La figlia minore dell’emozione

 
Sono stato la cima e sarò il burrone
ma non un punto esclamativo
in fondo ai tuoi versi o l’interrogazione
della tua domanda di grazia. Finirò
i miei giorni con un sonno leggero
e se c’è un grido soffocato spero
che sia stato bruciato in un falò
d’agosto. Puoi chiamarlo gelo o aquilone,
il significato non cambia, io sono vivo
e tu sei terra smossa a ogni canzone.

Ho messo l’apostrofo tra due pareti
per separare il colore dalla calce,
l’alba è stata qui ma non s’è fermata
per colazione, ogni illazione al riguardo
è falsa, il sole ha ringraziato con un raggio
più caldo e due biglietti omaggio
per il concerto rock di un gruppo sardo.
Sostengono tutti che tu sia andata in gita,
ma se in ogni canto c’è un timbro di voce,
sarà una melodia tzigana a rapire i poeti.

E’ di una fiction cubana che parliamo?
Quando gli sembrò di capire che lei non l’amava,
decise di giocarsi il due di picche, l’ultimo
rimasto nel mazzo di carte truccato.
Barò‐dicono‐ per necessità, la redenzione
avvenne alla domenica di Pasqua del secolo
vecchio. E ora che nel vicolo del molo
è passata la figlia minore dell’emozione
diretta a ovest del paradiso, il prelato
calvo con l’auto in panne ha scelto l’attimo
perfetto per parlarle: e se allora non lo capiva
in latino ora comprenderebbe anche in cinese “ti amo”.