Fermata Fortuna

Fermata Fortuna. Facoltativa. Aspetta, dimentico del tempo. Fra le labbra spente, un nome, una storia sbiadita… Non si fa vedere. Solo il dolore sale dalla porta anteriore aperta come periscopio. La solita smorfia gli s’incolla sul viso.
La rosa rossa profumerà, come le altre, la bocca del piccolo cimitero dei rifiuti dietro l’hopital che avvolge, ormai, il suo cordone ombelicale e bagna la sua retina di nervi disseccata dall’angoscia. Il giorno chiude e riapre, sempre uguale.
La notte si nutre di disperazione, aggrotta arrabbiata le sopracciglia raggrinzite e disdegna la misericordia della blanda luna. Sulla riva del sogno non è bene accolto nemmeno il sorriso.
Frana il silenzio. Nel microcosmo dell’ultima goccia estremi pensieri in vitro si ingarbugliano nella spirale del vuoto dove il sentimento della speranza
(forte da sentire), soavemente leggero, si accomuna col sospeso stupore per la vita. Dietro lo specchio insetti iniqui tendono agguati passionali in un fondo senza appigli. Federico ci cade con pesante passione. La corda di sangue che aveva legato al chiodo rovente dell’amore, si è bruciata e la comprensione ghiaccia gradualmente sotto la cenere sepolcrale dell’addio.
Nella mestizia dei giorni la fermata Fortuna è diventata obbligatoria nonostante egli
vede,anche di giorno, ciò che in sogno ha paura di vedere. Con mani scorticate continua ad impastare residui di felicità che ha conosciuto quando lei, metropolitana abitudinaria, salì, per la prima volta, sul vecchio tramvai alla fermata…
La storia che il tempo scrisse con il sole, l’acqua e il vento, sono la fotocopia di tante altre.
Di tutti i colori rimasti solo il verde non è sbiadito.