Cara amica mia!

Il mondo del lavoro non è sempre facile, anzi a volte è davvero difficile. Quando andai a lavorare presso quella ditta, avevo fatto una scelta, e praticamente stavo ricominciando da capo. All'improvviso, da dirigente che ero stata, mi ritrovai ad essere l'ultima ruota del carro: dovevo controllare le ricevute firmate e fare l'archivio. Spesso venivo anche sgridata se mi sfuggiva qualche irregolarità.Certamente per me era molto faticoso, ma sono sempre stata molto disponibile, mi adatto facilmente, specialmente se quanto mi succede l'ho voluto io. Eppure avvertivo una diffidenza, un'antipatia, che non avevano secondo me, ragione di esistere. Capii col tempo, perchè mi fu detto, che io avevo sostituito una ragazza molto benvoluta che era stata licenziata ingiustamente.
Per me era un periodo molto difficile, avevo problemi finanziari, avevo problemi di salute miei e in famiglia, lavoravo dodici ore al giorno, e non riuscivo più a gestire tutte le situazioni: essere anche odiata dalle colleghe era davvero troppo, e quando al mattino andavo in ufficio avevo solo voglia di piangere. Col passare del tempo le mie mansioni diventavano sempre più numerose, al punto che presi a portarmi il lavoro a casa per svolgerlo nei fine settimana. Quando quell'anno arrivò Natale, c'erano solo due giorni lavorativi fra Natale e Capodanno, così chiesi di avere due giorni di ferie spiegando che mi erano veramente necessari per problemi familiari, dei quali fra l'altro tutti erano a conoscenza. Così un mattino fui convocata nell'ufficio del titolare, ma già seduta di fronte a lui c'era l'impiegata anziana, quella addetta all'amministrazione, non ufficialmente ma di fatto la capoufficio. Lei mi trafiggeva con lo sguardo mentre lui mi comunicava che c'erano troppi lavori arretrati perchè io potessi assentarmi, come la mia collega da lui interpellata appunto aveva puntualizzato, questo quello e quell'altro erano "molto indietro" per cui non ritenevano, loro due, che io potessi permettermi due giorni di ferie.
Detto ciò lei uscì dall'ufficio soddisfatta con la sua cartellina sotto il braccio, ed io rimandai indietro a fatica le lacrime.
Ma poco dopo passai davanti all'ufficio di lei e la vidi china e concentrata sui documenti che stava esaminando, indifferente, indecifrabile, come se niente fosse successo mentre in realtà mi aveva appena distrutta. Fu più forte di me. Entrai, e con la voce rotta dal pianto le dissi, lo ricordo ancora:
‐Io non ce la farò mai con voi, voi siete troppo cattivi per me, davvero troppo cattivi perchè io possa farcela.
Poi corsi fuori per non farmi vedere piangere, e nel frattempo era subentrata la pausa pranzo. Ritornai dopo un'ora e mezza. Andai direttamente nel mio ufficio, e guardando attraverso la vetrata che divideva gli uffici, vidi che lei stava piangendo, singhiozzava col viso fra le mani. Mi precipitai di là.
‐ Cosa c'è, cosa ti succede!
‐Io non sono così, io non sono così, io non sono così.
Continuava a ripetere lei piangendo.
La dovetti consolare abbracciandola, avevo capito che lei era solo il prodotto di un ambiente avvelenato.
Siamo amiche da venticinque anni.