I diamanti di Johnny

Il nonno Romualdo portava  la figlia Marta, la sua amica Annina ed i nipotini Vilma e Piero, ogni giorno, a prendere l'acqua al pozzo.  Firenze era stata liberata, i tedeschi non c'erano più, ma l'acqua corrente non era ancora tornata.
Durante quelle passeggiate, che avevano anche lo scopo di distrarre i bambini dal pensiero della fame, incrociavano spesso un gruppo di soldati alleati che si erano accampati in un giardino, proprio vicino al pozzo.
Una mattina, uno di loro fermò il nonno.
«No buone quelle scarpe ‐ disse indicando gli zoccoli che indossavano i quattro ragazzini ‐ fare male ai piedi».
Romualdo cercò di spiegare al soldato che non avevano altro. La miseria era nera, nel vero senso della parola,  e quelle povere calzature erano state ricavate da pezzi di legno ai quali  aveva fissato delle strisce di velluto che la nonna aveva ottenuto facendo a pezzi una vecchia giacca.
Il giorno dopo, il giovane aspettò mio nonno lungo la strada che conduceva al pozzo e, quando lo vide arrivare, tirò fuori da un sacchetto quattro paia di sandalini e un pacco di gallette.  I bambini, per la gioia, saltarono al collo del forestiero in divisa. Mio nonno rimase molto colpito da quel  gesto disinteressato e fece amicizia con quel soldato.
Il suo cuore romagnolo trovò conforto in quel ragazzo che veniva da un paese lontano.
Si chiamava Johnny ed era sudafricano:  un biondino con gli occhi azzurri, simpatico e affabile, innamorato di Firenze e dell'arte. Al suo paese, raccontò, faceva l'ingegnere minerario.
Romualdo e Fosca, i miei nonni. lo invitarono a casa: si erano affezionati al giovanotto. Lui non mancava mai di portare loro qualcosa, perfino cose eccezionali come la carne in scatola e le stecche di cioccolata.
Un giorno, il plotone di Johnny ripartì.
«Ti prometto di tornare in Italia, quando guerra finire!» disse al nonno stringendogli la mano.
«Io scrivo a te e quando tornare  ti porto i diamanti delle nostre miniere».
Lasciò tutti i riferimenti  del suo plotone e della sua casa: ma non scrisse mai.
Romualdo, a dire il vero,  non credeva che Johnny sarebbe tornato con i diamanti, ma  era sinceramente  interessato alla sorte  di quel  giovane, che  gli sembrava  quasi un fratello minore.
Pertanto, prese la decisione di farsi aiutare a scrivere una lettera in inglese da spedire alla famiglia, in Sudafrica:  la risposta arrivò, ma non fu quella che si aspettava.  
Johnny era rimasto ucciso in un' imboscata, pochi giorni dopo aver lasciato a Firenze: non aveva più fatto ritorno alla casa dei suoi genitori.
Il ricordo della sua amicizia e della sua generosità, però, è giunto fino a noi.