Alba antica

 
Sul mare del passato di un poeta
tuttor si pavoneggia l’alba antica
che lui non vede eppur morta non crede.

Il bel ricordo avanza verso l’oggi
e la sostanza appena ne scalfisce
com’onda bassa ch’a baciar lo scoglio

residui d’erba bruca al suo passaggio
lasciando eretta la falesia, esposta
al sole, al vento e del cielo all’acqua.

Mirabil vista viene offerta agli occhi
nel mentre monta ingenua onnipotenza
per quel serbar, del catenaccio in atto,

la chiave ch’apra la sala dei miraggi
rivolta a Sud con la finestra al sole
e giù, al mar, salsedine impazzita.

L’ancor dormiente e provocante specchio
al Nostro va, protetto dalla sorte
nella porzion di tempo ad intervallo

tra il cobalto e la nascente aurora
e calmo il miracolo s’avvera
al primo raggio sopra l’orizzonte.

E nastri e nastri incidono la luce
sul blu ch’adesso vuol chiamarsi azzurro,
azzurro pria che il cielo se n’avveda.

Schiarito appar metà dell’universo
a mo’ di quando dopo il lungo inverno
i primi verdi muovono la zolla

prendendo posto ov’era solo brina
con il silenzio a fare da interregno
nel freddo assolo regalato al vento.

Fantasma destinato negli abissi,
solitudo, che scoglio or abbandona,
sfibrata defluisce verso il largo

e lascia spazio a piedi di fanciullo
dacché le orme su quel ner lui vuole
calcare ancora come pria ha fatto. 


*
Stesura Anno 2017
Pubblicata sul Mensile IL SAGGIO 12/2017