Composta (tu, al pianoforte, tant’anni fa)...

Composta (tu, al pianoforte, tant’anni fa),
ora magrissima, vacua,
una vecchia palma avvizzita,
ti guardavo
oltre lo spazio, oltre il tempo
dei tuoi anni e dei miei.
(ricordi la floridezza?
E la veste di pannolenci nera? I suoi fiori gialli?)
Ti guardavo
(dove la cascata d’oro dei capelli?)
ti guardavo, ti guardavo e parlavi diligente,( una bambina a scuola),
cercavi risposte plausibili dal camice bianco, dall’Uomo,
gli occhi al fermacarte d’argento, bassi,
come a un ex voto.
E ai diplomi e diplomi, conforto alla paura.
Ah, povera!
Povera! E alle poltrone di pelle nera. Lucente.
(come è poco elegante, sempre, un luogo così. Come sgomenta)   Una luce c’era, una luce poi, di svelamenti. Di rivelazioni.
Niente mezzi toni.
Niente
mezze verità.
Per favore.
Una luce ovunque, sul male, sulla tua fragilità. Sulla mia .
Sulla nostra. Di tutti. Noi.   Quant’eri stata bella nelle foto di me bambina.
Francamente sì, ero gelosa, allora.
Ti ricordi?
Mamma è bella. Più di te, diceva papà.   [Sparire. Non arrivare a questa resa.
Dimettersi prima dal gioco.
Ancora le redini in mano.]   Ma ieri, la gola intenerita, annodata di pietà,
tu figlia e io madre (potrei dire). È la vita.
Triste sentir dire è la vita.
Non mi piace “E’ la vita” Ti guardavo e m’evaporavi accanto.
Dai, attenta, appoggiati a me, t’ho detto.   E non sentivo il peso della tua mano.