In fiore

Non mettere le mani nell’acqua che poi ti piove addosso, bambina, tutto il tremore d’inverno e d’ogni lampada il fumo, a scoprirci, con le sue dita curiose.

Forse non c’ero quando chiamavi la luna ma dietro le spalle viveva una tenda spaccata di tulle e una valvola buona per l’aria che entrava, a rinfrescarci la pelle stupita d’insonnia.

Hai visto, dentro quest’occhio è la furia, quercia di ferro sui palmi a ingigantirti le ombre

ma scende ‐ e di una palpebra d’oro ‐ lambisce l’altro mio azzurro di bene, scia di mare che annega anche le lacrime secche quelle tra il letto e le sponde volate deserte di terre che ti ho calzato d’oriente con il pudore di nenie assolate.

Ascolta. Io canto il gallo che muore non per mia colpa, canto la peste che tocca le vesti e si adagia come una spada sovrana sul ventre che non ti ho visto ma prego

e ho conservato le forbici e un rosa d’amore pastello dentro il cassetto invecchiato.

Lo sai che non è tardi, bambina, per regalarci un avvento, per coricarci al castello anche se neve sui bordi ci restituisce corone di ghiaccio e un avanzo di sabbia ramata irrespirabile agli anni.

Io navigavo la notte ma tu bocca a cuore dormivi, tu che mi origli e rallenti le spire di tutti i nostri serpenti nascosti, regalata ai tuoi sogni migliori

ma adesso, su questa steppa d’estate, sul mio cammello e i capelli d’arancio di seta e di dune

io ti rinnovo l’amore alle mani e un profumo come distesa al suo unico fiore, spiraglio blu  che ti bacia e mi assolve

di luce

sul gelsomino che muove bianco tra tutte le rose.