L'uomo pensieroso

Tornando verso casa, per le solite strade, l’uomo pensieroso si ritrovò al semaforo; fermo lì, cominciò a domandarsi come mai non ricordava il percorso; la curva là in fondo al rettilineo del lungomare, quella un po’ pericolosa, da prender scalando di marcia o quella traversa dalla quale spunta sempre qualche auto che non rispetta lo stop o, ancora, il semaforo vicino alla Fiera, quello che se arrivi che è rosso ti tocca star fermo un’eternità; non ricordava nulla, neanche un particolare.
Si domandò, allora, cosa stesse pensando di così profondo, durante tutto il percorso, che lo potesse distrarre dalla guida; in pochi attimi fece una revisione completa dell’intera giornata di lavoro; anche così, però, non trovò la benché minima giustificazione a quel suo vuoto nella memorizzazione.
Eppure, lui, era attento nella guida, conosceva ogni trucco; ogni angolo di strada era come segnato con pallini rossi di pericolo e verdi di sicurezza; sapeva dove eran le scuole, per stare attento più ai genitori che posteggiavano in terza fila che ai bimbi che ne uscivano; conosceva i giorni di mercato di quasi tutte le piazze della città, per riuscire a scansare quelle zone e non ritrovarsi imbottigliato tra attraversamenti pedonali zeppi di vecchiette e giovani donne con la Smart anch’essa posteggiata in terza; sapeva tutto quel che c’era da sapere, eppure quella sera aveva dimenticato.
Gli sembrò quasi di patire fisicamente quando lo assalì il dubbio di esser passato col rosso, là dalla Fiera e continuava a ripetersi che non era possibile, che figurarsi se lui avrebbe mai potuto; ma, il dubbio, velenoso dubbio, gli si installò in mente come un virus nel suo quasi amato computer.
Quell’insicurezza, quel non sapere con certezza di aver rispettato una regola, lo faceva patire come quella volta che, da bambino, lo acciuffarono a “rubare” un grappolo d’uva moscatella, là, al paese dove si andava a passar l’estate, in Piemonte; una vergogna che ora lo riassaliva; e non aveva neanche quel buono e dolce grappolo a consolarlo e gli odori non erano certo quelli della campagna; sentì, persino, per un attimo tornagli in mente quel sapore, lo sentì nitido a riempirgli la bocca e fu costretto a deglutire; la dolcezza di questa parte dei suoi ricordi un poco lo risollevò e quasi sorrise di tutta questa marea di pensieri, dentro al casco integrale che indossava, seduto sulla sua bella motocicletta.
Ma implacabile come il vento di tramontana, la legge del traffico cittadino lo riportò alla realtà: il suono simultaneo di tre clacson aggiunto agli improperi poco gentili di qualche automobilista lo ridestò; alzò un braccio, come a far sapere a tutti quelli che gli stavano dietro che si era accorto del semaforo scattato sul verde; mise la marcia, rilasciò piano la frizione e, come si fosse a passeggio, si avviò lento verso casa.
Erano passati solo quarantacinque secondi ma, all’uomo pensieroso, erano bastati per decidere che non si sarebbe mai più perso un’alba o un tramonto, che si sarebbe fermato, con la sua bella motocicletta, ad ammirare i colori e cercare gli odori tutte le volte che avrebbe potuto.