Ciappe

Passava in quel vicolo da sempre; lì c’era nato, conosceva ogni pietra; le “ciappe”, i lastroni che pavimentavano il caruggio e tutte le loro fughe che sembravano ripetere, in piccolo, l’intrico delle stradine strette del centro storico.
Raccontava, con non poca nostalgia, al figlio, quando su quel lastricato giocava e quando, un poco più grande, appoggiato a uno stipite del portico là in fondo, dette il primo bacio a quella che sarebbe stata sua madre; cercava di dare radici a quel ragazzo, ora che, da separato, si ritrovava a frequentarlo nei fine settimana, come gli era capitato di fare con sua madre, da fidanzati, quasi a rubare il tempo a tutto il resto della settimana per donarlo agli affetti, ai sentimenti.
E poco gli importava dell’odore acre dei disinfettanti che gli “operatori ecologici” sparpagliavano ogni mattina, era nel suo ambiente.
Che buffa trasformazione, pensava, hanno subito le parole, la maniera di definire i ruoli che le persone hanno nelle società: dall’antico “spazzino” che definiva perfettamente l’opera preziosa di questi uomini si era passati a quell’impersonale “netturbino”, vocabolo mutuato da Nettezza Urbana, pomposa definizione di pulizia cittadina; infine si era arrivati a “operatore ecologico”, quasi a legittimare la partecipazione di questa categoria alla grande lotta per un mondo più pulito e vivibile; quasi che gli spazzini diventassero ora accoliti di Green Peace o del WWF, pensò anche a una specie di simbolo, un sole che ride con la scopa in mano; e come definire poi i contadini, “cesellatori di zolle”? Le prostitute diventerebbero forse “assistenti sessuali”? Che ridicoli pensieri, che strani meccanismi gli si mettevano in moto quando la sua mente era sgombra dalle preoccupazioni quotidiane, quando vagava in libertà.
Aveva appuntamento come ogni settimana ma al telefonino un sms lo aveva avvertito di un impegno improrogabile del figlio; “Avrà qualche ragazzina tra i piedi” pensò; sorrise e cominciò a vagabondare senza meta per i vicoli.
Dopo poco il naso cominciò a restituirgli ricordi odorosi della sua gioventù; girato un angolo dalle parti di Canneto sentì odore di pesce; lì a circa dieci passi, la terza bottega sulla sinistra c’era un tempo Zì Peppe, pescivendolo siciliano che provava a parlare genovese suscitando le ilarità di tutti i ragazzini del quartiere che si divertivano a provocarlo; il negozio era ancora là, chissà che ne era di Zì Peppe.
Affrettò il passo, senza guardare dentro, tanto era il timore di notare il cambiamento e magari di venir a sapere del decesso di quella persona così simpatica.
Quasi a testa bassa, tanto da rischiare di travolgere chi gli veniva incontro, camminò per un bel po’ senza nemmeno rendersi conto di quale direzione prendesse.
Si ritrovò in una piazzetta dalle parti di Sarzano, un po’ più elevata, sopra gli altri caruggi; la riconobbe dall’odore di dolci e cioccolato che proveniva da un noto laboratorio artigiano che ne era la principale attrazione, tanto che nessuno conosceva il nome della piazza ma la indicava benissimo con quello del negozio.
Ormai il sole stava calando, laggiù dalle parti della Lanterna, al vertice opposto dell’arco di costa del porto; si appoggiò al muretto con i gomiti, prese la testa tra le mani, piegato dalla bellezza di quello spettacolo e dall’accozzaglia di pensieri ed emozioni di quel giorno, come se in poche ore avesse ripercorso tutta la vita, guidato dagli odori.