lasciare? Mi devo ammazzare? Cosa devo fare? L’amo. Amo lei e mio figlio. Mio figlio?! Sì, sì, sì… è mio figlio.
Strinsi fra le braccia il tempo che si era smarrito nell’infinito di due stelle gemelle. Fu un attimo, eppure l’afferrai. Quando la musica finì Lei se n’andò con un altro. Fui proprio
cretino ad aspettare che la musica riprendesse di nuovo. La chiamai ma non mi rispose e
fui più cretino di prima perché la cercai. Ritornò e di nuovo se n’andò con un altro. Ogni volta che ritorna c’è sempre un altro con cui se ne va. Io con la testa fra le mani aspetto la notte e Bacco. Aspetto il giorno e Bacco che se ne va.
E’ un continuo aspettare, venire e andare, andare e venire.
Amo lei, amo Bacco ed amo mio figlio. Sì, mio figlio. E’ mio figlio.

Credevo che il vento rubasse
le lacrime per ornare di perle l’amore
ma le lacrime sono sputi dell’anima.

Credevo che il vento suonasse
la chitarra d’amore con i petali dei fiori e
cantasse con voce d’usignolo
ma la chitarra ha corde di polvere e
il vento canta con voce di fumo.

Credevo che il vento
portasse alla notte i fremiti di luce
e i sospiri del giorno,
ma porta fredde ombre e rifiuti.

Credevo che il vento mischiasse
polvere di stelle con gocce di rugiada
per regalare uno specchio all'amore
ma la polvere è terra la rugiada acqua piovana
lo specchio una pozzanghera.

Credevo che il vento…
Lasciamo stare
non credo più a niente.

Non credo neanche a Bacco. È un vigliacco, un fottuto vigliacco. Di notte mi abbraccia, mi accarezza, mi bacia e mi consola, di giorno mi lascia triste e scombussolato. Ha capito ora? ”
“Ho capito. Amico tu sei più fortunato, Lei da me non è mai tornata e… non ho figli.
Dissanguiamo la figlia di Bacco in silenzio facendo finta di niente”.
“ Diceva mio nonno: le cose più crudeli sono sempre quelle taciute. Eh sì! E’ proprio vero.
Beviamo e stiamo zitti anche se ho voglia di gridare e di prendere a calci a luna. Non mi piace la luna. Si nasconde per spiarmi. A te piace la luna, amico? “
“ …Pensandoci bene, no. No, non piace neanche a me. La sua faccia gialla mi guarda con insistenza e sembra prendersi gioco di me… Che cazzo ridi brutta stronza! Vieni amico, andiamo al bar perché Bacco ci ha lasciato e io ho sete”.
La prima luce del giorno sbadigliava dietro i tetti e dietro i passi incerti di due amici (di sventura? ) a braccetto.

da "Alfabeto dalla A alla Z"