Orgoglio della strada (via Einaudi)

Vigilavo con estrema cura i ricordi. Forse spesso era proprio questo che mi dava più fastidio di me stesso. Quest’estrema memoria del mio passato. Questa estrema precisione nel ricordare date ed eventi; persone ed impressioni. A volte non è facile confrontarsi con tutti questi ricordi. Ricordavo persino l’odore della polvere che avevo addosso dopo un’intera giornata di calcio all’oratorio. Quando terminava la scuola in giugno era il periodo più bello poiché si giocava tutta la giornata. Si scendeva al parco subito la mattina, a volte già verso le 9.30 iniziavano le prime partite. Io c’ero. Poi c’era il tempo per una veloce pausa pranzo in casa, la cui finestra dava comunque sui campi da giuoco in modo tale da rimanere sempre informati su quello che accadeva. Appena dalla finestra scorgevo la presenza nel parchetto di amici fidati con cui giocare a calcio mi precipitavo immediatamente giù. Si, correvo verso il parchetto. Non riuscivo proprio a camminare. Non riuscivo a percorrere con calma quel lungo corridoio che s’incuneava tra me, l’enorme palazzo e la gioia del parchetto. Avevo l’ansia di arrivare. Erano momenti frenetici quelli perché avevo paura di rimanere escluso dalla partita, quella sul campo centrale, quella partita che era visibile da tutto l’enorme palazzo. Non era la solita partita giocata sull’erba dove le porte erano fatte d’alberi. Non era neppure la partita giocata giù all’oratorio sul pavimento di lastre bianche e le porte disegnate sui muri. Era la partita sul campo di polvere. Le porte erano gigantesche. Bianchi pali di ferro un po’ arrugginiti. Era la partita seria, quella che ti stancava di più e quella in cui giocavano i ragazzi più abili. Si facevano prima le squadre. Di solito i due più bravi riconosciuti da tutti sceglievano la loro squadra a pari o dispari. Esser scelto per primo voleva dire esser uno dei più forti. A me capitava ogni tanto e mi sentivo bene dentro. Ci conoscevamo tutti. Era tutta gente che giocava. Il mio palazzo ha sempre sfornato gente che se la giocava a pallone. Quando ero piccolo pensavo che l’ambiente duro e difficile di quel palazzo, le difficili situazioni in cui riversavano la maggior parte di quei ragazzi erano un’ottima scuola di vita e anche di calcio. Pensavo fosse Dio a stabilire questi premi. Ero davvero contento che tutta quella gente sapesse giocare così bene, anzi addirittura orgoglioso che abitassero nel mio stesso sconfinato e tremendo palazzo. Ero convinto che Dio fosse giusto a dare queste doti a quei ragazzi che avevano comunque molte sofferenze familiari. Frequentavo ancora molto la chiesa e ringraziavo spesso. Avevo solo 9 o 10 anni. Ma attraverso questo processo ci passano tutti. Ero a conoscenza di casi davvero difficili. Mia madre insegnava nella scuola malfamata del quartiere e spesso mi raccontava qualcosa. Sembrava quasi che volesse farmi capire quanto fossi fortunato per non vivere quelle situazioni difficili. Ma spesso era cieca anche lei e io ancora non lo capivo. Quanti ragazzi ho conosciuto? Il mio palazzo era una scuola calcio. Oggi molti li rivedo. Non con tutti mi saluto. Ma NESSUNO ha la mia memoria. Molti sono ingrassati. Io ai tempi ero un po’ grassoccio e goffo ma mi sono sempre arrangiato abbastanza. Ma ora non si pensa più alle partite da fare nel campo di polvere. Il tempo manca ma forse sono cambiati anche gli interessi. Eppure il parchetto è ancora pieno. Il campo di polvere però non esiste più…è stato sostituito da materiali sintetici e reti protettive. L’entrata è controllata. Il mio è un palazzo davvero gigante. Enorme. Ci sono 11 piani per 11 scale e di gente c’è né davvero molta, d’ogni genere. Oggi non conosco più i ragazzi che giocano a pallone. Non conosco neppure più le situazioni difficili ma sono sicuro che persistono. Sono ancora attento ma in diverse direzioni. L’enorme palazzo sicuramente sforna ancora prodigi del calcio. Una volta ero orgoglioso di tutto questo. Ora ho solo tante, tante domande.