T’inginocchi ai rigidi altari,
vizzo dai moti e dai pensieri,
‐ gerbido cuore ‐
arido è il tuo scanno,
nella città annoiata,
tra i vuoti scaffali
mangiati dalla polvere
dove non crescono più libri
e nell’antica età.
Come, sempre priva d’accento,
pareti e acquemorte,
l’amara spora, in segreto
avanzare, corrompe.
Così, a separar le braccia
oziose dei salici, farsi terra,
quand’anche in te, la noia,
spinge radici per rimandare
la vita, al maturar delle stagioni.
29 aprile 2008
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